martedì 30 dicembre 2008

Le nevi del Cervialto...disaventure dell'antivigilia

Bagnoli Irpino ci aveva salutato qualche sera prima regalandoci uno scenario mozzafiato, un tramonto sul rosa e sul lilla che accarezzava le vette dell'Altopiano Laceno e quel delinearsi delle vette Montellesi mentre i paesi nella valle si illuminavano come tanti presepi di notte dal belvedere grande. Il vento freddo e il cielo limpido, le luci dei lampioni sulla strada gelida da contorno al Lago e quella neve alta che con il calar del sole acquistava sempre più un colore rosso fuoco. Il tranquillo passeggiare poi per la piazza, le visite agli amici, i caminetti accesi, le caldarroste e quell'inesorabile ritorno verso casa. Un addio che non è mai definitivo ed è assicurato il ritorno anche quando non te lo aspetti oppure credevi di recarti altrove.
Alla mattina dell'antivigilia di Natale la prima inversione termica (degna di questo nome) dell'anno si mostra sullo specchio del Laceno costellandolo di piccole placche di ghiaccio che faticano a tenersi unite. Sottili strati di "cristallo" che alle prime avvisaglie del sole si ritirano e ritornano al loro stato naturale, mentre sotto le siepi e alle pendici dei monti la gelata continuava a vivere e a rendere lo scenario diviso in due settori diversi. L'inverno da un lato, l'autunno dall'altro, cosi come si spezza la linea di confine tra le vette e l'altopiano, l'uno spoglio e l'altre bianche. Il passo lento del mattino riprende vigore alla solita "piazzetta" del Colle del Leone dove osservo con sorpresa delle chiazze di neve congelate nella piana dei vaccari. L'altro mondo irpino al confine con il caldo salernitano si incontra in questi luoghi e tra un cumulo di foglie cadute e un tronco riverso dal vento, di versante in versante iniziamo a salire per il Monte "amico". Dalla strada si nota tra gli alberi già la sagoma del mare e una nave che transita sembrando quasi immobile data la lontananza. Subito si perde la traccia della piana e il sentiero sale leggero e "franoso" sotto le scarpe spesse e consumate. Le parole non sono frequenti perchè l'inattesa temperatura colpisce il petto e il fiato e si preferisce fare "economia" di energie per arrivar "freschi" alla meta. La neve non ancora presente in grandi quantità è presente già da qualche metro e man mano il manto diviene sempre più compatto, scalfito solo dai nostri passi.Come in un rituale antico mi fermo in un punto ,ben presente nella mia mente, per togliermi il guanto destro, chinarmi sulle ginocchia e toccare la candida neve, granulosa e fredda. La mano subito diviene rossa e alcune goccioline scendono tra i suoi "canali", mentre un raggio di sole tra le "vecchie chiome" l'asciuga lentamente. Ritorniamo nel cammino dove già qualcuno ci avrà preceduto in questi giorni, notiamo le stalattiti sotto le radici dei faggi e anche la potenza del gelo che spacca alcune rocce. Alcuni tratti , vicini ad alcune pareti sono leggermente franati e sul bianco diventa ancora più evidente la traccia di terra. La strada alla mia destra è irriconoscibile in questa nuova "manifestazione", le fragoline di bosco non ci sono più, le more aspettano in "riposo" i tempi caldi (ancora lontani) e le erbe "dormono" sotto il "dolce" accumulo.
Siamo ormai giunti alla "torretta" dalla quale non riesco mai a far a meno di dare uno sguardo "furtivo" al Laceno e a tirare sempre un sospiro verso il "Varco del Paradiso" delle Accelliche. Il punto dove si riesce a fondere la conoscenza dei monti con l'infinito ancora da scoprire. Solitudine, gioia, consapevolezza, amarezza, dolcezza, il cuore e l'animo non hanno pace di fronte all'immensa "prole" della natura. Cosi punto il cielo con gli occhi spalancati e tremolanti per ringraziare Colui che tutto ciò l'ha pensato nella notte dei tempi.
Il passo ora diventava più pesante, il sole rifletteva sulla neve scottandoci le guance e facendoci avvertire un calore irreale, quindi ci fermiamo per riorganizzare il vestiario e dare una controllata alle scarpe e alle attrezzature. A Filicecchio sostiamo su una transenna di legno che congiunge la strada principale con la deviazione per il Piano Migliato. Siamo ,per la prima volta dopo tante escursioni, davvero stanchi. Il caldo e il sudore infastidiscono non poco e ormai l'assenza delle racchette si fa davvero pesante. Sprofondiamo fino al polpaccio, la camminata è macchinosa e le ghette riescono solo a dar sollievo alla gamba mentre i piedi cominciano (nonostante l'impermeabilizzazione) a sentirsi umidi e ghiacciati. Ma la forza d'animo è sempre viva, non si può lasciare un sentiero senza toccare la vetta almeno per un secondo e quindi gli sforzi continuano fino all'ultimo rettilineo prima delle creste. A questo punto il mio zaino diviene un macigno, appesantito anche dalle attrezzature e dal giubbino del mio amico che sente la fatica molto più di me. L'inferno del Cervialto stava per cominciare e quegli ultimi cinquanta metri verso le creste sembravano non finire mai, tra un passo lento e alcune parole per constatare le condizioni del mio "collega". Finalmente dopo aver "sofferto" abbastanza prendiamo il meritato riposo sotto alcuni alberi prima del tratto finale dove a differenza dell'inverno scorso (15 Febbraio 2008) la neve è davvero alta e tocca i 50 cm in molti punti facendo scomparire la fisionomia originale delle "coste". La pendenza aumenta, il sole è dritto sulle nostre teste, abbiamo le facce arrossate e caldissime e nell'istante in cui la mia piccozza sprofonda durante un passaggio roccioso sento un urlo di disfatta. A pochi passi dalla meta, l'amico rinuncia all'impresa, era la sua prima volta con la neve e l'attrezzatura insufficiente legata all'allenamento discontinuo avevano giocato d'anticipo sulla volontà di vedere la conca del Cervialto.
Mi fermo per constatare la situazione, provo a dargli forza ma è tutto inutile. I suoi piedi ormai sono fermi, atrofizzati dal freddo e ogni passo si tramuta in una scivolata e in una caduta. Il ritorno si complica e nell'incertezza dei tempi di ritorno occorre avvertire casa del probabile ritardo. In quell'istante il telefonino era inutilizzabile, la linea si può raggiungere solo in vetta, l'amico riprende un po di forze e cosi ai cento metri di dislivello finali ci dividiamo. Decido (viste le condizioni migliorate di Gaetano) di lasciarlo per qualche minuto. Gli faccio indossare il giubbino e gli pulisco una roccia per fargli un "sedile" mentre lo aiuto a stendere i piedi su un'altra pietra al sole per fargli riprendere "conoscenza". La situazione in quell'istante sembrava riprendersi e allora lasciate le ultime raccomandazioni salgo veloce verso la cima. Nella mia mente passavano i pensieri veloci, non riuscivo a distinguere la voglia di veder la cima con la necessità di telefonare e ritornare a casa. Le creste non erano mai risultate cosi difficili e faticose e la neve alta in alcuni tratti diventava un ostacolo da aggirare con piccole arrampicate e con colpi di piccozza ben assestati nel ghiaccio. Sono passati dieci minuti e la vetta sembra vicina ma non è ancora a portata di mano e preso dalla fatica lancio lo zaino dietro le mie spalle e proseguo più veloce di roccia in roccia finchè davanti ai miei occhi non appare lentamente l'antenna della stazione idrometeorologica. Finalmente sono in cima, la conca è davvero eccezionale, in fretta scatto tantissime foto, osservo la grandezza del Lago Laceno cresciuto in questo autunno e tento disperatamente di trovare campo con il mio cellulare. Sulla vetta il vento sferzava all'impazzata, il sole non riusciva a riscaldare e il sudore cominciava a "pietrificare" mentre il mio giubbino giaceva nella neve insieme allo zaino molti metri più in basso. Un momento "drammatico" diviso ancora una volta tra il dolore e la sofferenza causati dal vento freddo e la gioia di esser per la tredicesima volta in un anno in vetta. Uno sguardo tremante e malinconico verso l'anticima e il suo libro di vetta che rimarranno lontani per questa volta. Dopo un quarto d'ora riesco ad effettuare la telefonata e di corsa scendo dalle creste con grandi salti come un atleta di sci aplinsimo. Riprendo lo zaino e il giubbino, inzio a riscaldarmi e ritorno al punto dove avevo lasciato l'amico in difficoltà che nel frattempo aveva ripreso colore e riusciva a muovere un po le dita dei piedi. Per fortuna il sangue riprendeva a circolare e la temperatura corporea cominciava a ritornare stabile cosi che in quel momento positivo presi la situazione in mano e facendo coraggio al povero (ma disorganizzato) sventurato scendemmo rapidamente verso la valle.

venerdì 28 novembre 2008

La nevicata del 23 Novembre 2008 al Cervialto

Il video è stato effettuato durante l'ultima delle cinque nevicate vissute durante l'escursione di Domenica scora. In questo istante la compagnia era sul versante NE della Cima del Cervialto a quota 1809 metri. La temperatura era scesa sui -10° , spirava un forte vento di Grecale e la nevicata, come vedrete, era molto molto fitta.

Profumo di neve...profumo di casa: 1809 m nella bufera

Il caro inverno era arrivato e con lui quella gioia di chi nel suo cuore nasconde (ma palesa anche a volte) l'amore immenso per le sue bellezze che non tutti apprezzano. La voglia di rivivere ogni anno in questi periodi quelle ebrezze che stimolate accuratamente rivivono negli occhi, sulla pelle e riprendono colore passo dopo passo, fiocco dopo fiocco, grado dopo grado. L'inverno dei sentieri non è la "fine" di un bel gioco estivo, l'inverno dell'escursionista è qualcosa di profondo, una personalizzazione di quel percorso con la natura che si concretizza nel suo "attimo primordiale" e che con se porta la vera concezione di ciò che l'uomo provò tanti anni or sono.
Novembre con la sua veste "dicembrina" faceva capolino dal nord dell'Europa e quella "mano gelida" che si affievoliva man mano che tentava di accarezzare il bel Paese, riuscì per quel poco che basta a farci rivivere l'essere escursionisti nell'estremo del suo significato. I monti bianchi dai 1000 metri non brillavano illuminati dal sole, ma una coltre di nuvole a strati ne delimitava le cime e dalla piana il desiderio di "tuffarsi" e "immergersi" nel silenzio si trasformava ancora una volta in realtà e ancora una volta meta di quel "incontro" fu Bagnoli Irpino. La mattina era fredda, il campanile della chiesa Madre sembrava infreddolito a quei 4° e le vie del paese emanavano un sapore natalizio difficile da trovare nelle calde cittadine di costa. L'affresco del '300, solitario e "imponente" nella sua bellezza spiccava particolarmente e passo dopo passo la Piazza Di Capua si apriva dinanzi a me. Poso lo zaino sulla panchina, prendo una pausa dinanzi la fontana e subito dopo all'arrivo del resto della compagnia parto alla volta dell'altopiano Laceno. L'atmosfera non è per tutti emozionante, le nuvole basse danno un effetto autunnale e la neve all'ingresso del valico Colle Molella era appena appena visibile su per i crinali dei monti. Alcune chiazze rimanevano forse conservate dal gelido terreno ma il colore predominante era il verde dei prati. Cervarolo e Cervialto nonostante il cielo opaco erano luminosissimi e quelle vette incappucciate facevano trasparire quel "velo" d'inverno che le aveva accarezzate. La temperatura era di -1°, le pozze d'acqua sul ciglio della storda ghiacciate, gli alberi spettrali, i pianori ricoperti da sottilissima coltre bianca e il cartello al Colle del Leone completamente gelato e coperto dalla neve. I faggi spogli mostravano le loro radici con determinazione, il vento freddo tra i rami aveva un suono particolare, la voce del "Generale" inverno se pur sottile arrivava nel profondo dell'animo. Il cammino verso il sentiero era intriso dai ricordi, il Cervialto ormai una "casa" dove tornare sempre e lungo quel breve tratto di strada asfaltata i passi all'interno di cumuli enormi di foglie facevano scattare in me pensieri "antichi". D'un tratto mi parve di rivedere l'altopiano nella nebbia ricoperto da brina di un anno fa durante la mia prima volta su questo monte, vidi i passi nella neve alta di Febbraio, il verde di metà Maggio, la calura dell'estate e quel lento cambiare "vestito" di Settembre, finché arrivati alla sbarra e ritornando al presente mi accorsi che ancora una volta avrei vissuto un qualcosa di nuovo.
Il sentiero immerso nel bosco era ovviamente reso piacevole dal sottile strato di neve iniziale e ogni tanto qualche fiocchetto ghiacciato cadeva sulle nostre teste anche se sotto i nostri piedi più che la "dama bianca" sentivamo le rocce e i rami della mulattiera. Il "ruggito" della "antica" stagione aveva portato piccoli frutti eppure riassaggiarli anche se in piccole dosi metteva gioia e soddisfazione. I tornanti si susseguivano uno dietro l'altro e ad un certo punto osservano l'Accellica sotto una bufera di neve che mano mano lambiva le creste del Raiamagra ci ritrovammo anche noi sotto la prima vera fioccata dell'anno. Soffici fiocchi, dapprima piccolissimi poi sempre più grandi e fitti, i capelli imbiancavano e con loro giubbini e maglioni. Il silenzio della nevicata parlava più di centomila rumori del bosco e in quell'istante quel tocco ovattato rese più loquace l'intera montagna. Ancora una volta nella mia vita assistevo allo spettacolo di questa "meteora" cosi agognata da noi appassionati e per l'ennesima volta l'emozione era cosi forte da farci dimenticare il "cammino" e l'obiettivo da raggiungere. Raiamagra era avvolto da una nuvola "farinosa" e le virghe cadevano dal cielo ben evidenti finché il tutto si calmò e noi continuammo più spediti verso la cima. La soddisfazione per quella nevicata cresceva nei nostri discorsi e quando la "fame" arriva difficilmente si sazia e con gli occhi verso il mare puntavamo l'orizzonte tra gli alberi spogli alla ricerca di altri regali del maestrale. Arrivammo d'un colpo alla "torretta", il Piano l'Acernese faceva da contrasto con l'altopiano Laceno "spoglio" e mentre si osservava ecco che arrivò il nuovo "regalo". Fioccata in grande stile, fiocchi più forti e più grandi, il cielo bianco e l'atmosfera surreale, ma la strada è ancora lunga. Presi ancora dall'entusiasmo dopo la nuova "avventura" raggiungiamo Filicecchio (la dove parlano gli alberi) dove questa volta ad aspettarci è il "silenzio" dei nostri Faggi, stanchi dalle calure estive e vogliosi di riposo; ammetto che a non sentir fischiare il vento ebbi un po di "dispiacere", una sensazione quasi di "timidezza" , come quasi a pensare di recar fastidio alla natura in un suo momento privato, ma poi il Cervialto mi smentì facendomi assaporare dopo pochi passi un viale spettacolare di alberi innevati e fantasiose conformazioni di ghiaccio che uscivano dal terreno e dalle radici. L'umidità che congelava dal terreno si innalzava come aghi e il "pianto" del bosco congelava in enormi "candele" che emettevano una dolce melodia al passare del soffio del vento.
Cosi, tra un'emozione e una nuova sensazione giungemmo alle creste, la fidata piccozza finalmente aveva ragione di esistere e lungo il primo crinale la prima cosa che si notava era il contrasto tra il bianco della neve fresca e il giallo delle erbe secche e congelate. Delle erbe piegate tutte nello stesso modo che facevano da apripista sulle rocce rese scivolose dalle gelate. Dall'alto del primo scollinamento prima della cresta finale ebbi un sussulto a notare le montagne circostanti completamente avvolte dalle nuvole e in quell'istante capiì che quel giorno da li a poco sarebbe diventato memorabile. Presto l'Eremita Marazano scomparve e subito il Polveracchio divenne invisibile, il varco del Paradiso "si nascose" e iniziò a nevicare di nuovo, ma questa volta con un'imponenza del tutto diversa. La neve cadeva decisa e copiosa e fu allora che di corsa raggiungemmo la capannina della vetta e godemmo di quell'istante. Ma la nevicata possente finì in pochi minuti e subito si levarono delle correnti nord orientali che in un primo istante portarono molto vento e fiocchetti piccolissimi ma molto vistosi. La conca della cima non era affatto colma di neve ma la temperatura di -8° ne era la spiegazione: troppo bassa per permettere accumuli non gelidi tali da poter creare una "matassa" soffice e uniforme. Le erbe anche in quel cratere dominavano la scena e dietro le mie spalle il filo spinato della stazioncina meteorologica era un filo di ghiaccio. Lo sguardo non poteva che ammirare quello spettacolo della natura e all'improvviso una volpe rossiccia dal lontano di una cresta ci osservò e scappò via di corsa perdendosi nei fiocchi. Le impronte degli animaletti si notavano lungo il sentiero ma sembravano quasi portatrici di presenze "invisibili", ma quella volta si concretizzarono alla nostra vista. Intanto il freddo pungente entrava dal cappuccio e cosi decisi di indossare anche una specie di mascherina per la bocca e di proseguire lungo il crinale ovest verso il "libro di vetta". Il gelo era fortissimo, le rocce completamente avvinghiate nella morsa del ghiaccio e ogni passo andava ponderato e deciso con fermezza. Il vento spirava sempre più forte e cosi presi dalla saggezza dell'esperienza camminammo a mezza costa nel cratere fino a spuntare di nuovo sull'ultima cresta e assistere all'ennesimo spettacolo dell'amato monte. Infatti, fu proprio all'uscita verso la vista di Calvello e Cervarulo che il cielo si incupì di nuovo, il vento aumentò a dismisura e la neve cadde ancora più forte di prima. Il boato del grecale era commovente, le giravolte di fiocchi grandi come un pugno rallegravano la compagnia, il bianco divenne il colore unico del cielo e delle montagne. Raggiungere il punto trigonometrico divenne uno spettacolo e vivevamo con intensità quell'istante tanto che nonostante la temperatura fosse scesa sui -10° riuscii lo stesso a firmare e a scrivere il resoconto sul libro di vetta, li, seduto su una roccia tra i fiocchi e il vento del nord.
Durò ben venti e lunghi minuti la bufera, cosicché noi decidemmo di prendere riparo nel retro di una collinetta rocciosa. Posammo gli zaini, spalammo un po di neve e con la piccozza rompemmo il ghiaccio da alcune rocce per sederci; i panini persero sapore, la cioccolata era pietrificata ma il the caldo conservato nel termos ci diede calore e colore (ringrazio Emilio e Rosa ancora!!). E fu proprio quel tocco di vita a rimetterci in moto nel momento in cui il sole sembrava voler dominare la scena e lasciare allontanare le nuvole verso le terre dei Balcani. Ritornammo al punto trigonometrico e godemmo dello scenario bianco del Sazzano e delle vallate, finchè dopo una piccolissima nuova nevicata prendemmo via per le creste in direzione del Colle del Leone. Avevamo visto di tutto, neve, ghiaccio, vento, gelo eppur qualcosa mancava: lo splendore dei raggi del sole sulla soffice neve. Sembrava quasi un'escursione non completa, ma dopo qualche centinaio di metri, al di la delle fronde "morte" uno spiraglio di luce sopravanzò. Le nubi scomparvero completamente e il sole iniziò a splendere forte nel cielo reso azzurrissimo del grecale. Nel tornante verso il Polveracchio ci rendemmo conto della grande "giornata" che stavamo vivendo e finalmente i raggi solari riflettevano sul bianco manto che a sua volta rispondeva con luccicanti segnali. Dietro di me il "tratturo" assumeva un'altra esembianza e mi sembrava di non esser stato in quei posti e man mano che proseguivamo verso il basso opinione comune era quella di "camminare su un altro monte". Fino alla fine del nostro viaggio il sole riscaldò e giunti all'auto venne di nuovo la nebbia e si ripiombò in Inverno.
E allora caro Inverno e caro Cervialto (fusioni perfette di quel che provo e che vorrei far trasparire agli altri, essenza dell'escursionista immerso nella bellezza dei Picentini, sorgenti di continue sensazioni) lungo il percorso degli anni e del ciclo della natura resterò sempre consapevole della vostra rara unicità.

venerdì 7 novembre 2008

Un successo per la "II Mostra Fotografica Campania da Scoprire"

La nostra seconda mostra fotografica svoltasi nelle sedi dell'Associazione Palazzo Tenta 39 di Bagnoli Irpino è stata un successo indiscusso. Il paese è stato accogliente e ci ha regalato una manifestazione di alto livello nonostante le paure iniziali e i timori dovuti dall'affluenza relativa della prima mostra tenutasi a Bellizzi. Bagnoli Irpino con i suoi 3500 abitanti e con le sue 200.000 visite alla mostra del Tartufo ci ha completamente trascinati , portando all'esposizione fotografica all'incirca 500-600 visitatori, ben 450 in più rispetto alla prima in un paese di 10.000 abitanti superiore. Il risultato raggiunto premia la nostra associazione e sicuramente i tanti che hanno lavorato al progetto e il ringraziamento va a tutti i soci che si sono impegnati attivamente sul posto e sul web facendo pubblicità. Vogliamo citare Francesco Landi (colui che ha costruito i cavalletti e ha squadrato i pannelli, nonchè membro attivo della preparazione della sala e del trasporto), Michela De Santis (ha messo a disposizione la sua abitazione per la squadratura e il deposito dei pannelli, si è impegnata nella pubblicità della mostra e nella disposizione delle fotografie nonchè altro membro attivo della preparazione della sala), Vito Petruzzello (instancabile al fianco del Presidente i giorni precedenti alla mostra nel definire i dettagli, accompagnatore e sostenitore per 3 giorni a Bagnoli e membro della squadra di montaggio), Eduardo Mazzaro (sostenitore del trasporto e aiutante nel montaggio del giorno 23). Inoltre il ringraziamento va a tutti coloro che hanno contribuito con il loro voto associativo e il loro supporto economico alla manifestazione: Luigi Scapolatiello, Roberta Donato, Diego Di Giuseppe, Giuliana Squitieri, Francesca Di Marino, Mariachiara Rocco). Un ringraziamento extra associativo va a Massimo De Santis per la realizzazione della grafica dei volantini e per la pubblicità sui siti internet e ad Angelo Russo dell'Associazione Palazzo Tenta 39 che ci ha supportato in questi 3 giorni insieme al Presidente Mimmo Nigro.
Passando ad un'analisi tecnica, in 3 giorni le visite sono state tantissime e nonostante una disposizione in un palazzo e non sulla strada sono state continue e interessate. La disposizione ha permesso che alla mostra salissero solamente persone interessate e quindi con tutti i visitatori c'è stato un rapporto diretto con spiegazioni e delucidazioni fotografiche ed escursionistiche. Scelta molto apprezzata è stata quella del video proiettore dove sono passate 400 foto di paesaggi campani in una sala a parte dove i visitatori potevano comodamente sedersi e "gustare" lo spettacolo. Le visite inoltre sono state distribuite equamente dalle 10 del mattino fino alle 00 di notte dove nonostante l'orario inoltrato continuavano a salire persone e purtroppo non è stato possibile accontentare tutti.
Insomma un grande successo della nostra Associazione che ci permette di guardare avanti consapevoli che il nostro lavoro è valido e appreazzato.
Speriamo che la collaborazione con l'Associazione Palazzo Tenta 39 di Bagnoli Irpino continui e si rafforzi nel tempo con altre interessanti manifestazioni ed eventi.

venerdì 31 ottobre 2008

Bagnoli Irpino...e fu cosi che ci "conoscemmo"

"L'attenzione che da tanti anni ormai avevo posto sul Laceno e sul Cervialto si estendeva sempre più e ormai quella valanga di emozioni che si perpetrava in quelle terre irpine scendeva sino a valle e il richiamo di quella ridente cittadina diveniva sempre più forte. Dall'alto di quel belvedere, al quarto tornante, quel paesino raccolto su una collinetta tenuto stretto tra l'Accellica e il Piscacca aveva qualcosa di insolito e affascinante e non capivo fino a che punto mi avrebbe rapito in futuro. Bagnoli Irpino, sempre oltrepassato per la Via Circumvallazione, un bel giorno di Agosto mi richiamò e fu un "amore" immenso che ancora oggi è forte e accresce sempre più. La piazza Di Capua, quei vicoli, quel ciottolato e quel sapore d'Irpinia misto a storia e a tranquillità che mi davano pace, mi han portato a ritornare più volte in quella "terra" a me cara ma ancora poco conosciuta. Eppur, nell'animo sentivo la necessità di fare qualcosa, di addentrarmi tra la "sua" gente, di conoscere e di vivere una realtà che lontana dalla Piana del Sele era cosi vicina a me nell'indole e nell'animo. Strano è pensare a questo rapporto cosi stretto, eppure chi mi conosce sa che in questo posto ritrovo sensazioni eccezionali e sento quasi le mie radici nonostante provenga da una tradizione diversa e purtroppo troppo giovane. "Sapor d'Irpinia", scrissi una volta su delle righe sparse, "sapor d'Irpinia mi prese", non so come e il perché, resta solo il fatto che ho insistito e "vagato" alla ricerca di un contatto, finché un giorno (che ringrazio ancora) ho avuto la fortuna immensa di trovare quella "risposta" che aspettavo e con l'aiuto dell'Associazione Palazzo Tenta 39 , il desiderio di "far qualcosa" in "quella terra" divenne realtà. Cominciarono cosi i giorni dell'organizzazione, del movimento, dell'impegno e dell'ingegno, che di li a poco mi avrebbero e "ci" avrebbero portati a vivere un'esperienza speciale in un contesto "particolare" e "affascinante", dove cultura, tradizione, storia, musica e tant'altro si univano con la gioia di poter "vivere" per qualche ora queste sensazioni.
Il sole del mattino, puntuale espresso da oriente che indicava con decisione la via dei Picentini, il dolce cammino (seppur faticoso) tra i monti salernitani e quelli irpini, il confine visibile e netto tra le due province che si nota come clima e come percezione, l'arrivo a Bagnoli, il rumore accogliente dei pneumatici sul ciottolato del centro storico e poco prima quello sguardo silenzioso all'insu come a dire "Cervialto so che sei li dietro, ci vediamo presto".
Dopodiché con l'arrivo si apriva la seconda fase, magnifica rappresentazione di quel che immaginavo con il giro per la piazza, il salutarsi con gli abitanti del posto, la chiacchiera amichevole e interessata, il piacere di esser apprezzati da tanti, il calore dei palazzi antichi e poi il sapore vero e reale delle prelibatezze locali. Difficile ancora ora dimenticarsi del Pecorino bagnolese, delle tagliatelle ai funghi porcini, del tartufo che ben si sposavano con l'indole "montanara" del sottoscritto. Ma poi, anche li dove si spezza il confine del sole alto ed inizia la fase calante e il cielo tende a divenire scuro, nonostante l'aria frizzante che "accudisce" chi la ama e "terrorizza" chi la soffre (a mio avviso è un toccasana), gli scenari si modificano e contemporaneamente evolvono in uno "spettacolo" di luci e di "rumori" che "ascoltati" e "osservati" rendono l'idea del "paese" e della sua tradizione; e così un lampione acceso che "lancia" la sua luce su muri antichi e nei vicoletti riscalda più di un fuoco acceso, il passeggio della gente ti fa compagnia al sol osservarlo, il saluto della sera si trasforma in una festa al suon di "che bello rivedersi", i profumi ti saziano anche senza assaggiare le pietanze, i passi sui ciottoli fanno da colonna sonora e la sera cala nel "silenzio della folla" che fino a tardi, fino a notte fonda ti "culla" e ti riporta a casa.
Questo il periodo dal principio alla fine, per i giorni precedenti e i giorni vissuti in "festa" e i giorni successivi a guardare quelle stesse strade e quegli stessi posti, lanciando uno sguardo al passato, chiudendo gli occhi e rivivendo tutto, fino a chiudere dietro di me quella porta che spero riaprirò presto."

Un ringraziamento ancora una volta all' Associazione Palazzo Tenta 39 di Bagnoli Irpino che ci ha accolto nel migliore dei modi, permettendoci di esporre la nostra mostra fotografica e ospitandoci eccezionalmente con la loro disponibilità e amicizia.
Ringraziamento speciale ad Angelo Russo, Mimmo Nigro e Michele Gatta di Bagnoli Irpino.

lunedì 20 ottobre 2008

Piaggine - Cima di Mercori 1788 m

L'alba di un nuovo giorno iniziava a levarsi sul salernitano, la vita pian piano riprendeva e ormai come un "qualcosa" di schematico mi ritrovavo nell'auto con Walter, con l'aggiunta di un nuovo "collega" di escursioni, Francesco. Sta volta consapevole delle curve e della distanza faccio scorta di "xamamina" e fortunatamente l'effetto è di quelli sperati.
La statale 18 scorreva chilometro dopo chilometro e da Capaccio scalo che col mare quasi confina ci ritroviamo su per terre, tra le splendide colline della Val Calore. Dagli otto tornanti il pensiero ricade in quei giorni estivi passati sulla mia bici da corsa a battagliarsi per giunger primi allo scollinamento e non posso non ricordarmi del Monte Vesole e del "Passo delle due nevere" che consacrò quell'intesa di follia ciclistica tra me e un mio carissimo amico di "avventure".
Lungo la strada per Roccadaspide lo sguardo è fisso sui Monti Alburni, le creste occidentali e quelle settentrionali da questa visuale si fondono e spianano verso la valle, rendendo cosi evidente l'alta via degli altipiani che dal Lauro Fuso giunge al Casone Aresta. Controne bassissimo inghiottito dalle Timpa Pianella e Petrosa, mentre Castelcivita dava l'impressione di voler dominare il massiccio e di restare in guardia contro le torri del La Nuda e le vette sapere del Monte Urto Falcone.
Intanto lo sguardo si chiude nel piccolo paese di Castel San Lorenzo, siamo nel bel mezzo del Cilento, la "terra dei tristi", quel territorio cosi interno della nostra provincia ma cosi indipendente e diverso come cultura e tradizioni, cosi affascinante e intrigante. Un sibilo di malinconia mi prende pensando alla vita lontana dalla mie abitudini e mentre attraversiamo Felitto ci rendiamo perfettamente conto di come il tempo abbia creato in questi luoghi un abisso tra il "calendario e le ore" e la "vita". Nello stesso tempo però dai riflessi del finestrino, da uno sguardo a quei boschi e dalla vista dei Monti riassaporo l'essenza primordiale dell'uomo e son sicuro che chi ha come obiettivo quello di godere della natura non può che "ritrovarsi" in cosi tanta "purezza".
Intanto i chilometri percorsi sono tantissimi, raggiungiamo Laurino ed entriamo nel suo centro storico, passando al fianco di antiche abitazioni e antiche chiese, finchè dopo un'altra decina di minuti entriamo nella Piazza di Piaggine e ci fermiamo ad aspettare il resto della compagnia.
Domenica di paese, tra un tavolino di anziani che giocano a carte e un mercato rionale, i vicoli e la piazza in ciottolato, la chiesa che sovrasta il centro e il Cervati , colosso buono e benefico, che dai suoi 1899 metri "impera" le popolazioni circostanti (spero mi sia permesso il latinismo).
Da Piaggine, appena il gruppo è compatto, si prende direzione tra lande desolate e lontane dalla civiltà delle località montane delle "chiaine" (Piaggine) e solo dopo stretti tornanti e salite pendenti, attraversando un'amena vallata tra mucche e cani, giungiamo in località Orsaia dove inizia la nostra avventura. Un simbolo rosso e giallo su un muretto segna la partenza e da quel "cemento" saliamo su un piccolo pendio fangoso in un "vialetto" di Ontani che nel giro di pochissimi metri ci conduce all'aperto, sotto un sole cocente ottobrino che stona con il contesto stagionale. Ai nostri occhi si aprono due scenari distinti, da un lato il cielo azzurro verso il Chianiello, dall'altro la Serra del Radicone con la sua struttura rocciosa stratificata che alle sue spalle minacciava nebbie e pioggia. Ovviamente tutto ciò non scoraggia la compagnia e sul crinale del "Lagarone" tra piante di lavanda e pietre proseguiamo in direzione di una sterrata che ci conduce all'interno del fantastico bosco della "Serra del Cretazzo". L'autunno in questo tratto inizia a mostrare la sua carta d'identità, anche se all'inizio ha tentennato, e da questo punto fin sullo scollinamento i faggi ci regalano "l'ardor d'autunno" che avevo descritto in una mia poesia l'anno scorso. La luce del sole inizia già a calare inghiottita da un velo sottile, tenue che in poco tempo rende bianco il cielo. Le foglie sotto i nostri piedi di un rosso spento, bagnatissime e dalle chiome goccioline d'umidità ci ricordano che sopra di noi ci sono "esseri viventi" che ci scrutano e ci ascoltano. Ma la salita non è molto dura e neanche troppo lunga, essa culmina in una radura dalla quale a 1330 metri si apre la Valle di Mercori. Questo angolo aperto che ricorda molto il Lauro Fuso si distingue per colori e vegetazione e quella stradina immersa in quella piccola valle non stona affatto con il contesto e prosegue dopo alcune fronde giallo oro e una pozza di fango in un bosco mitico. In questi attimi il silenzio è l'argomento più rumoroso che possa apprendere, i funghi spuntano in ogni dove, i rami degli alberi bassi sembrano accarezzare le teste degli escursionisti e i faggi alti ostentano sicurezza e un po di diffidenza nei confronti di quell'essere (l'uomo) che cosi poche volte "calpesta" il loro territorio.
Dal bosco in un tratto pianeggiante si divide la strada tra una carraia forestale e una deviazione su mulattiera ricoperta da foglie, la quale con pochissime difficoltà ci conduce alla "Bocca delle Tre Fontane" a 1495 m. Un posto che rievoca l'immagine di una sorgente e che invece rappresenta un piccolo anfratto di terra al ridosso di un salto della montagna dove un rivolo scorre e concede acqua al suolo e agli animali.
Da questo punto in poi la salita si fa più dura e in alcuni punti si cammina tra faggi giovani e vegetazione fitta che man mano si apre fino ad uno scollinamento che conduce in una prima radura e poi in un'altra ancora più grande, finchè all'improvviso e senza preavviso dal retro di un albero lo scenario si apre e dinanzi a noi "sbuca" una dolina carsica di dimensioni eccezionali. Siamo alla "Dolina dei Gigantini" a 1598 metri d'altitudine, un "cratere" carsico che non ha seguito il processo di conformazione di un inghiottitoio e che nei suoi 200 metri di lunghezza e oltre 50 di larghezza dona all'escursionista "inerme" ed "impotente" un suggestivo scorcio di "unicità". Personalmente rimango stupito dall'altezza dei faggi e dalla loro disposizione in alcuni punti e le chiome "rame" lasciano senza parole, mentre un altro albero solitario si piega nel vero senso della parola per poi riprendere slancio verso l'alto. I primi ad entrare dall'alto sembrano dei puntini in confronto, l'erba all'interno gialla e secca non è molto alta ma rende lo stesso morbido il passaggio. La Cima di Mercori è ormai vicina ma non la notiamo, immersa nella nebbia com'è in questo istante. Alcuni di noi si fermano all'imbocco della dolina, mentre i più "arditi" perseguono su un crinale di foglie bagnate molto aspro, si cammina a passi alti e si giunge rapidamente sotto alcune rocce degne del miglior paesaggio "alburnino". Superate queste rocce sul lato destro e lasciandole sulla sinistra si entra in un boschetto basso, su gradoni di pietra. Seguiamo i gradoni facendo attenzione alla loro scivolosità e man mano che avanziamo la vegetazione lascia il posto, finchè si aprono delle piccole creste (simili a quelle del Cervialto ma molto più piccole) che ci portano sulla Cima di Mercori a quota 1788. La nebbia è la padrona, il panorama sul Golfo non c'è, e sono dispiaciuto pensando alla mattina dove dal Lagarone il Vesole e il Soprano svettavano in lontananza. Ad un tratto però il Faiatella si scopre e come un gigante lunare si "spoglia" dal velo anche "Sua Altezza" il Cervati. Impressionante, maestoso, massiccio, terrificante e cosi affascinante. Le sue creste, le doline, quelle cime pietrose mi riportano a quel Giugno dove i miei occhi videro per la prima volta quel monte, ma mentre ricordo la nebbia mi avvolge e mi "sveglia" dal "pensiero".
Il tempo non ci darà più tregua, sono ormai le 15 ed è ora di scendere, recuperiamo il resto della compagnia e tra Mercori, Cretazzo e Lagarone ritorniamo a Piaggine dove inizierà quel ritorno dolce e silenzioso verso casa, tra Villa Littorio e la valle del Calore che al tramonto chiudeva il conto con un altro giorno di "vita".

sabato 18 ottobre 2008

II Mostra Fotografica "Campania da Scoprire"

L'Associazione "Girogustandocampania" per la prima volta esce dal territorio salernitano e si "tuffa" nell'avellinese con la sua II Mostra Fotografica "Campania da Scoprire" a Bagnoli Irpino nei giorni 25-26 Ottobre durante la "Mostra mercato del Tartufo Nero di Bagnoli e della castagna". La mostra è realizzata in collaborazione con l'Associazione "Palazzo Tenta 39" nei locali della stessa in Via Garibaldi, facilmente raggiungibile dalla Piazza Di Capua. La mostra rappresenta la prima collaborazione ufficiale tra le due Associazioni dopo quella interattiva (scambio link e annunci) e continuerà anche dopo questo evento per la realizzazione di altre importanti e interessanti iniziative.
Invitiamo tutti i soci, gli appassionati e chiunque legga questo annuncio a visitare la nostra mostra per "gustare" una giornata diversa dal solito tra vicoli storici, gastronomia e buona fotografia.
Per maggiori informazione visita www.girogustandocampania.it e www.palazzotenta39.it/prima.htm

mercoledì 15 ottobre 2008

Monte Cervati da Monte San Giacomo

Il Monte Cervati , purtroppo, per la sua distanza e per il suo posizionamento all'interno del Cilento è una meta abbastanza difficile da raggiungere per noi "poveri" escursionisti "cittadini", vicin a Salerno e vicini al mare, ma quando il richiamo dell'autunno si fa sentire le distanze si accorciano e il tutto diventa una "passeggiata". Gli orari di partenza semi-invernali dovrebbero inziare ad entrare nel nostro meccanismo di pianificazione eppure la voglia della mattina e dell'alba ci spinge ad alzarci sempre prestissimo , tanto che Domenica il sole non era neanche sorto e noi, nel silenzio della città e del mondo circostante ci avviamo con tranquillità e pace verso Sala Consilinia. La luce dell'alba vista dal retro degli Alburni era per me una sensazione del tutto nuova, un rimandare quasi alle luci del tramonto ma ritrovarsi alle 6 del mattino e "contemplare" quell'arancio carico che dava contrasto con il blu della notte nel cielo alto e l'azzurrino del cielo al risveglio giù, verso il mare. Ad est quindi pian piano faceva capolino il "Generale del mattino" e ad ovest i monti prendevano forma delineandosi alti e sfavillanti. Verso Sicignano lo sguardo ancora assonnato nota con un po di malinconia le rocce dell'Urto Falcone e seguendolo in direzione sud riesco a ripercorrere con il pensiero quella traversata di metà estate e mi sembra di rivedere dinanzi agli occhi il Tirone, il Vuccolo dell'Arena e quella notte stellata al Lauro Fuso.
Intanto l'auto correva e la strada "scorreva", giungiamo verso Petina dove le creste del Figliolo ci danno il benvenuto e il giorno prendeva forma schiarendo il blu scuro del cielo e cosi fino a Sala Consilina il tempo passava veloce. La strada in direzione di Monte San Giacomo questa mattina non era "invisibile" per la nebbia, ma c'era solo una leggera foschia che dava carattere al posto e tantissimi corvi infestavano la strada alzandosi solo al nostro passaggio. Sassano con il suo Santuario apriva la via per la nostra meta e arrivati nel centro storico ci dirigiamo con rapidità verso la località montuosa dei Vallicelli. Lungo il sentiero l'alba creava dei colori caldi molto particolari anche se tenui e dato l'orario ancora decente e sopratutto dato che quel posto non tornerà cosi facilmente ad ogni angolo sostiamo per immortalarne lo sfondo.
Il paesaggio è vario e dal "calore" si passa al "gelo" di un campo completamente ghiacciato per le inversioni notturne e a dir la verità mai avrei pensato in un Ottobre come questo di poter assaporare temperature sotto lo zero in qualche posto campano.
Intanto siamo quasi a destinazione e appena lasciata l'auto lo sguardo si dirige per sbaglio su una vetta del Cervati dalla quale inizio a capire il tipo di giornata che ci avrebbe atteso. Fotograficamente siamo nella stagione migliore e quegli alberi in alto gialli, rossi e arancioni sembrano vogliano invitarci a nozze. Il freddo è pungente, il maglione è d'obbligo e le mani si congelano e fanno male, il Vallone dell'Acqua che suona ha un retrogusto di antico e intoccabile ma la sua pendenza è sempre "nuova" nelle gambe anche se la superiamo con molta agilità. Gli alberi alti in questo tratto sono il miscuglio tra autunno e primavera ed infatti ci accolgono con chiome dipinte in due parti, da un lato "capelli" verdi lucenti e dall'altro passavano il testimone al giallino.
In un tratto fitto di vegetazione c'è la prima linea di distacco da un paesaggio all'altro di un Monte che a mio avviso è stratificato come se ogni parte raccontasse una sua storia e disegnasse una sua identità precisa. Siamo alla Fontana degli Zingari che rispetto all'estate ora è quasi un fiume in piena, l'acqua è freddissima e il suo getto potente e vigoroso , forse anche merito delle piogge dei mesi precedenti che hanno arricchito di acqua un luogo che è già molto provvisto di questo bene prezioso. Dalla fontana ci rechiamo all'omonimo pianoro, quel pianoro che in estate ci regalò soddisfazioni incredibili, perchè dal suo interno era possibile guardare la verde cima del Cervati, in questo periodo ci lascia davvero senza parole. Il cielo terso riflette una luce del sole limpida e forte che in un attimo avvolgendo quella piccola pianura dal verde estivo colora tutto di un giallo secco carico e intenso e la vetta del Monte questa volta è di un'unicità pazzesca. Dalle sue rocce che colore non cambiano, spuntano alberi dalle foglie "deboli" che si nota a distanza come vogliano cadere e prendere il volo e la loro "pelle" è degna delle migliori abbronzature della natura. Tutto intorno prende un colore che riscalda l'anima, però si nota già un presagio di stanchezza che porterà nel giro di poco a vedere tutto senza vita, le foglie cadranno e il paesaggio cambierà aspetto regalandoci un tappeto da far invidia ai migliori artigiani arabi.
Dagli "zingari" entriamo nel bosco dei Temponi e qui la nostra attenzione si posa su tantissimi ceppi di alberi bruciati e umidi sui quali nascevano spontanei centinaia di funghi che coprivano completamente la loro superfice. Caratteristica mai trovata prima e da contorno ad un bosco alto e pulito che nella sua possenza sa donare tranquillità e quando si esce allo scoperto sulla carraia che porta alla "Sequoia" il bosco tende poi a richiudersi finchè da lontano non scorgiamo una luce atunnale viva e vegeta. Il passo si fa più veloce e la voglia di raggiungere quel punto è immensa, sappiamo dove siamo e cosa vogliamo vedere e quel bagliore ci da una speranza immensa. Usciamo allo scoperto e notiamo con meraviglia e stupore il pianoro del Rifugio Cervati che a differenza dei colori eccezionali ma "stanchi" del primo altopiano, presenta una vita immensa, con delle sfumature che vanno dal rosso intenso e sgargiante, al giallo acceso, lucente e "sbarazzino". Non c'è un solo albero dalla stessa chioma e tutti tra di loro convergono nei colori e al contatto con lo sfondo dominato dalla Chiaia Amara del Cervati si delineavano perfettamente tanto che era facile distinguerene foglia per foglia, ramo per ramo anche a distanza. La chiaia di un grigio esausto mi appariva dinanzi agli occhi maestosa e ad indicarmela era il faggio antico che bruciato da un fulmine è riuscito a far sopravvivere in lui un solo ramo che germoglia in ogni stagione, e questa volta era l'unico ramo che rispetto agli altri aveva la parvenza del "rame".
Perdiamo in senso positivo, molto del nostro tempo all'ingersso di questo spettacolo ma poi ci rechiamo all'ingresso del Rifugio e sostiamo per un po, sia per fotografare sia per gustare all'aria aperta uno dei nostri panini. Al centro del piano i soliti laghetti, ovviamente più abbondanti e molto più paludosi e al fianco un terreno spugnoso zuppo. Dietro al rifugio la fontana e il lavatoio e nella pertinenza, una volta aperta il caminetto spento da poco (forse dal girono prima) emanava un odore di brace e di fumo degno della miglor esperienza di Montagna invernale. Chiudo la porta del capanno e torno su una panchina , seduto su una trave di legno, riposiamo per qualche minuto finchè decidiamo che è ora di proseguire. La Chiaia Amara sembra più dolce del solito, la percorriamo con facilità e sicurezza e le chiome che vedevamo dal giù ora sono sulle nostre teste e saranno loro che ci avranno dato una carica impressionante. All'uscita del bosco, lo scenario è molto simile a quello estivo, le rocce non cambiano colore ma il panorama sottostante è completamente cambiato e dal verde uniforme ora si nota un bosco dalle mille forme e in lontananza spuntao altre cime che la foschia estiva non ci permetteva di vedere.
Sul sentiero dei pellegrini non sostiamo molto, vogliamo raggiungere il Crocillo e arrivare presto in cima , ed è proprio cosi che facciamo finchè non si apre dinanzi a noi la grande conca "glaciale".
L'erba nel suo fondo non è carica come l'ultima volta e tutto intorno sembra immerso in un silenzio stranissimo ma interessante e da "ascoltare". Proseguendo in senso antiorario camminiamo lungo le creste e attraversiamo tanti pianori carsici di dimensioni inferiori a quello principale e dando uno sguardo al Gelbison e ai cavalli selvatici che girano per il monte , passo dopo passo giungiamo alla vetta più alta del Monte Cervati. Sulla vetta a quota 1899 metri, si scorge in lontananza la Chiesetta della Madonna della Neve, ma stavolta non la raggiungiamo, non certo per mancanza di rispetto al posto Sacro, ma per quella voglia di restare staccati da un posto che farebbe perdere il senso del posto in se, dato che alla Cappella si può giungere in auto e da quel versante si notava decisamente la presenza troppo scomoda dell'uomo. Una vetta cosi particolare e bella ,(ed uso bella perchè è proprio nella banalità di questo aggettivo che si racchiude tutta la grandezza di questo posto) non può e non deve essere deturpata da nessun genere di tecnologia che purtroppo si notavano e si sentivano, ed è proprio per questo che rimaniamo sulla vetta più alta e più lontana dalla vita materiale.
Il sole a mezzogiorno concilia il riposo dopo il pranzo e cosi mi appoggio su una roccia liscia e mi addormente, con il mio cappello davanti al viso per proteggere gli occhi dai raggi, mi sveglierò più in la grazie al "richiamo" di Walter che mi invita ad alzarmi e a proseguire verso il basso. Una discesa decisamente veloce con delle soste solo nei punti più entusiasmanti e resi ancora più appassionanti dalla luce del pomeriggio e arrivati al Piano degli Zingari una deviazione volontaria ci porta ai Gravittoni dove notiamo rocce e muschi simili agli Scanni di Petina e un inghiottitoio "prepotente" e impressionante dal quale fuoriuscivano faggi antichi e alberi vecchissimi insieme ai velenosi Tassi baccati.
Volgendo le spalle ai Gravittoni nel pianoro il Cervati non è più visibile per via della luce del sole frontale e allora nulla più ci può fermare verso il ritorno ai Vallicelli, discendendo il pendio dell'Acqua che Suona. Questa Domenica di Ottobre per ora passerà nella mia storia escursionistica come la più bella mai vissuta e per concludere questo resconoto voglio lasciare qui due righe per me significative: "Il Monte più bello della Campania (da me conosciuta), il sentiero più entusiasmante fatto fin ora (sempre tra quelli conosciuti), la miglior giornata e la miglior escursione da sempre (fin ora)""

giovedì 9 ottobre 2008

Prima domenica di Ottobre: Monte Tobenna 850 msm e Terravecchia

Il riposo dell'escursionista, la Domenica che non ti aspetti, quel giorno che vorresti passare rilassandoti e pensando di vagare solo in auto per visitare qualche paesino o magari solo per scattare qualche foto. Il primo freddo Ottobrino era arrivato, a Bellizzi appena 9° svegliavano la piana del Sele e la strada era libera e piacevole. Vedo i Monti, i Picentini sono ben delineati e ormai il Cervialto, nonostante sia un monte a me caro, è da considerarsi "completato" e cosi preso da una strana voglia di "mare" prendo direzione verso poggi che mi portino alla visione del golfo. La direzione è verso Pontecagnano dove saliti in direzione di San Mango e oltrepassato il centro abitato di San Cipriano , mi trovo a Castiglione del Genovesi dove senza entrare nel paesino ma prendendo una deviazione sulla destra che conduce ad una impervia salita prendo via per il Santuario del Monte Tobenna. Le foglie iniziano a cadere, la strada è leggermente bagnata, le castagne saltano sotto le gomme dell'auto e finalmente il panorama si apre e noi posiamo la macchina nei pressi della vecchia chiesetta. Notando le sue creste frastagliate, quella sua composizione quasi a cinta muraria il pensiero è subito rivolto a quel poggio alto che domani il golfo, tanto che in men che non si dica, da una semplice passeggiata ne esce una piccola ma significativa escursione. La brina si è accomulata sulle rocce, sembra quasi neve, ma al tatto si capisce la sua consistenza, gli steli dal "calcare" si alzano come a volersi mettere sull'attenti e smuovono la "testa" a destra e sinistra , mentre i nostri passi avanzano su "scalini" che man mano aumentano di grandezza. Il sole è frontale, i suoi raggi ci "accecano", la strada non è segnata ma la vista ci indica il percorso. Sprogendoci su di un lato inziamo a "respirare" il panorama verso Palinuro anche se la luce ci impedisce di guardare oltre.
Pian piano però il sole "tramonta" dietro le rupi e siamo noi a decidere questo calare, camminando verso Nord in direzione del Monte Monna che liscio come una lama sembrava dialogare con Pizzo San Michele. Oltre tutto, e oltre tutti i Monti , la Cima del Terminio ci regala il dono della Dama Bianca, la neve ha coperto le sue rocce più alta e siamo solo al quattro Ottobre.
I passi si accorciano, il fiatone si fa sentire, non attrezzati e sfiorati dal vento freddo finalmente raggiungiamo il "Poggio". Da sopra il panorama è mozzafiato, il mare sembra a portata di mano, Salerno commuove lo spettatore inerme che capisce di esser nato in un posto unico, dove il mare, i monti ed il cielo si fondono e si ha una scelta ampia difficile da trovare altrove.
Ma il panorama non è l'unica caratteristica, ed infatti camminando su quella "pianura di cresta" giungiamo nei pressi di un castagno solitario , verde, che al suo "cospetto" aveva una radura formata da felci e da un'insolito "cunicolo" di vegetazione dove vi era un tappeto di ricci.
Sopra è tutto abbastanza secco, la vegetazione si nota sui monti vicini e Castiglione spunta "indifeso" tra le "terre".
La nostra permanenza non è lunga, il tempo di qualche foto e via verso la chiesetta, ma prima un po di semi arrampicata per scendere in tratti diversi da quelli della salita, affrontando dei salti di roccia che mi procurano anche una leggera slogatura.
Il ritorno verso i Picentini è legato al ricordo di quel mare che si godeva nella sua interezza da un Monte per giunta non tanto alto e prima di ritornare a casa, per il gusto di esplorare e di non perdere neanche un minuto prezioso di questa uscita, visita a Terravecchia tra i suoi vicoli, le sue piazzette e i suoi splendidi palazzi antichi.

mercoledì 8 ottobre 2008

Bellizzi-Piano del Gaudo-Laceno-Bagnoli Irpino-Acerno-Bellizzi in moto

La mattinata era iniziata con i migliori propositi, il sole splendeva alto nel cielo azzurro e da contorno solo qualche nuvoletta che faceva da coreografia. L'ideale, pensavo, per intraprendere un giro da "spettatore" in moto con l'amico Francesco. Il tempo passa, ascolto un po di musica e arriva l'ora di pranzo... il cielo si fa più scuro, mi affaccio alla finestra ma c'è un pallido sole che viene coperto da una piccola nuvoletta mentre le montagne sono limpide alle spalle della città. Mangio, ascolto un po di musica e alle 15 decido di prepararmi per scendere... un jeans, calzini media altezza, canottiera, maglietta, maglione, giubbino pesante e guanti nella tasca del giubbino.... chi sa!
Alle 16 arriva Francesco, il cielo intanto non era per niente limpido ma le montagne lo erano ancora... partiamo alla volta di Montecorvino dove per i primi tratti sbilancio un po il "pilota" ma poi capisco i meccanismi e seguo traiettorie e movimenti per armonizzare con la guida. Le mani sono calde, la faccia anche, la visiera del casco dinanzi al volto e le gambe rilassate. Superiamo Montecorvino Rovella quando alla Madonna dell'Eterno un po di freddo si sente nelle mani e un altro brivido sale quando la moto prende velocità per un rettilineo facendomi "squagliare" per un secondo, ma subito riprendo colorito e concentrazione. Il mare su un lato e il Raione dall'altro, tra una chiacchiera e l'altra sul modo di guidare l'auto e Michela che soffre le curve arriviamo nel fitto del bosco dove inizio ad indossare i guanti.
Non avevo eccessivamente freddo ma le mani si erano leggermente atrofizzate e forse il casco non della mia misura mi comprimeva le vene del cervello facendo diventare più fredda la mia mente che faceva da contrasto al corpo. In località Camporotondo faccio appello all'attenzione per passaggio di "maiali e cinghialetti" quotidiano e poi tra curve e contro curve si arriva sul rettilineo del primo scollinamento dove per un duecento metri perdo lucidità vedendomi la strada scorrere troppo veloce.
Pazienza! La velocità si ristabilisce subito dopo in curva... e dopo aver superato N'dramaciume e qualche altra salita finalmente siamo ad Acerno dove decidiamo (io) di salire verso il Piano del Gaudo! (scelta infame). La strada all'inizio sembra rotta, ma poi alla Madonna delle Grazie si aggiusta un po ed io ancora in me "buffoneggio" indicando monti e nomi e segnalando sentieri .... alla vostra destra il Polveracchio, alla sinistra il Ponte Pinzarrino, alla destra...ecc ecc... finchè quando Francesco voleva assentarsi dalle chiacchiere scattava di colpo e mi faceva ammutolire per qualche istante...poca roba! Passando per eccezionali castagneti ancora verdi e ripidi pendii, attraversando un boschetto fitto e scuro giungiamo sui Pianori del Gaudo dove alcuni cavalli ci danno il benvenuto mente i jeans iniziavano a indurire le maglie e le trame. In quel momento ho iniziato a temere essendo arrivati sui 1100 m e avendo coscienza che a quell'altezza saremmo restati per molto ancora. Superiamo i piani del Gaudo dove racconto i fatti storici della Pasquetta 2005 (con gli amici di Acerno alla Caserma) con sommo interesse di chi guidava e arriviamo in un tratto dove finalmente si scende sotto i 30 orari (sollievo!!) per via di alcune buche. Ma "purtroppo" torna l'asfalto, anzi l'asfalto nuovo e riprendono alcuni allunghi per farmi "tacere" o per tastare le ruote nuove... mah! Anche se quei picchi di velocità non erano male, sarò sincero. Nello stesso istante mi rendo conto che avevo i guanti e che sotto i guanti però non avevo le mani, o meglio iniziavo a tastarmi la faccia non per sentire il volto ma per sentire i miei arti superiori (toccando più volte la visiera del casco che mi sembrava trasparente) e mi rendevo conto che mi mancava una parte di corpo...allorchè ho iniziato a temere e ho cercato di mantenermi con i soli piedi, ma mentre li cerco di muovere mi sovviene che li avrò dimenticati a casa perchè anch'essi sono inesistenti e le gambe ormai degne di un Bronzo di Riace tanto ferme e statiche... i jeans cominciavano a cacciare le stalattiti e sembravano quei merluzzi surgelati messi nei supermercati. In quell'istante ero un vegetale, solo la parte del corpo riparata da Francesco era viva e l'unica cosa che muovevo era la lingua che dal profondo del corpo era animata da non so cosa...e non lo sapremo mai dato che come ragionavamo : smetterò di parlare solo quando fra 1000 anni... lasciamo sta!
Dal Piano Migliato ormai in assenza di sangue liquido in diverse parti del corpo, penso al Dottor Alvino Jr. e ai suoi teli termici e all'improvviso le labbra perdono consistenza e il naso mi sembra cuocere! Il Cervialto sembra vicino ma mancano ancora 5 km al Colle del Leone e al Piano L'Acernese le uniche funzioni organiche riguardavano il cuore e la lingua, il cervello ormai era staccato da un bel pezzo... inizio anche a tremare... lunga volata finale dal Ristorante La Lucciola e finalmente fermiamo quell' "arnese infernale" e appena scavalco (con l'uso del mento ancora abbastanza funzionale) la moto sto quasi per cadere perchè oltre alle gambe il jeans si era atrofizzato ed era rimasto cosi come mi ero seduto... ma lo scatto a scendere spacca quel po di ghiaccio formatosi e mi permette di restare nel baricentro impedi... Francesco mi trasporta in braccio nel bar dove tento di riprendere calore...E PENSARE CHE AVEVAMO DECISO DI PRENDERE UNA COSA FRESCA!!! Decido di passare al Cappuccino, intanto la bocca e la faccia sono viola e le mani tremano a mo di morbo di Parkinson... Francesco prende un gelato e mentre lo vedo con la mano nel frigorifero vengo trafitto da un dolore atroce... MAMMA MIA! COMM SI FA! Arriva il cappuccino ed è un momento tragico... le mani mi tremano cosi tanto che non riesco a tenere la tazza ferma, mi cade del latte sul sotto tazza e la poso... provo a rialzarla ma ricade... la terza volta faccio un sorso...mentre alle mie spalle un infame.. ehm simpaticissimo Francesco sta morendo dalle risate ed io non riesco neanche a parlare finchè al Bar vedendomi impossibilitato a usare le mani mi chiedono se volessi una "Cannuccia" ed è li che il "simpaticone" inizia a piangere e se ne esce con frasi del tipo :"L'uomo di montagna" "colui che va sulle nevi"... avessi avuto un po di forza in più non so che vendette avrei provocato ma non era il caso...mi sarei spezzato anche il muscolo della parola!! Dopo circa 15 minuti riesco a sollevare la tazza , la mano trema meno e bevo il cappuccino...prendo il portafoglio e non riesco ad inserire il resto al suo interno ancora per il tremore (sempre tra le risate di....). Usciamo e ci sediamo su una panchina dove ci viene la brillante idea di chiamare a ........Miky con la quale sempre il "simpatico pilota" inizia a sbeffeggiare il loro Presidente ed io me la faccio passare dicendo : "MM M I I CHE'.. A VVVUUOOO F FF A ANCORA A MOOODDDERRATRICCE" (parole tremolanti) e ovviamente altre minacce che non sto qui a raccontare per il decoro di questo forum... il tempo passa, sto per prendere un po di colorito mentre Francesco mi umilia con fotografie, inserisco il casco facendo le solite peripezie per far entrare l'orecchio destro e poi si parte... ma mentre il calore sta per arrivare lentamente... INIZIA A PIOVERE. Dapprima leggerissima, poi sempre più forte... a Bagnoli il diluvio che ci accompagna fino alle Croci di Acerno dove ormai l'acqua è entrata ovunque, le mutande sono zuppe, i pantaloni ora congelano meglio perchè aiutati dall' H2O (molecola odiosa in questi casi)...e il freddo poi stimola anche la voglia di andare al bagno.
Fortunatamente ad Acerno spunta il sereno e fino a Montecorvino sono uno straccio su uno stendino sul balcone in una sera di grecale che oltre ad asciugarsi congela e resta fermo e "n'tizznut" fino al paese... pensare che non ho tolto neanche gli occhiali da sole quando alle 19 era tutto scuro...ma orami non ero più in me. Scendo dalla moto e sto quasi per cadere a terra...sono un fantasma e l'unica parte bagnata rimane quella più nascosta Stato comatoso...
Doccia calda di mezz'ora...

Resoconto di ciò che doveva essere una piacevole gita in moto e che si è trasformata in un calvario al Monte...

Ma tutto sommato non ci lamentiamo e quando il calore ritorna la prima cosa che viene in mente è : Cacchio! Però lo rifarei!!

QUOTA 10 "Al Cervialto dei Record" 21 Settembre 2008

Quando la Vita ti sorprende non sai mai in che modo e in che forme lo fa prima che lo provi sulla tua pelle e l'esperienza capitatami il 21 Settembre 2008 ha , a dir poco, dell'incredibile. Notizie che ti sconvolgono, situazioni inimmaginabili, prestazioni atletiche inaspettate sono tutto ciò che ho vissuto sulla mia pelle dal 17 al 21 Settembre.
Ormai avevo riposto nel 28 tutte le speranze di raggiungere quota 10 al Cervialto e mai avrei pensato che in qualche modo la "sorte" mi avrebbe posto dinanzi un'ennesima possibilità di scalata che da possibilità poi si è tramutata in una "prova" vera e propria. Da ormai un anno il sentiero della vetta dei Picentini non ha segreti ma a volte una semplice affermazione rende un percorso visto e rivisto una situazione inedita. Ed è cosi che inizia la storia, seduti su un divano al compleanno dell'amica Michela che dopo tre mesi di continue proposte di escursione all'improvviso da l'inatteso "ok" in compagnia di Francesco. In quell'istante la notizia mi ha reso leggermente sconvolto, poi pian piano ho inziato a realizzare cosa stesse succedendo e se non fosse stato per Francesco credo che non mi sarei neanche organizzato perchè non ci avrei creduto. L'appuntamento è fissato alle 7.15 aBellizzi ma io scendo alle 7.30 (tanto già sapevo) nonostante l'avvertimento telefonico di ritardo (che aspettavo). Walter aspettava con la sua solita pacatezza e impassibilità e nella sua mente gli spettri del suo "quinto" Cervialto iniziavano ad aleggiare e una smorfia di inquietudine si leggeva chiaramente sul suo volto; si capiva facilmente che la sua presenza era dovuta solamente alla compagnia che anche lui più volte aveva auspicato.
Finalmente il tutto è pronto, Michela dorme ancora, ma si può partire, ci dividiamo in due auto (sempre per colpa sua) e saliamo alla volta di Acerno e come in una maledizione mentre mi lamentavo amichevolmente per la scelta delle due auto (scelta dovuta ad abitudini di guida per non sentirsi male nelle curve) mi sento male e devo fermarmi in località "camporotondo". Subito mi volto alla macchina dietro ma poi riprendendomi ripartiamo. Passano altri chilometri e a Bagnoli ho di nuovo il mal d'auto e quindi nuova sosta; fin sul Laceno però problemi zero e la visuale della nebbia che abbandonava i Monti era idilliaca. Walter non era convinto di trovare limpidezza sulla vetta, io neanche (anzi ne ero convinto della nebbia!) ma cercavo di tirare su il morale con frasi arrembanti.
Al Colle del Leone parte la preparazione, zaini, scarpe da trekking, macchine fotografiche e sveglia a Michela che inziava a riprendersi (forse). Il sentiero è bagnato , il passo non è male e arriviamo in poco tempo alla "torretta" dove dopo migliaia di chiacchiere una "fatica" immane (per tre una passeggiata) ci porta alla visuale sul Piano l'Acernese.
Il tempo passa, la camminata è piacevole, non parlano tutti forse assediati dalle mie chiacchiere, Francesco è pimpante, Walter con le sue scarpe d'Alpinismo puro (a mio avviso inutili) è afflitto dal peso della sua Nikon che ormai è in pensione da circa 2 mesi , ma continua a caricarsela nello zaino. Riposiamo a Filicecchio, ci sediamo sulle rocce e scattiamo qualche foto, poi senza decellerare più, dritti sulle creste del Cervialto. La salita più dura dell'intero sentiero, mi giro e vedo lo sconforto , allora prendo il passo avanti e cedo i bastoncini a Michela che li usa come Vito (senza metterli nel terreno: non servono a niente). Lungo il crinale nonostante le nuvole e il cielo grigiastro il Mare era limpidissimo, la costiera amalfitana "splendeva" con Capo d'Orso e Vietri all'orizzonte mentre sul lato montano nebbie avvolgevano le cime più alte.
Alcuni allora iniziano a parlare delle vecchie imprese e arrivati alla prima cresta, Walter mi manda all'avanscoperta per allontanare una mandria di mucche, dopo le quali partiva impervia la seconda cresta. Un falchetto ci passa sulla testa, la nebbia inzia ad infittirsi e la visuale si chiude, come volevasi dimostrare anche il Cervialto alla vista degli ospiti si è messo paura e si è chiuso a "riccio". La conca è "inesistente", la temperatura bassa come il 17 Settembre e allora invece di fermarci andiamo in contro alla "sorte" su per le creste verso il punto trigonometrico, verso "LUI", il "mitico" ed "amatissimo" libro di Vetta! Dieci volte in cima! Obiettivo raggiunto! Quattro volte solo a Settembre (ma ci sarà la quinta) e conquistata la vetta nel primo giorno di autunno. Firmano tutti e Michela concede anche i suoi pensieri sulle pagine del "mio" diario; va bè concediamoglielo.
La permanenza in vetta non è facile, quindi decidiamo di mangiare e scendere subito, questa volta all'interno della conca, dove la nebbia sul suo fondo non c'era me regnava l'umidità e la scivolosità; e senza fare nomi , nel gruppo c'era anche ci con le scarpe di "gomma" stava rischiano la "vita". Risaliamo il "crinale" e scendiamo rapidi verso le auto al Colle del Leone.
L'escursione "impossibile", l' escursione dei "miracoli" , il Cervialto dei Record ( e non per le 10 volte). Indimenticabile, scioccante, emozionante e piacevole, nonostante le mie preoccupazioni su di un membro della spedizione il tutto è filato liscio senza problemi. Ritorniamo a casa pimpanti, forti , arzilli e contenti.

p.s. qualcuno ha messo il pigiama alle 20.30 e si è svegliata alle 13 del giorno dopo.

venerdì 19 settembre 2008

17 Settembre 2008 In cima al Freddo: conclusione di un'estate di imprese

Il mercoledì delle imprese, il giorno in cui si è conclusa l'avventura estiva della coppia d'attacco Angelo Mattia Rocco - Federico Alvino; ebbene si, Federico dopo 2 mesi Campani è tornato a Siena per studio, ma come fu La Nuda (la prima impresa) all'inizio, un'escursione "leggendaria" ha coronato questa fantastica esperienza montana durata tantissimo. Stanchi dal dover convivere con la "novità", ovvero di dover sempre cercare un incentivo nuovo per proseguire le nostre escursioni e consapevoli della mia voglia di conquistare 10 volte il Cervialto in un anno, presi anche dalla malinconia finale ci rechiamo per l'ennesima volta sull'altopiano Laceno. L'obiettivo era chiaro e preciso già da una settimana, le carte meteo annunciano un freddo invernale improvviso sui monti e noi vogliamo toccare con mano la temperatura più bassa della campania. Ci sarebbe stato il Cervati come vetta più alta e forse più fredda, ma la mattina stessa ci mostra un'Irpinia avvolta ancora da nebbie e nuvole e un cilento sgombro da nubi e al sole e cosi il picco del "gelo" è li, su quella vetta che ormai è divenuta il simbolo di questa estate.
L'altopiano desertissimo, anche le mucche sembravano in ferie, il freddo tardo autunnale e quei 9° con il venticello a penetrare nelle ossa, il laghetto solitario e quella vetta avvolta da nuvole e nebbie possenti. Al Campeggio Zauli per l'ennesima volta , la terza consecutiva, dove posiamo le auto e indossiamo il maglione pesante. Durante la settimana aveva anche piovuto e cosi ci ritroviamo su un sentiero bagnato, franato in alcuni tratti e molto molto scivoloso nelle parti più ripide.
Superiamo con grande disinvolutra il primo tratto al fianco del vallone e le foglie battute dalle acque rendevano il tutto più semplice e intuitivo, la salita ovviamente ripida come sempre e l'umidità che si alzava dal suolo, ogni tanto qualche fungo (velenoso ovviamente) e lo sforzo di raggiungere la prima mulattiera. Dalla prima mulattiera il paesaggio cambia radicalmente per un sentiero impervio, reso durissimo e faticoso da una coltre di fango sottilissima che però non concedeva spazio all stabilità. Fino al Valico di Giamberardino però il passo era ancora abbastanza agevole, le difficoltà enormi dopo, dal varco alla crinale Nord del Monte Cervialto. I giovani faggi gocciolanti e umidi, una leggera nebbiolina che man mano diveniva sempre più fitta, il vento freddo e una "pioggia" di larve di cavalletta che cadevano dalle piante. Il sentiero era di un rosso argilloso, i piedi faticavano a mantenere l'aderenza e i bastoncini erano chiusi al massimo come se fossero delle piccozze in uso su un ghiacciaio. Rischiamo diverse volte di cadere, ma non ci scoraggiamo minimamente, raggiungiamo il tratto più ripido e notiamo che le solite foglie secche sono state "sostituite" da un'immensa fanghiglia compatta e a "cascata"; l'ultimo sforzo e infine siamo sul boschetto che di li a poco in una coltre di nebbia fittissima ci avrebbe portato sulla vetta. Nel vallone non vediamo praticamente nulla, il freddo ci prende all'improvviso mentre una bellissima brinata ci fa rendere conto della temperatura prossima allo zero e cosi in velocità , vestiti solo di una camicetta ci rechiamo al punto trignometrico dove indossiamo maglione, giubbino invernale, guanti e cappuccio.
Il vento è terrificante, il termometro segna 3°, il tutto è avvolto dal "grigio" e di tanto in tanto si odono delle voci venire da chissà dove, mentre mucche pascolavano indisturbate sotto i nostri occhi che però non potevano vederle. L'obiettivo del "freddo" è stato raggiunto, la situazione meteorologica è esaltante per chi voleva a tutti i costi verificarla e cosi apriamo il libro di vetta e firmiamo descrivendo sentiero e condizioni atmosferiche. La mia nona volta in cima e non l'ultima, che ha rappresentato un giorno invernale in uno strano giorno di fine estate.
Il freddo iniziava a penetrare nelle ossa, l'umidità era del 100%, i panni restavano impregnati di sudore e ormai le mani non le sentivamo più, cosi decidiamo di scendere seguendo la strada "maestra" sulla cresta W che in quel caso poteva essere percorsa solo da chi nella sua esperienza la conosce molto bene data l'assenza di punti di riferimento. Su quel versante il vento sferza delle raffiche impressionanti, la mia faccia è quasi viola e ormai i guanti sembrano inutili, finchè giunti alla "stazione idrometereologica" scendiamo di quota e già a 1700 metri lo scenario della nebbia ci abbandona. Lungo il sentiero 113 verso il Colle del Leone ce la prendiamo con calma, godiamo del tempo e dell'ebrezza di questa giornata e ci riposiamo su di una rupe per circa 45 minuti nell'intento di respirare fino in fondo questa avventura.
Al Colle poi per i piani dei Vaccari e dell'Acernese, immersi in un sole freddo che ci condusse all'auto, con la quale di li a poco ci saremmo spostati sull'Altopiano Laceno per riscaldarci con una cioccolata calda e un buon cappuccino.