giovedì 31 luglio 2008

Postiglione - Monte La Nuda 1704 mslm

Credevo, ovviamente sbagliando, di aver visto già tutto l'immaginabile delle nostre splendide montagne, ma oggi ho ricevuto una lezione di "novità" e di "difficoltà" dalla cim,a forse (e qui ci vuole), più dura da raggiungere degli Alburni, la Regina "La Nuda". Questa montagna che da inesperti, noi per primi e molti con noi, scambiavamo per il Panormo (dato che dava l'impressione di essere la vetta più alta guardando da Bellizzi) ha sempre arrecato nelle nostre menti un qualcosa di "bizzarro", di "folle", quel giusto sentimento che tramuta la vista di una cima nella voglia spasmodica di conquistarla. "La Nuda", osservata e studiata su libri e cartine, discussa tra di noi e molte volte nominata durante le visite al Panormo stava diventando giorno per giorno un obiettivo da raggiungere, nonostante da consiglie e letture sapessimo di dover affrontare una montagna non simile alle altre, ma non si sapeva per cosa. L'ora delle domande però doveva giungere al termine, la curiosità diventava più insistente e incalzava la smania di toccare con mano la realtà, ma nello stesso tempo in cuor mio e in quello del "collega degli alburni" Federico c'era la paura di portare allo sbaraglio una compagnia non pronta o non abbastanza attrezzata per una montagna a noi sconosciuta. La paura di sbagliare, di affaticare e rendere difficile la vita di nostri compagni ci ha spinto a partire all'alba di questo Giovedi 31 Luglio 2008 in compagnia dell'unico membro extra Lello, escursionista allenato a sentieri alburnini da tanti anni. L'idea è quella di vedere il sentiero, analizzarlo, studiarlo e vedere le difficoltà per poi portarvi il gruppo con tutta sicurezza e cosi alle ore 6.00 si parte verso Postiglione.
Postiglione alle 6,30 del mattino, sensazione strana, una piazzetta deserta e qualche passante con cui scambiamo qualche chiacchiera, le pareti calcaree a picco sul paese e quel sapore di montano che solo gli alburni sanno donare. Alle ore 7.00 da Piazza Europa proseguiamo in direzione della chiesa adiacente e dopo aver superato una strada asfalatata in pesante pendenza raggiungiamo il primo segnale CAI e il cartello "Grotta di S.Elia". Il primo tratto ci ha fatto superare già un dislivello di circa ottanta metri in pochissimo tempo, lo sguardo verso la grotta inoltre lasciava già assaporare quello che "La Nuda" ci avrebbe riservato. Pendenza e gradoni ci conducono in relativamente poco tempo agli 890 m della Grotta dove sostiamo per un po e godiamo del panorama sulla valle del Sele e sulla Piana del Sele. Il Polveracchio svetta con i suoi pianori incontrastato verso i Picentini e solo il Cervialto potrebbe fargli paura, ma quella vetta che si alza al disopra di esso sembra impotente difronte al massiccio di Campagna.
La sosta dura circa dieci minuti, si inzia subito a bere molto, il sentiero precedente ci ha già messi alla prova, ma il tutto doveva ancora arrivare.
Continuiamo dalla grotta e ritorniamo al sentiero il quale inzia ad impennarsi nel bosco su piccolo sentierino quasi battuto in terra, si susseguno strappi pesanti fino alla prima parte esposte e lo spettacolo dei bastioni ci lascia per un attimo incantati. Ma non si può rimanere fermi, l'altimetro segna ancora 990 metri e la salita è lunga, quindi si rientra nel fitto del bosco per riprendere a salire in decisa pendenza. Continua un percorso che va mano mano perdendosi tra l'erba del bosco, le foglie occupano anche i piccoli spazi di terra dove forse vi era una traccia di mulattiera larga solo per i piedi, in alcuni punti si cammina al lato di un canalone in un fazzoletto di terreno e mentre un piccolo tratto in discesa ci fa respirare, voltandoci notiamo il bosco selvaggio e il sentiero come un muro. I bastoncini ci sono di un aiuto incredibile, picconiamo a tratti per non cadere e per alzarci su alcune rocce, in alcuni tratti e davvero difficile mantenere l'equilibro e la terra polverosa non aiuta affatto l'aderenza. Per diverso tempo si salirà in queste condizioni ed inoltre la concentrazione non va mai persa perchè anche i simboli del CAI in alcuni tratti diventano "impervi" come il sentiero. Finalmente sembra però che la situazione ritorni alla normalità e si esce di nuovo sotto le bastionate dove il Colle Medoro ci sorride e noi con lui gioiamo, ma dato che siamo a soli 1100 metri capiamo che per attraversarlo e uscire sul valico a 1400 dovremmo sudare ancora e affrontare chi sa quale fatica. La risposta non tarda ad arrivare, dapprima un sentiero in erba che cade a cascata sul costone che impedisce di visualizzare bene i segnali, poi imboccata la via giusta la pendenza risale ancor di più di prima finchè dopo circa un'ora cominciamo a camminare nella parte più bassa del Medoro a contatto stretto con le lame calcaree. Sensazione idilliaca, tocchiamo con mano il calcare che vediamo e "veneriamo" sempre dal basso e passiamo sotto cavità carsiche e rocce sporgnti alte meno di due metri. A volte si ha l'impressione che tutto crolli e cada addosso. Un tratto suggestivo ed emozionante, ma i sentimenti lasciano di nuovo spazio alla fatica ed infatti arriva ora il tratto più duro in assoluto che in quasi due anni di escursionismo abbiamo affrontato. D'apprima paragonato alla "Chiaia Amara" del Cervati, subito ci rendiamo conto che quella non era che una passeggiata e costeggiando il bosco sottostante i bastoni camminiamo su uno scoscesissimo costone ciottoloso che frana spesso al nostro passaggio. Cadono rocce, sassi e tronchi ma "La Nuda" va conquistata e noi non ci fermiamo. Ovviamente qualche attimo ti tensione è d'obbligo e superata la traversata dei ciottoli ci guardiamo in alto e notiamo il valico, ma tra noi e il valico vi è un canalone roccioso con alcuni faggi che nel finale vanno quasi a chiudersi. Ora la situazione è dura e noi ci armiamo di coraggio e pazienza, posiamo i bastoncini nello zaino e cominciamo ad afferrarci agli alberi e alle rocce per mantenerci dato che ora si cammina quasi in verticale e in alcuni tratti ci sono difficoltà quasi da arrampicata. Tra la presa di un albero e quella di una roccia, faticando non poco e sudando tantissimo giungiamo al tratto più ripido e più fitto, dove con un po di determinazione in più e facendo forza sulle braccia tra due rocce, passiamo al di sotto degli utlimi rami e raggiungiamo il Valico. Al Valico ovviamente ci fermiamo e ci compattiamo. Saliamo su una roccia a punta scalandola e da li osserviamo il panorama verso i Pozzi di Santa Maria, una zona di pianori davvero interessanti, da dove partono sentiero per la Grotta di Malacera. Inoltre scendendo di nuovo al valico si notano nel loro splendore selvaggio e puro tutte le creste da Controne a Postiglione. Si vedono le Timpe, si vedono i Gemelli di Roccia e si vede il mitico Colle Medoro e ovviamnte il nostro sguardo non può che volgersi a quelle creste spettacolari che salgono come un'onda che parte dalla terra e si infrange nel mare del cielo azzurro rilasciando al suo ritorno la sabbia rocciosa e le alghe boschive. Il tutto qui ha un sapore altamente poetico ed è ovvio il ricordo di Virgilo che lasciò le sue memorie anche su questi Monti Alburni. Davvero è difficile staccarsi da questo scorcio paesaggistico, ma la salita non è affatto terminata e quindi occorre tornare in marcia. Ma stavolta il sentiero è lasciato a se stesso sulla cresta "nuda" saliamo ad occhio e a sentimento e cerchiamo in tutti i modi di arrivare subito alla nostra meta sapendo che il peggio è passato. Il tratto roccioso al sole è sicuramente più impervio dell'ultimo tratto finale del Panormo e sale con maggiore decisione e proprio mentre con forza si giunge la dove il cielo fa da confine alla vetta ci rendiamo conto di essere solo su un'anticima e cosi ripuntando ad occhio il nostro "sogno" prendiamo il "volo" Un "volo" diretto nel blu toccando terra, un qualcosa che si può provare solo in montagna, una sensazione che a volte qui sugli Alburni accresce forse per quel desiderio insito di vivere lontani da tutto e da tutti che qui si realizza in concreto.
Il libro di vetta spunta da una roccia, manca poco davvero eppure abbiamo un altro tratto difficile tra le rocce, ma superato questo finalmente ci siamo. Con determinazione, caparbietà e coraggio abbiamo raggiunto senza l'ausilio di guide e con la sola voglia di conoscere, dopo aver studiato le IGM a tavolino (e ovviamente agevolati dal CAI) la vetta del Monte La Nuda. Godiamoci il panorama e il meritato riposo che poi riposo non è ma sarà più un "riposto" dato che la sosta ovviamente come previsto si è tramutata in un continuo saltellare tra rocce e rocce per capire i segreti del Monte.
La vetta è molto solitaria, non è contornata da altre cime ed è molto piccola, subito si aprono precipizi verso i valloni sottostanti e solo tramite il bosco adiacnte è possibile raggiungere non in poco tempo la "Spina dell'Asino" che però lasceremo inviolata aspettando la traversata.
Foto di rito, sguardi nel vuoto, firme al libro di vetta, panino, bevuta e tanto relax per poi ritornare prima che il sole inizi a picchiare per la strada del ritorno. Una strada che oltre ad essere ovviamente triste come lo sono tutti i ritorni presenta ancora difficoltà dato che i tratti precedenti di salita ora saranno affrontati in discesa e la sitazione non è delle più facili. Ma la grinta che avevamo ci ha fatto superare anche queste ultime difficoltà, girati di spalle e scendendo esattamnte come eravamo saliti invertndo soltanto i movimenti prendiamo via per il bosco. Stiamo molto attenti e per altre volte procuriamo piccole frane nelle pareti ciottolose ma finalmente arriviamo in tratti meno impegnativi del ritorno e la compagnia inzia a riposare mentalmente. Una montagna selvaggia, arcigna, aspra, dura, tremenda, affascinante non poteva che salutarci diversamnte che con la visione di uno splendido Lupo che tra il fogliame scappa e fa cadre tante rocce e un topolino di montagna marrone che ci salta davanti e si tuffa nelle felci degli ultimi castagneti.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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