giovedì 12 marzo 2009

La via inviolata dei pianori

Tanta neve sulle nostre montagne! Una nevicata forse paragonabile solo a quella dell'Ottobre 2007 o addirittura ad un assaggio del Gennaio 2005. Neve fresca, muraglioni di bianco accantonati dagli spazzaneve già da Acerno, l'inverno è ritornato agli inizi del mese che dovrebber portare la Primavera. Il ritorno dei "folli" escursionisti ovviamente non poteva mancare , nonostante le disavventure del giorno prima, nonostante gli avvertimenti e nonostante il fiume di nebbia che scendeva lungo l'ex statale 164. Una giornata "strana", apparentemente delineata da un alone di grigiore e di tristezza. Il bianco candido e persistente del giorno prima lasciava il posto all'esausto manto che pian piano perdeva resistenza e forma. L'asfalto "grattato" da ghiaccio sparso lungo i bordi e da chiazze che non erano state accantonate dallo spazzaneve. Una mucca solitaria vagava pensierosa e disorientata lungo il favoloso castagneto che apre la via alla Raia della Scannella e la valle del Calore triste e coperta.
Una situazione decisamente poco promettente e poco entusiasmante, "coadiuvata" da una pioggerellina sottile e insistente che da Bagnoli Irpino si portava lungo la strada per Laceno fino al Belvedere Grande, dove con un po di sforzo e non costantemente si ritornavano a vedere piccoli fiocchetti.
La Fontana Chianizza giaceva spaccata in quel tornante abbanonato da mezzi e da persone, e sulla destra i pianori coltivati riposavano placidamente sotto la coltre compatta e "misteriosa". La nebbia continuava a dare la sua costante compagnia e il vento aumentava fortissimo, tanto che gli abeti che "indicavano" il Colle Molella , danzavano vorticosamente e lasciavano cadere enormi quantità di neve che si mescolavano con i nuovi fiocchi.
Il Laceno un "mare" tetro che fuoriusciva dal plumbeo gioco delle correnti di quota e delle condense; la sensazione inusuale e terrificante di sostare su di una costa immensa della quale non si vede l'altra sponda , ma si assapora l'ebrezza dell'ignoto. Un ignoto che man mano diventava consapevolezza e certezza di esser giunti a destinazione, in quell'angolino di altopiano che da spazio alla vista chiara e decisa dell'intero Lago.
Posata l'auto iniziavano le dolenti note, suonate da un grecale sprezzante e insistente. Le mani e le guance subito risentivano del forte colpo e nonostante quell'essenza del nord est, respiravamo un'aria umida e "pesante" che ci rendeva nervosi ma combattivi nello stesso momento.
L'imbocco del sentiero prefissato ormai appariva chiaramente un obiettivo impossibile da raggiungere con qualsiasi mezzo, e cosi, con quelle fedeli compagne ai piedi (le ciaspole) iniziammo l'avventura verso il Piano L'acernese; il piano dal quale avremmo optato per Valle D'Acera o per il Raiamagra.
Dapprima un paesaggio "gonfio" e "immerso" ci regalava una visuale di villette e lampioni pandorizzati e "relegati" a tempi e mesi ormai lasciati alle spalle e ad un tratto, improvviso e inaspettato tutto scomparve sotto la coltre "costruita" il giorno precedente rendendo il cammino aspro e contorto. L'asfalto scompariva "impietosamente" mentre i cartelli stradali che spiccavano con il loro blu carico ci indicavano una via che non c'era. "CALABRITTO" - "ACERNO" , risultavano mete irragiungibili per automobilisti ed escursionisti ed ovviamente il pensiero era rivolto a quel ramo di strada che si congiungeva in un sicuramente strabordante Piano Migliato.
Un muraglione di oltre un metro segnava la linea di demarcazione tra il mondo moderno e quello antico, un passaggio scoraggiante e contemporaneamente interessante. Le racchette scavavano lungo il lato congelato cosi da creare uno scalino alla volta per superare l'ostacolo, e una volta scavalcato il "muretto" i piedi cominciavano a sprofondare per oltre 30 cm. Gli attrezzi "galleggianti" non ci sostenevano come negli altri giorni. La neve fresca , umida e troppo soffice non ci permetteva grandi possibilità di movimento, cosi un passo alla volta prendemmo il "largo" verso la prima faggeta. Il sudore scendeva caldo lungo la pelle arrossata, stonando completamente con un contesto gelido e ventilato che si contornava di piccole e "sterili" nevicate. La fatica cosi "pungente" e fastidiosa non si era mai fatta viva come in quegli istanti, ma la voglia di montagna era sempre un'essenza più forte. Il riposo del "guerriero" si fece subito spazio tra la "sconfortata" indole della "coppia d'attacco", eppur risultò necessario il tutto per riavviarsi con grinta verso un obiettivo ormai "scomparso". Il rivolo, ormai reso quasi un fiumicello nato dal nulla, contornato da ricami di neve lungo il percorso che "Brullamente" si intravede in estate, disegnava un serpentello grigio e trasparente che si perdeve a vista nel bosco fatato e stregato dal "soffice cotone". L'immensa distesa immacolata rendeva quasi inermi e dispiaciuti nel calpestarla, al tal punto da evitare qualsiasi mossa sconveniente e reagire diversamente, con spirito di esplorazione, tendendo il passo teso e "spesso" verso altri "colli" con il tentativo di aggirare l'ex strada e lasciare incontaminato il suggestivo paesaggio.
Oltrepassando il fiume, sulle verdi ringhiere del ponte che da il via alla lunga salita al Cervialto, addentriamo i nostri spiriti verso un incosciente passeggiare "ludico", come a voler a tutti i costi trovar del nuovo in ciò che già vedemmo, e nonostante il ritornar indietro nel tempo, il "gioco" riuscì. Riuscì cosi bene che le gialle casettine del "Bruno Zauli" , sempre trattate con non curanza, divennero luogo di un immaginario villaggio d'altura. I colori cosi forti , contrastanti con l' "unanimità" del paesaggio , spezzavano positivamente la vista e quella strisciolina verde scuro di quell'ultimo muretto in fondo al vallone , rendeva sempre più "fantasioso" il nostro nuovo modo di esplorare. Poi che fu superato il villaggio, riprendemmo con insistenza fino alla dimora abbandonata di un pastore, prendendovi rifugio per qualche istante e oltrepassando poi il recinto dove abitualmente pecore o mucche stazzano gioisamente. I pascoli lontane immagini di questa giornata, si allontanarono anche dai pensieri dall'istante in cui si risalì verso la "strada" e una cascata "improvvisata" , incastonata in un cunicolo di faggi giovani e gelati, ci fece sussultare dall'emozione, mentre posavamo i piedi lungo dei grandi massi che della roccia avevano solo la forma modellata dalla dama bianca.
L'acqua risuonava dolcemente al "silenzio" del bosco e quel dolce rumore scompariva come in dissolvenza quando ritornava prepotentemente a nevicare, con fiocchi larghi e possenti. Una nevicata finale , duratura ed entusiasmante che confuse spazi e menti al tal punto da toccar con mano quell'alberello simbolo del L'acernese e non rendersi conto della meta raggiunta.
Nebbie eclettiche e veloci, fiocchi di ogni dimensione, dominio esasperato e immenso della natura, e noi soli come pedine nelle mani di un "giocatore" saggio e benevolo.
Potemmo godere solo pochi istanti di quel "paradiso", finchè il colore predominante si fuse con il cielo e lasciò spazio solo all'immaginazione. Tutto si chiudeva e tutto ritornava nell' "abisso" dei monti. Come inermi spettatori infreddoliti e commossi, ritornammo sui nostri passi, lasciando libero sfogo alla natura e ai suoi "componenti"

martedì 10 marzo 2009

La nevicata del 6 Marzo 2009

Il 6 Marzo rimarrà nella mia personale storia, una giornata da ricordare e da raccontare come un poema, un racconto eroico dal sapore mitologico. Qualcuno mi dirà sicuramente mi darà dell' "esagerato", del conta "balle", eppure vi assicuro che questa giornata ha avuto un qualcosa di particolare e affascinante che sa di "impresa".
La Montagna mi era lontana da parecchi giorni, l'ultima uscita risaliva ad una ciaspolata con il Club Alpino alle Acque Nere del Terminio e ormai la neve risultava un flebile ricordo. Oltre una settimana senza cammianre sentendo quel rumore rilassante e senza immergersi negli amati Picentini! Un vero calvario!! Avevamo provato a scalare qualche vetta, ma come una maledizione tutto ci respingeva. Il Monte Monna si nascondeva troppo dietro le nebbie, l'Accellica sfumava per impegni improvvisi, la vetta del Terminio per sopravvenute febbri e raffreddori nella spedizione...decisamente un periodo nero!
Occorreva ribaltare la situazione, passare dal nero al bianco recuperando il passato e la neve persa! Da qualche giorno ponderavo come agire e come muovermi e osservando le previsioni del tempo notavo con fermezza la possibilità di una bella nevicata "cittadina" proprio verso il 6 Marzo. Perplessità, confusioni e alla fine istinto e incoscienza. Venerdì mattina, sotto una pioggia battente si lascia la Piana del Sele, al mio fianco il fedele "scudiero" Vito, compagno di tante avventure, "superstite" di giornate al Cervialto e di estati al Raiamagra, collega della compagnia del "Laceno", ma assente incomprensibile dai campi "innevati". Ebbene si, Vito non aveva ancora visto la neve in vita sua e credevo che dopo 21 anni fosse giunta l'ora di rimediare.
La notte non avevo dormito neanche un minuto e la mattina ero sveglio e pimpante lo stesso, la direzione decisa verso Montecorvino Rovella, il tergicristalli in azione al massimo e aria calda per "pulire" il vetro dell'auto dalla condensa. Le parole non si sprecavano, eravamo concentrati, io con il cuore a Bagnoli Irpino, immaginandola già tutta bianca nonostante non avessi notizie dal paese. Il mio amico invece "ignaro" della situazione, tranquillizzato dalla parole del "conducente" che assicurava "un po di neve solo verso le croci di Acerno" (citazione personale) .
Ovviamente non credevo a ciò che dicevo ma dovevo convincermene; non avevo mai montato catene, non avevo mai camminato su strade innevate e non mi ero mai trovato sotto nevicate "live" in automobile...mi sentivo pronto ad affrontare rischi e pericoli pur di vedere ciò che volevo.
Superato qualche tornante dopo la Madonna dell'Eterno noto con un po di sorpresa qualche fiocco già misto alla pioggia e rimango alquanto sconfortato. Il mio pensiero ormai andava ad Acerno, avevo capito che li stava nevicando per bene ed ero sconfortato dalle parole di un amico bagnolese che mi parlava della strada dalla croci al paese, la quale in queste situazioni non veniva mai pulita. Quelle parole mi rimbombavano nella testa come un monito di prudenza misto a voglia di vedere di persona, ed infatti la macchina saliva tranquilla verso il primo valico. La fontana del vescovo era leggermente imbiancata, i fiocchi cadevano piccoli ma insistenti, "n'gopp o' vaccar" il paesaggio era splendidamente candido e la strada era coperta ad intermittenza. Guidavo piano, godevo la nevicata e nello stesso tempo facevo attenzione a curve, frenate e sterzate. Davo sempre un'occhiata alle macchine che scendevano per notare l'accumulo sui loro tetti e di conseguenza mi regolavo per il prosieguo. Al Valico la strada diviene difficile da interpretare. Tutto bianco, fiocchi grandi, castagneti ritornati ai fasti invernali. Parcheggio la macchina in una piazzola, sono combattuto sul da farsi. Vito non sa consigliarmi mentre guarda estasiato la sua prima nevicata ed io non avevo idea sulla viabilità verso Acerno. Dopo circa 15 minuti decido di proseguire lentamente e dopo il lungo rettilineo percorso a velocità ridottissime scopro con piacere la strada pulita. In quell'istante riprendo fiducia, vedo la meta riavvicinarsi e riprendo velocità. Nevica sempre, guardo in alto e noto "fiocconi" infrangersi sul vetro ma non attecchire per le precedenti piogge. Il cielo è diventato candido, l'atmosfera da paradiso e tutto fuori taceva come se la natura osservasse come noi spettatori umani. A "n'dramaciume" la situazione è tranquilla, ma man mano che risalgo verso Acerno la strada torna ad imbiancarsi, la variante è inagibile e all'ingresso della cittadina l'accumulo su tetti e auto è già di qualche centimetro. Fatico a frenare e in salita già qualche volta sento la ruota slittare, ma ormai son qui e voglio continuare. Attraverso il corso osservando i pneumatici della altre auto e quando arrivo all'imbocco di Via Montella, il Viale San Donato mi appare come in un sogno. Quegli alberi leggermente dipinti davano un colpo al cuore, i lampioni accesi in pieno giorno, quella luce che si infrangeva sulla neve che ne copriva i vetri rendeva tutto immensamente affascinante.
All'angolo del quadrivio noto con sollievo uno spazzaneve e mi fermo a chiedere informazioni. Vengo rassicurato e addirittura mi sento dire la frase che aspettavo : "vai, anche se rimani bloccato ti veniamo a prendere". Un invito a nozze che mi lancia deciso verso l'imbocco della strada per le Croci, ma dopo pochi metri la neve diviene molto più difficile da superare. Fermo l'auto l'ennesima volta, provo a montare le catene ma forse per l'ansia non riesco a montarle. Le mani mi si gelano, non riesco a muovere le dita e anche un vecchio batti fieno in un giardino sembra volermi prendere in giro. Siamo quasi sconfitti e pronti al ritorno, quando lo spazzaneve ci supera ed io metto in moto e lo seguo al volo. La strada diviene sempre più stretta, il manto nevoso cresce, il cielo si confonde con i fiocchi sempre più grandi, i castagneti scompaiono e i guard rail vengono sommersi. Lo spazzaneve avanza inesorabile mentre noi perdiamo terreno e la strada ritorna a "sporcarsi". Fortunatamente ci supera un fuoristrada, seguiamo la sua scia, ma le ruote sembrano non volerne sapere e la nevicata si infittisce. Momento difficile, concentrazione massima eppur arriviamo alle Croci dove è in atto una bufera impressionate; non riesco a notare niente oltre la neve. Persino il tergicristallo sembra bloccarsi e soffrire del peso dell'abbondante accumulo. Supero le croci con cautela, Vito ormai è ipnotizzato dalla "danza bianca" e io sempre più deciso a raggiungere Bagnoli, ma improvvisamente un altro stop! Al bivio per Montella e Bagnoli la strada non è pulita, la neve supera i 10 cm, dietro non si può tornare perchè la situazione è peggiore al Valico e le decisioni vanno prese in fretta. Due secondi di ragionamento ed ecco che dalla provinciale sbuca un altro spazzaneve che ci libera il passaggio! Di nuovo verso Bagnoli Irpino! La strada questa volta non trapela neanche un millimetro di "nero", il bianco è ovunque, la corsia è ridotta alla sola auto , le dune nevose crescono e all'improvviso perdo il controllo del mezzo. La mia macchina perde aderenza, scivola, si piega sul lato destro, i freni sono inutilizzabili ma con un po di destrezza riesco a fermarla. Scendiamo dall'auto immediatamente sentendo scricchiolare la vettura che sembra aver voglia di continuare da sola. Ormai o si montano le catene o si aspetta lo spazzaneve. Decido per la prima opzione e questa volta so che non posso sbagliare o farmi prendere dal momento. Tolgo i guanti, passo le catene sotto il primo pneumatico, faccio un po di errori, ingarbuglio i fili la prima volta ma poi recupero la situazione e alla fine riesco a montarla. Intanto i fiocchi cadono a larghe falde, il mio giubbino è bianco come la strada , ma ormai sono lanciato e monto anche le catene sull'altro pneumatico.
Rimontiamo in auto, Vito è sollevato e io lo sono ancor di più...le catene fanno il loro dovere e compattano la neve a dovere lungo il percorso ormai segnato. Lo spazzaneve dopo mezz'ora ancora non arrivava e li capii che non avrei potuto aspettarlo e che ormai l'unica soluzione per il ritorno sarebbe stata l'Ofantina.
Lungo la strada gli alberi si univano da una parte all'altra della carreggiata grazie all'accumulo fresco e tante mucche battevano la "pista" prima di me. Alcune scivolavano e goffamente tentavano di rialzarsi, probabilmente anche loro sorprese da questa sfuriata marzolina. Una sfuriata piacevolissima, cosi piacevole per me che anche in momenti concitati trovo il tempo di fermare l'auto e scattare tante foto, tra lo sguardo incuriosito del mio "collega" che non sa più se la mia mente sia "stabile o meno".
Alle "castagne Cappetta" ritroviamo il primo vero asfalto e altre scie di fuoristrada che ci conducono al paese in tutta tranquillità. Bagnoli Irpino è raggiunta, il paese è bianco, il sogno diventa realtà. La nevicata sembra ancora debole e pare voglia riservarci qualche sorpresina mentre scendiamo a piedi per i vicoli e ci divertiamo ad osservare uno scenario rinnovato. La Chiesa Madre, il parco pubblico, il castello, la chiesetta di Santa Margherita, il campanile di San Domenico, tutti elementi incastonati perfettamente in quel paesino che sembrava una di quelle sfere souvenir con l'acqua e pezzettini bianchi effetto neve. Dopo la Sagra del Tartufo mi sembra di aver avuto un nuovo incontro con Bagnoli, forse più intimo e privato, rispetto al precedente basato e fissato sull'accoglienza e l'amicizia di tante persone.
Finalmente mi sentivo appagato, avevo raggiunto uno scopo che agognavo da tempo e che ogni qual volta ricevevo una telefonata da amici del posto al suono di "sta nevicando", credevo non vivere mai sulla mia pelle. Intanto la nevicata cresceva, cadevano "fazzoletti", il manto nevoso era a dir poco interessante ed è forse giunto il momento di partire, salutando Piazza Di Capua per due volte prima di raggiungere Via Roma. Volevo recarmi verso l'Ofantina ma prima decido di girare per Piazza Matteotti e via Circumvallazzione che mi appaiono letteralmente stravolte e modificate. Prima del Campo sportivo scatto foto che rimarranno per sempre nei miei occhi e il passeggero al mio fianco aveva capito le mie "cattive" intenzioni. Salire al Laceno, con catene e con la speranza di mezzi spazzaneve! Ma forse la coscienza, forse qualcun'Altro, mi fermarono dall'improbabile tentativo e cosi ritornando sulla "pista da sci circumvallazione" presi la via del ritorno. Lungo il passaggio verso San Francesco a Folloni la nevicata aumentava ancora d'intensità e anche la valle si imbiancava, il raccordo dell'Ofantina sembrava un addio alla neve ma verso Vulturara Irpina la situazione degenerava. Nevicata ancora più fitta di prima, fiocchi questa volta enormi, accumulo istantaneo su vettura e asfalto, l'incubo di tanti automobilisti stava prendendo corpo. Lungo la salita due auto perdono aderenza e scivolano chi verso destra , chi verso sinistra ed io con attenzione riesco a passare tra di loro evitandole. Un automobilista gira su se stesso nel tentativo di ripartire e nessuno sembra aver portato le catene. La nevicata continua e verso Bolifano è l'apoteosi bianca. Ma quel delirio e la gioia di vivere quest'esperienza si trasformano in un'odissea. I Carabinieri ci fermano, alcuni camion si sono posti di traverso sulla carreggiata, il traffico è in tilt. Rimaniamo incolonnati per mezz'ora, l'auto è un pupazzo di neve e noi mangiamo un panino speranzosi in uno sblocco della situazione. Purtroppo i carabinieri ci avvertono che rimarremo li per ore e allora di'impulso faccio inversione e ritorno verso Montella. Ancora scene di panico e di automobilisti in difficoltà con auto contromano e scivolate da paura, sto per superare quasi il tratto critico quando vengo rifermato dai Carabinieri. Lo sconforto è alle stelle, credo quasi di dover dormire a Bagnoli, e a dir la verità non è che la situazione mi dispiaccia, ma non in compagnia e deve assolutamente tornare. Altre vetture sono in testa coda e solo con alcune spinte vengono riportate in carreggiata. Sembra profilarsi un altro blocco, ma ci viene dato il via libera e cosi con catene e passo lento proseguiamo silenziosi e concentrati. Montella, Nusco, Lioni e finalmente la deviazione per la Fondo Valle Sele. La neve è ancora presente ma qualcosa sta per cambiare, a Teora gli accumuli sono inferiori, a San Gerardo sembra stia per piovere e finalmente dopo due gallerie troviamo solo l'acqua e possiamo togliere le catene. Il rumore incessante e il tremolio del manubrio finiscono e mi sento quasi al volante di un aereo tanto la strada mi pare liscia e scorrevole. L'Alta Irpinia era stata superata, il salernitano si affacciava con la sua veste pedemontana piovosa e grigia, finchè dopo Contursi e fino a Valle il sole fece capolino e le strade ritornarono asciutte e definitivamente serene.

Le "acque" del Monte Terminio

Un insolito Terminio si prospettava al mattino di una Domenica incerta e ancora difficile da comprendere. Il sintomo di "malessere" di un cielo che non fa percepire se guarirà o peggiorerà l'unica sicurezza della giornata. Le schiarite sicuramente maggiori delle coperture, l'allegria del gruppo sempre forte e coinvolgente e i primi cumuli di neve che come ogni giorno di escursione appaiono lentamente a piccole macchioline che si ingrandiscono e si uniformano man mano che si sale. La vetta ornata di guglie e valloni si faceva apprezzare da un tornante dei primi castagneti, il Vallone Matrunolo sfavillava contornato dai soliti abeti nani e da paurose e vertiginose pareti innevate, il giorno ideale per raggiungere il punto più alto e abbracciare con un sol gesto l'intera Campania. Eppur questa volta i piani cambiano, si modificano, evolvono e al Varco del Faggio riponiamo le nostre speranzose idee di neve "bassa" e seguaci di un esperto direttore di escursione ci addentriamo nelle prime faggete "abbagliate" da un sole che in quell'istante riscaldava la giornata. La neve compatta e ghiacciata scricchiolava "degnamente" permettendoci di passeggiare agilmente e con rapidità sulle ciaspole consumate dai numerosi chilometri invernali. Gli sciatori invece riuscivano a disegnare la strada precedendo noi ciaspolatori, nel tentativo di non ritrovarsi in fossi e cunette che avrebbero solo impedito la marcia. Una marcia resa "umida" e faticosa dal riflesso della neve che faceva rimbalzare i forti raggi su di noi, scottandoci e costringendoci a spogliarci fino alla prima maglia del pesante strato. A soccorso di un "plotone" disposto in lunga fila indiana, un piacevole e rilassante viale di abeti. Abeti ancora ricoperti di neve che con la loro folta e fresca chioma refrigeravano guance , braccia e gambe, fin quasi a ripercepire il freddo che a Serino penetrava nelle ossa. Viene quasi voglia di ricorrere al giubbino ma in un istante ci ritroviamo di nuovo lungo collinette di piccoli arbusti che si susseguono rapidamente, e cosi tra passi in discesa e in salita ritorniamo a sudare e a faticare.
Il manto nevoso non sempre uniforme, frutto di un sentiero che dai 1000 metri di quota si dirige nelle viscere del massiccio e si abbassa fino a toccare quasi traccie di alta collina, scenari ben lontani dalle nebbie del Cervialto o dalle ripe del Cervati, ma sempre degni di esser vissuti con uno spirito "devoto" alla "Signora Montagna". Sarò sincero, all'inizio di questo percorso, avevo il cuore triste, un qualcosa mi diceva di dover salire, di provare a raggiungere le quote a me più consone. Sulla mia spalla un diavoletto mi incitava a lasciare il gruppo e a proseguire da solo verso Verteglia e il Rifugio degli Uccelli, mentre un angioletto consigliere mi tranquillizzava facendomi notare la mia irruenta impulsività. Uno scontro mentale e psicologico che si risolve nella scelta di compagnia, e fu una scelta che ancor oggi ripenso con orgoglio. Tra le altre questioni "morali" infatti, avevo dimenticato del buon proposito di visitare ogni luogo a me sconosciuto e quasi con testardaggine e campanilismo escursionistico stavo per discostarmi dai miei intenti. Ma son bastati pochissimi passi a farmi ritornare in sintonia con la natura, ed infatti uno scorcio verso Sassosano e il Felascosa, misto alla visione di un enorme pianoro bianco mi ridanno vigore e sopratutto spirito di iniziativa. Prendo allora la testa del gruppo e ripercorro velocemente con la mente il percorso sulla cartina che avevo studiato in precedenza, mi accingo a scrutare ogni dettaglio ed ogni particolare finchè richiamato dal suono soave dell'acqua resto "imbambolato" nel ritrovarmi in un luogo a me noto ma che in quel momento mi pareva altro.
Sotto di me scorreva un ruscello che di li a poco si sarebbe mescolato alle acque del Calore e sarebbe confluito fin giù alla Scorzella e spostando lo sguardo verso il crinale , adocchiando un passaggio sicuro discendo fino alle coste del torrente ad osservare la bocca inquietante della Grotta di Candraloni. In estate lo sfondo rossastro e verde rende l'atmosfera ancora più tetra mentre quest'inverno fresco e nevoso fa riprovare sensazioni di pace ed armonia. La cascata che si infrange sulle rocce e che viene inghiottita da Candraloni non incute timore ma un senso di impotenza e di rassegnazione tranquilla che ti fa comprendere l'immensità e il corso vitale della natura. Enormi "filamenti" di ghiaccio facevano da dentatura alla volta franata del grave e l'umidità come al solito offuscava leggermente la bocca della sempre "assetata" caverna.
In un attimo tutto il gruppo mi è vicino, tra cadute, scivoloni e addirittura uno sci che staccatosi dai piedi di un "distratto" sciatore , corre rapidamente verso l'inghiottitoio e solo la fermezza di qualcuno lo salva dalle sue grinfie. Un piccolo attimo concitato che ci fa rimettere in marcia, fin sulla caserma Candraloni dove pulendo i tavolini e i seggiolini dalla neve ci riposiamo e ci rifocilliamo. Anche in questa ultima fatica di Febbraio la mitica girella alla nutella nei momenti di pausa rappresentava una fonte di energia inesauribile. Una fetta a destra, una fetta a sinistra, un complimento qua , un complimento la e il contenitore di dolci finisce in un istante. Lo stesso istante in cui ci rialziamo e superando un ponticello ci ricongiungiamo verso il ristorante la Bussola riscendendo lungo la strada asfaltata che porta al Piano delle Acque Nere. Naturalmente un "asflato bianco", non battuto e non pulito per la sua "inutilità" al turismo di massa.
Facile e scorrevole allora risulta il prosieguo che ci porta dritto ai pianori tra fiumi di "acque nere" , ponti in legno mimetizzati con la natura e sorgenti spontanee figlie di un inverno "autunnoso". Persino le rocce più statiche sembravano capaci di "sprizzare" acqua dai loro "pori" e noi, oltrepassando un muraglione di accumulo eolico freschissimo, osservavamo con la meraviglia di esseri innocenti quelle sceneggiature articolate ma nello stesso semplici organizzate dal maestro calcareo.
Il sentiero che aggirava il piano imbiancato sembrava non finire, la strada percora era davvero tanta e forse solo il piacere della montagna faceva si che noi non ce ne accorgessimo, ma mancava ancora qualche metro alla meta stabilita. Ancora ruscelli, ancora onde di neve che si reggevano su argini di terra, qualche guado in ciaspole e qualche piede nel fango per arrivare nei pressi di una fontana in pietra alla quale prendiamo la "sosta ufficiale".
Tutti seduti ai bordi del fontanile, alcuni con i pidei sulla vasca a far dondolare uno strato rettangolare ghiacciato sulla sua superfice, mentre altri presi dalla curiosità (tra questi anchio) si recano verso una parete rocciosa, sotto la quale, maestosa e sorprendete spuntava la sorgente dell' "acqua della pietra". Un getto a forma di due mani intrecciate e legate al solo indice che si tuffa nel canale ai suoi piedi e che fuoriesce piatta sotto la fessura di una roccia squadrata che ne delimita la sommità. Il trionfo dell'acqua e della vita che si impossessano di qualsiasi cosa corra sul loro tragitto e sono capaci di convivere in simbiosi come linfa della montagna, dei boschi e degli animali della "foresta picentina".
Sembrerebbe certo ormai un riposo duraturo e meritato in quell'angolino rilassante ma l'acqua non fnisce di stupirci e si ripresenta sottoforma di una fitta nevicata che ci costringe a riprendere armi e bagagli e ripartire verso il Varco del Faggio. Finalmente un'improvvisata che movimenta la finta monotonia dei passi su trreni uniformi, o forse, finalmente ad un fenomeno che tanto aspettavo e che molti nel gruppo volevano evitare per non bagnarsi e non rimanere infreddoliti. Sento improperi e rimproveri che vanno nella mia direzione quando ormai in delirio assoluto mi reco da solo per il pianoro, con lo sguardo verso l'alto, la bocca aperta a raccoglier qualche fiocco e le braccia larghe in simbolo di "benvenuto". La mia gioia alle stelle ad ogni batuffolo caduto dalle nuvole e più amentava l'intensità della nevicata più avevo voglia di urlare al bosco la mia gratitudine. Gli zaini si coprivano rapidamente di bianco, i guanti scomparivano mimetizzati con il contesto candido e quando il tutto ormai aveva una parvenza "immacolata" ecco che vedo il Varco del Faggio che si presenta come la fine di un "gioco" appena cominciato.
La montagna continuava a sfornare nubi da neve che scaricavano sulle auto e sulla starda rendendola uguale al sentiero e fino alla fontana i fiocchi erano visibili e insistenti, finchè verso Serino il sole riprende il comando e pone fine all'ennesima avventura di quest'inverno indimenticabile.

Escursione del 22 Febbraio 2009