lunedì 30 giugno 2008

Monte San Giacomo - Vallicelli - Monte Cervati 1899 msm

Il Monte Cervati ci aspetta da diverso tempo, già a Marzo infatti la spedizione era pronta per effettuare l'assalto ma delle nevicate e sopratutto il cielo cupo ci impedirono di organizzarci e di prendere via alla scalata. Anzi, a dir il vero, i fattori meteo ci condizionarono anche nello studio delle carte che non comprammo nemmeno sicuro (dalle carte del tempo) che il 20 (data designata) sarebbe stato impossibile salire. Da Marzo allora venne decisa la data del 29 Giugno e in questi mesi primaverili è stato un susseguirsi di domande, ricerca di informazioni, studi di cartine igm e di preparativi. Il 29 Giugno finalmente arriva e la spedizione composta da 7 "intrepidi" si da appuntamento alle ore 6.00 a Bellizzi pronti a prendere l'autostrada Sa-Rc e recarsi a Monte San Giacomo. Dopo la partenza, passati Eboli, Campagna, Contursi, Sicignano, Petina, Polla e Atena Lucana, all'uscita di Sala Consilina giriamo per vie interne fino alle frazioni minori di Sala per giungere ad una deviazione sulla destra ( nei pressi di una chiesetta antica) che ci avrebbe condotti nel giro di 7 o 8 km ai 660 m di Monte San Giacomo. Breve sosta al bar, caffè, cornetto e vi in direzione "Vallicelli" una località montana del paese. La strada non l'avevamo mai fatta ma dalla cartina le indicazioni che avevamo studiato prendevano corpo nella pratica, inziamo a costeggiare le pendici del Monte Motola e ogni tanto ad osservare le Ripe del Cervati che spiccavano in tutta la loro candida maestosità. La strada è asfaltata, agevole ma iniziava a stringersi fino ad un bivio che Adriano ha subito ricondotto ad un punto esatto della cartina. Fermiamo l'auto nei pressi di questa deviazione dove un cartello indicava " l'alta via del Cervati" ma eravamo ancora distanti dai Vallicelli ed infatti da li in 6 ore si sarebbe giunti solo al Rifgio Cervati a quota 1560 m. Presa la deviazione sulla destra proseguiamo ancora per alcuni chilometri fino ad addentrarci in splendide faggete, la strada si faceva sempre più stretta e finalmente raggiungiamo il punto di partenza parcheggiando l'auto nei pressi dell'inizio di un altro sentiero, a qualche centinaio di metri prima dei Capannoni dei Vallicelli.
Raccolti gli zaini, presi bastoncini, macchina fotografica, cappello e cartina scendiamo per alcuni metri sulla strada asfaltata fino a prendere la deviazione sulla sinistra "Alta via del Cervati" ben segnalata che tirava dritto nella faggeta. Inizia lo spettacolo del Monte "arcigno" e selvaggio, un monte che da una sensazione di immensità rara su altre montagne campane, nel bel mezzo di un massiccio che come vetta ha solo lui : Cervati. La strada inizia subit con una salita impervia, fangosa e resa scivolosa dalle piogge, partenza da quota 1200 costeggiando il Vallone dell'Acqua che suona per risalire allo scoperto verso i 1436 metri della fontana degli zingari. Una salita davvero dura, fin ora ne Alburni ne Picentini, per quel che sono stati esplorati, ci hanno visto affrontare pendenze simili e cosi impegnative, ma fa parte del "grande gioco della montagna" e a dir il vero quel gioco ci piace anche molto perchè l'escursionismo è anche prova con se stessi nei confronti e nel rispetto della natura che ti ospita.
Finalmente dopo 50 minuti nei quali copriamo 200 metri di dislivello ci troviamo nei pressi della "vasca" della "Fontana degli Zingari", beviamo un sorso d'acqua freschissima, quasi ghiacciata per la verità e proseguiamo in direzione opposta ad un piccolo rifugio uscendo per un attimo allo scoperto nel piano degli zingari dove prima di entrare nel "bosco dei Temponi" notiamo di nuovo le vette del mitico Monte Cervati. Nel Pianoro c'è una deviazione verso i "gravittoni" (inghiottitoi) ma non è la strada per la vetta, proseguiamo per un po quindi su una mulattiera-carraia attraversando alcuni tratti con faggi solitari e cespugli di fiori di San Giovanni finchè lasciamo la mulattiera sulla destra e prendiamo a sinistra attraversando un piccolo canale e addentrandoci in un piccolo sentiero tra i "Temponi". Siamo a quota 1500 e il sentiero diventa ancora più entusiasmante, le faggete diventano altissime e ampie, non più fittissime ma creando enormi spazi disegnando un sottobosco spettacolare, leggendario e affascinante. Camminiamo ancora per diverso tempo , ad una deviazione non segnalata benissimo decidiamo di istinto di proseguire costeggiando un canalone ed infatti ci troviamo dopo circa 300 metri sul sentiero principale (a scendere prenderemo invece la strada che sarebbe uscita alla deviazione evitata) che riuscendo allo scoperto ed evitando un'altra mulattiera che ci avrebbe fatto allungare ci porta ad un Faggio enorme soprannominato da noi "La Sequoia". Dalla "Sequoia" proseguendo tra sali e scendi di una carraria ad un certo punto la strada si riapre alla vetta su una piccola valle caratterizzata da un laghetto formatosi dallo scioglimento delle nevi e dalle piogge, finalmente siamo giunti ai 1597 metri del Rifugio Cervati. La curiosità ci prende, quindi ci portiamo nei pressi della stuttura, dove un piccolo "capanno" in cemento è lasciato aperto e al suo interno era posto un caminetto e un tavolino con tanta legna da bruciare. Al di sopra del caminetto una frase eloquente: "La legna va consumata ma va anche raccolta". Dietro al rifugio una fontana gelida, una vasca e un lavatoio. Riposiamo un po e poi via per un nuovo bosco dal sentiero roccioso e ciottoloso che ci condurrà dopo aver faticato un po a quota 1780 metri alla località "Chiaia Amara". Dalla "Chiaia amara" parte visibilissimo su per le rocce aride del costone il "sentiero dei pellegrini", reso percorribile da alcuni passamani in legno presenti sulle estremità del costone. Il sole picchiava quasi a mezzogiorno ma l'aria era freschissima e si stava benissimo, la spedizione a questo punto smette di essere compatta e ognuno con il suo passo tenta di raggiungere la vetta. Siamo quasi in cima e alcune scale di ciottoli delimitano il passaggio nel varco verso gli splendidi pianori glaciali del Monte, siamo al Crocillo a quota 1844 metri.
Al Crocillo allora ci aspettiamo tutti, riposiamo e scattiamo foto, lo spettacolo è entusiasmante sembra di stare in un altra Regione, a nessuno verrebbe in mente che la Campania, la terra di Capo Palinuro , Camerota, Acciaroli e Sapri potesse riservare uno scenario d'alta montagna cosi suggestivo.
La vetta però non è stata ancora raggiunta, o meglio non è stato ancora raggiunto il punto più alto dell'intero comprensorio delle "vette" del Cervati, un comprensorio enorme, gigantesco, un "cratere" pieno di pianori, doline e montagnelle rocciose. Dal crocillo allora proseguiamo in senso orario su per le creste per raggiungere i 1899 m dove è situato il punto trigonometrico. La strada che sembrava breve in realtà è abbastanza lunga e camminiamo per diversi minuti osservando mandrie di cavalli per le rocce, erbe particolari e piantine grasse che dalle rocce nascevano spontanee in tutta la loro caratteristica bellezza. Su questa vetta tutto sembra esser rimasto veramente alle origini, la presenza dell'uomo (anche nel sentiero) non si sente, anche gli escursionisti stessi non passano molto tempo qui e lo scenario è tutt'altro che monotono e ripetitivo rispetto alle altre cime campane. La sensazione è quella di trovarsi in un luogo di confine con il cielo, dove lo si può toccare tranquillamente alzando la mano e da li controllare tutta la Campania che ai "suoi" piedi si prosta.
Dopo questo passaggio dedicato alle sensazioni e dopo essersi fermati a guardare le cime del Gelbison, del Faitella e del Bulgheria, costeggiando ancora le creste finalmente giungiamo in Cima e dalla Cima vediamo più vicina la chiesa della Madonna della neve che fra non molto sarebbe stata raggiunta. Dalla vetta ognuno dei 7 si è immortalato sul punto trigonometrico e ovviamente ci siamo presi anche il tempo per fare la solita foto di gruppo e per far rifornimento di zuccheri e d'acqua prima della vera sosta giornaliera. A questo punto è doveroso citare tutti e ringraziare tutti e non lo farò alla fine perchè nel mezzo del racconto mi sembra di rivivere l'escursione cosi da sentirmi nel mezzo della giornata di ieri e non trattare il tutto come qualcosa di rimeto. Allora un grazie (in ordine come nella foto dopo di me che sono il primo a sinsitra) a Walter, Alessia, Adriano, Lello, Eduardo e Federico (l'altro cow boy). Ovviamente una menzione particolare va ad Adriano che con come a studiato la cartina senza perdere un colpo e a Lello che dopo tanti anni torna all'escursionismo ad altissimi livelli. Un gruppo compatto, unito e reso ancora più affiatato da questa esperienza che non è stata facilissima e semplice come le altre, un motivo in più per credere in ciò che ci piace e continuare questa magnifica passione insieme.
Ma lasciamo la vetta per continuare il racconto e cosi ci incamminiamo verso il Santuario della Madonna della neve che a vista sembrava vicinissimo ma ci siamo resi subito conto che quindici minuti non sarebbero bastati e infatti dopo i 1900 metri dinanzi a noi si aprivano altri pianori, altre doline e altre montagnelle che risalivano e scendevano creando grande dislivello. Cosi, dopo aver fatto due sali e scendi tiriamo dritti sul sentiero dei pellegrini lasciato prima in modo da trovare una strada più agevole ed efficace e finalmente dopo esser passati sotto uno splendido albero (forse un cerro) mdoellato dai venti di quota raggiungiamo la Chiesetta della Madonna della Neve e purtroppo scopriamo con nostro dispiacere che da Sanza hanno portato una strada asfaltata fino in cima che ha tolto "sacralità" al Monte sovrano della Campania. Naturalmente l'essenza della montagna non ci vedrà penso mai partecipi di quella strada e saremmo sempre lieti di faticare per raggiungere la nostra meta.
Intanto il tempo inziava ad annuvolarsi, visitiamo quindi la chiesa e ci riposiamo sulle sue scale e mentre gli altri mangiavano io, Adriano , Federico e Lello ci portiamo verso il Canalone e la Rupe per scendere alla grotta della Madonna della Neve. Una porta in pietra ne delimita l'accesso e due rupi strettissime vanno attraversate per entrarvi, regalandoci uno scorcio "terrificante" e stupendo. Una grotta piccolissima con la statua della Vergine, un ingresso strettissimo e non per tutti, una volta bassa e scura e acqua che cadeva attraversando la roccia. Una sensazione di freschezza unica e da provare. Usciti dall Grotta saliamo di nuovo verso il canalone e la rupe per tornare alla Chiesa dove dopo un'altra mezz'ora passata a chiacchierare decidiamo di muoverci verso il ritorno convinti che il tempo non ci avrebbe graziato.
Cosi, di nuovo per il sentiero dei pellegrini, passati per il Crocillo, la Chiaia amara, il Rifgio Cervati, la Fontana degli Zingari e il Vallone dell'Acqua che suona arriviamo ai "nostri" Vallicelli dove smontando le attrezzature ci complimentiamo a vicenda e torniamo alle auto verso Monte San Giacomo, dove un gelato e una bibita fresca segneranno la fine della nostra avventura e l'arrivederci alla prossima.

REPORTAGE COMPLETO MONTE SAN GIACOMO - CERVATI

martedì 24 giugno 2008

Rifugio Panormo-Auso-Antece-Ausoneto

Una Domenica che al Sabato risultava essere di riposo e di preparazione all'esame universitario del Lunedi si è trasformata in un momento unico dai mille risvolti fotografici e non solo.
La mattina mi sveglio di buon ora e affacciandomi alla finestra mi accorgo di una giornata tersa, limpida con un cielo cosi azzurro e pulito da non poter far finta di niente. Una giornata cosi non capita spesso e cosi mi preparo e scendo alla volta di non so quale meta nei Picentini. Fortuna volle però che verso le 6.30 il "collega" Walter che si era organizzato per se mi chiama per vedere se avessi infranto l'ordine di riposo, ed infatti mi trova sveglio e già in auto ma ancora nel mio paese. Il tempo di una chiacchiera veloce e poso di nuovo l'auto aggregandomi e ignaro della meta che avrei conosciuto di li a poco. Strano ma vero, si ritorna a distanza di una settimana al Rifugio Panormo per immortalare alcuni coni di luce tra le fitte faggete che Walter aveva osservato la settimana prima. Lungo l'autostrada e sopratutto sulle strade interne tra Castelcivita e Ottati però ci rendiamo subito conto che la luce ci avrebbe permesso di fare ben altre foto e sulla strada verso il Rifugio un azzurro fortissimo e "fresco" ci lascia allibiti e ci fa prendere coscienza della necessità di dover conservare nella memoria e documentare con foto la bellezza di questo spettacolo offertoci dalla natura. Un anticiclone delle Azzorre forte, l'umidità rilegata e spinta nel basso delle pianure marine e cosi in altura secchezza e lucentezza tali da rendere monti, alberi, piante e quant'altro contornati da un cielo mozzafiato. Sui pianori del rifugio posiamo l'auto esattamente dove la lasciammo una settimana prima e a piedi giriamo la vallata per cercare nuvoi spunti fotografici e camminando camminando, sopratutto tra i Cerri e i Lecci, incontriamo doline e pianure carsiche interessanti rese ancor più affascinanti dalla luce che oltre a rendere il verde forte e intenso, colorava il rosso della terra e il bianco delle rocce. Dalle prime doline ci trasferiamo a quelle inziali dove uno spettacolare melo in fiore in un avvallemento regnava incontrastato e modellato dai venti d'altura durante gli anni. Domenica era tutto perfetto e con quei colori anche la piccola lingua d'asfalto che si inerpica tra le pianure era fotograficamente perfetta.
Dopo aver passato diverso tempo a scattare e sopratutto a riflettere su questi scatti stando attenti ad impostazioni e usando quasi sempre il cavalletto per non fare sbavature deidiamo di portarci al Rifugio dove mangiamo un panino con prosciutto e formaggio paesano e beviamo un sorso di coca cola riposandoci al fresco dei Faggio vicini all'inghiottitoio sulle panchine di fronte al Casone. Una breve sosta allora e via alla volta dei Pozzi Farina per gli ultimi momenti sul pianoro a 1300 m. Erano le 11.30 il cielo ancora perfetto e cosi vedendo una foto nel rifugio e presi dalla voglia di conoscere quel posto, dopo aver chiesto informazioni ci rechiamo a Sant'Angelo a Fasanella. Da Sant'Angelo arrivati in piazza percorriamo altri 500 m fino ad una deviazione che conduceva alle Cascate del Fiume Auso oltre che al Ponte Romano e ai Ruderi Fasanella. Dalla deviazione altri 4 km abbondanti di strada finchè entriamo nel parchetto del Ponte Romano che attraverseremo a piedi fino alle piccole "botti" create dalle cascatelle dell'Auso. Lo spettacolo maggiore però lo avremo solo dopo quando resici conto di una nuova stradina ci imbattiamo nella cascata più grande, affascinante e "prepotente" nel suo getto d'acqua. Purtroppo però l'umidità vicino a quelle cascate era tantissima, il sole batteva a mezzo giorno e scottava tantissimo, il fisico non reggeva molto questa situazione e di conseguenza ritorniamo nel parchetto sotto degli alberi "buttandoci" letteralmente sotto il getto della Fontana Auso. Il tempo di riposarsi qualche minuti e di prendere "fiato" che siamo già in macchina pronti per il ritorno a casa, ma arrivati alla deviazione inziale leggiamo su un cartello "Antece" e presi dall'entusiasmo e dalla voglia di non buttare le possibilità offerteci da questa Domenica prendiamo questa strada di montagna. La via è lunga e inerpicata, risaliamo ai 1000 m e a costa Palomba posiamo di nuovo l'auto, questa volta però alle prese con un sentiero tra Faggi, Meli e Peri selvatici che in quindici minuti circa ci conducono alla sommità di Costa Palomba a 1240 msm dove spunta sulle rocce la scultura rupestre di Antece. Antece (colui che precede) è un guerriero datato 2000 a.c. scolpito in una roccia su questo pizzo al di sopra di una vasca sacrificale. Il sentiero per arrivarci è molto semplice nel tratto iniziale ma ababstanza difficile nell'ultimo tratto dove piante alte e fitte fanno perdere i segni del sentiero e disturbano il passaggio. All'Antece purtroppo però non si può sostare molto per la sua posizione, quindi si riscende all'auto e invece di tornare a Sant'Angelo proseguiamo in salita dove incontriamo prima la deviaizone per il Santuario della Madonna delle Grazie, poi il sentiero per la Grotta di Fra Gentile in località Fontana della Madonna ed infine al Rifugio Ausoneto o Sant'Angelo. La strada porseguendo si sarebbe congiunta all'osservatorio astronomico del Casone Aresta ma in quel punto ci andremo una prossima volta per non "consumare" tutto in una sola uscita e sopratutto per organizzarne un'altra con tutta la compagnia che purtroppo non è stata presente a questa improvvista.
La discesa verso Sant'Angelo continua ad essere interessante fotograficamente sopratutto nei punti dove le ginestre coprivano letteralmente i bordi della strada, ma a questo punto ci fermiamo poco e l'ultima sosta sarà sulla strada Serre-Controne dove tra gli uliveti svettavano imponenti e "terrificanti" le vette degli amati Monti Alburni.

REPORTAGE FOTOGRAFICO COMPLETO

martedì 17 giugno 2008

Rifugio Panormo - Cima Panormo...atto estivo

Domenica è stato tempo di allontanarsi dai nostri vicini ed esploratissimi Picentini per tornare sul massiccio "bianco e candido" degli Alburni... bianco per le sue "lame" che scendono a strapiombo lungo la montagna e "candido" per la sua atmosfera pulita e pura. La Cima del Panormo in inverno ci aveva colpito positivamente, l'avventura fu piacevole e la vetta un vero e proprio paradiso da dover rivistare in estate alla luce di colori e atmosfere diverse. Cosi, all'alba partiamo io, Walter ed Eduardo e dopo aver preso l'autostrada ed esser usciti a Campagna, passando per Serre, Controne, Castelcivita e Ottati giuugiamo finalmente agli 11 km finali che dal Cimitero conducono al Rifugio Panormo a 1300 msm. La salita verso il Rifugio è già il sintomo di come la natura si sia rigenerata in pochi mesi ed era praticamente irriconoscibile quel passaggio tra le verdi fronde e i faggi che rendevano la strada buia considerando il ricordo di un percorso brullo, secco e spoglio invernale. Al Rifugio posiamo l'auto in uno dei pianori vicino al primo inghiottitio (completamente pieno di alberi) e ci rechiamo alla struttura per salutare il gruppo Scout di Battipaglia e per iniziare ad organizzarci per il sentiero. L'impatto non è stato positivo a dire il vero, la vegetazione cosi fitta e differente per un po di tempo mi ha tenuto impegnato nel trovare l'imbocco, ma dopo una mezz'oretta nel pianoro finalmente dalle piante si scorge il pozzo-abbeveratio che delimita l'inizio della scalata. Prendiamo subito piede allora nel bosco caratterizzato da Faggi, Cerri e Querce e passando sotto degli alberi inclinati e vicino una roccia calcarea simile ad un dolmen arriviamo in poco tempo al bivio per Lauro Fuso- Pedata della Lepre e Vuccolo dell'Arena - Cima Panormo. Ovviamente la direzione è verso la Cima e girando verso il sentiero impervio entriamo in una nuova faggeta, praticamente buia dove solo ogni tanto qualche raggio di sole penetrava tra gli alberi e colpiva dei tronchi caduti e bruciati dai fulmini facendoci scorgere piccoli funghi tra i muschi. Il cammino non è molto agevole, il tappeto di foglie è bagnato per le piogge, c'è un po di fango e sopratutto c'è molta umidità, ma nonostante tutto non ci fermiamo e a metà strada per il Vuccolo incontriamo anche altri tre escurisionisti di Nocera e Pagani che si uniscono a noi nella traversata. Tra qualche chiacchiera e presentazione giungiamo al Vuccolo dell'Arena dove purtroppo per la vegetazione non riusciamo a vedere le "lame" e cosi armati di determinazione giriamo sulla destra prendendo i tornanti che ci porteranno nel fitto di un bosco che già in inverno è intricato e complicato, un vero e prorpio labirinto naturale. Questo "labirinto" reso difficile da alberi dal basso fusto ben presto ci conduce all'inghiottitoio principale e al passaggio tra altre due "ventare" dove spicca un enorme Tasso Baccato, forse uno dei più grandi esistenti sulle nostre montagne. Pochi passi ancora e finalmente si è allo scoperto sul costone che però a differenza dell'altra volta ora è ricoperto da campi di orchidee selvatiche altissimi e da erbe abitate da bombi e vespe. Superiamo questo tratto con un po di apprensione ma ben presto la strada punta dritto verso l'alto sulla Cima Panormo che raggiungiamo sul sentiero di cresta. Dalla vetta la visuale aperta a 360° ci permetteva di osservare le nebbie e le nuvole basse che si scontravano contro le rocce calcaree e che creavano dei vortici bianchi da paura ed inoltre visibilissimi erano i pianori di partenza. Sediamo per un attimo al punto trigonometrico, salutiamo la guida più esperta degli Alburni Nicola Tuccino (c'è una lapide in vetta) e prima di dividere la spedizione facciamo una foto ricordo tutti insieme. Gli amici scenderanno dritti nel bosco per raggiungere il Rifugio, mentre noi continueremo ancora in vetta verso la vista del Figliolo, ma vi resteremo solo il tempo di scattare qualche altra foto e di vedere le nebbie diradarsi e lasciar posto alla piana sotto Sicignano. Spettacolo entusiasmante, montagna selvaggia, aspra e "incontaminata" dall'uomo. Lo sguardo si perdeva all'orizzonte ma purtroppo il pensiero era rivolto sempre a delle nuovle minacciose e a dei tuoni che non promettevano niente di buono. Allora zaini in spalle e giù per il sentiero, anche se incontriamo alcune difficoltà per rientrarne nel "labirinto", i segnali del CAI si perdevano tra le erbe e solo dopo tanti tentativi riusciamo finalmente a trovare la strada e a proseguire verso i pianori. L'uscita dal bosco è stata delle più spettacolari con il sole a battere sulle felci rese di un verde carico che colpiva gli occhi e lasciava soddisfatti, inoltre la piana verde e il cielo azzurro rendevano il tutto magico e piacevolissimo. Arrivati al punto di partenza entriamo nel Rifugio Panormo dove ritroviamo gli amici di prima che ci offrono da bere e insieme a loro rimarremo per oltre un'ora seduti a tavolo, intorno al camino a raccontare storie di escursionismo e sentieri montani, finchè il freddo non ci ha convinti ad uscire allo scoperto e a metterci al sole a scattare qualche altra foto.
La giornata sembrava ritornare buona e cosi armati di macchina fotografica ci sentiamo in dovere di immortalare tutto ciò che è possibile immortalare, giriamo ed esploriamo piane e doline, troviamo particolari funghi, piccole sorgenti e insetti montani.
La giornata volge al termine, il sole si fa più basso e appagati e stanchi ritorniamo all'auto per scendere verso la Piana del Sele. Entusiasmante anche il ritorno con gli Alburni da Controne immersi tra le nuvole, impressionanti e maestosi...ed il pensiero di esser stati prorpio li su dove il silenzio domina e l'uomo non può far altro che diventare parte della montagna.

domenica 8 giugno 2008

L'essenza della Scorzella

Due video che danno l'idea di cosa sia l'Escursione alla Scorzella, due video pieni di valore "affettivo" e di significato, due video che tentano di far apprezzare ancor di più le bellezze della Verde Irpinia.

Il primo video è la preparazione del Campo base e del Melone con la Grappa.



Il Secondo video di Silvestro Volpe è un quadro di tutta l'escursione

martedì 3 giugno 2008

Escursione alla Scorzella

Lunedi 1 Giugno 2008 sarà ricordata come la "consacrazione escursionistica" delle Associazioni Girogustandocampania e Saxetum, una giornata indimenticabile, un sentiero fuori dal comune, un posto incantevole e incontaminato lontano da tutti e da tutto, un'emozione cominciata la mattina presto ma che tutt'ora sento guardando le foto e i video realizzati. Alle 8.15 la spedizione si riunisce al Varo della Spina prima di Montella, posa le auto e dopo essersi salutata e organizzata prende per il bosco verso la Scorzella, tutto sotto la guida esperta di Silvestro.
Si inizia subito con un piccolo ponte esposto, molto breve che ci introduce nella fitta vegetazione e immediatamente il fragore dell'acqua si sente sempre più vicino finchè dopo pochi passi si incontra la prima cascata sotto un ponte dell'epoca fascista. La mulattiera si apriva a baratro sul corso del fiume e la cascata si tuffava con la sua "potenza" facendo un salto di circa cinque metri lasciandoci tutti stupiti e affascinati da vedere qualcosa che da fuori non è nemmeno immaginabile. Proseguiamo costeggiando la cascata e risalendo la montagna tra splendidi faggi e cerri e ogni tanto lo sguardo si posava su particolari pungitopo e sui tassi baccati (pianta velenosissima). Passati per "Iumicieddo" (fiumicello), un guado ieri secco e continuando ancora per alcuni minuti incontriamo una deviazione d'obbligo che ci condurrà allo spettacolo delle "botti della tufara". Riscendiamo quindi verso il fiume e alcuni (purtroppo non tutti,anche io non ho guadato) togliendosi scarpe e calzini guadano per raggiungere questo spettacolo della natura. Silvestro è il primo a passare, seguono Claudio e Adriano che non esita a "farsi un'immersione semi completa nel fiume" scivolando su del muschio ed infine Eduardo che entra in acqua senza togliere neanche le scarpe. Io, Walter e Andrea purtroppo restiamo dall'altra sponda a fotografare perdendoci lo spettacolo delle "botti" le quali le osservammo più sopra dall'alto. Una serie di cascate che si tuffano nelle cosiddette "botti" ossia conche formate dall'acqua durante gli anni che consumando la roccia ha creato delle vasche spettacolari. Altro passaggio "proibito" per la portata ancora alta l' "Urio di Cupido" che non tarderemo a visitare nella prossima escursione.
La camminata verso la Scorzella non è molto lunga ancora, il sentiero ci accompagna ancora per un'altra mezz'ora effettuando altri due piccolissimi guadi e giungendo nell'ultimo tratto da superare prima di formare il campo base. L'ultimo passaggio è ancora un guado ma un piccolo "ponte" di tronchi e rocce ci agevola la traversata e dopo alcune piccole peripezie di qualche membro della spedizione, riusciamo a giungere finalmente alla Scorzella. Una sorta di penisola tra due rami del fiume detti "troncone" e "tronconciello".
Posiamo le attrezzature, io e Walter ci rechiamo al salto dell'acqua per vedere altre cascatelle che arrivano da molto più in alto e che seguendone il corso portano fin sul Piano di Verteglia alle pendici del Terminio, ma dopo tanti scatti ci prendiamo il meritato riposo e insieme agli altri sediamo su delle rocce. La scorzella è un luogo incantevole situato tra quattro faggi forse secolari che ne delimitano il territorio e dallo spettacolo dei rami del fiume che con il loro scorrere rendono l'atmosfera davvero suggestiva ed emozionante.
Mentre osserviamo e riposiamo Silvestro, Andrea e Claudio preparano l'accampamento mentre Adriano si avventura per i boschi alla ricerca di sentieri nuovi da esplorare. Vedere i nostri amici all'opera è stato un saggio di come comportarsi in montagna e sopratutto di come ci si viene attrezzati e preparati... una base per il fuoco con pietre per delimitare la combustione, la ricerca di rami adatti e di foglie precise, la preparazione della brace, la cottura della carne e sopratutto lo spettacolo della "grappa al melone". Silvestro infatti, taglia un melone alla sommità, facendo una sorta di cappuccio a forma di stella, toglie il cappuccio e svuota il frutto per bene, dopodichè riempie il melone di grappa e lo richiude col "cappuccio" fissandolo con stuzzicadenti (di solito scoglie la cera di una candela per sigillarlo), il tutto per portarlo in un ramo del fimue, riaperto dopo aver tolto foglie e rami che ostruivano, per posare il tutto nell'acqua e farlo raffreddare (dicesi frigorifero). Davvero una tecnica simpatica e ingegnosa che mi è rimasta molto impressa.
Dopo aver arrostito per bene la carne e brindato al sapore di "Luigino" (cosi si chiamava il vitello prima del macello) e dopo aver mangiato una bella "panella" con la soppressata di Montella, riponiamo le attrezzature negli zaini, spegniamo il fuoco e ripartiamo verso il Varo della Spina. Il ritorno è stata un'altra esperienza unica con me e Claudio impegnati in una vera e prorpia corsa in montagna fino alla fontana finale, lasciando tutti indietro e aspettandoli per oltre venti minuti all'uscita del bosco. Una giornata davvero memorabile, un ringraziamento agli amici di Montella che sono stati gentilissimi e ospitali e una citazione di merito a "Bussola" il cane di Silvestro che poverina ci ha seguito stancandosi molto durante la "folle corsa" del ritorno.