giovedì 31 luglio 2008

Postiglione - Monte La Nuda 1704 mslm

Credevo, ovviamente sbagliando, di aver visto già tutto l'immaginabile delle nostre splendide montagne, ma oggi ho ricevuto una lezione di "novità" e di "difficoltà" dalla cim,a forse (e qui ci vuole), più dura da raggiungere degli Alburni, la Regina "La Nuda". Questa montagna che da inesperti, noi per primi e molti con noi, scambiavamo per il Panormo (dato che dava l'impressione di essere la vetta più alta guardando da Bellizzi) ha sempre arrecato nelle nostre menti un qualcosa di "bizzarro", di "folle", quel giusto sentimento che tramuta la vista di una cima nella voglia spasmodica di conquistarla. "La Nuda", osservata e studiata su libri e cartine, discussa tra di noi e molte volte nominata durante le visite al Panormo stava diventando giorno per giorno un obiettivo da raggiungere, nonostante da consiglie e letture sapessimo di dover affrontare una montagna non simile alle altre, ma non si sapeva per cosa. L'ora delle domande però doveva giungere al termine, la curiosità diventava più insistente e incalzava la smania di toccare con mano la realtà, ma nello stesso tempo in cuor mio e in quello del "collega degli alburni" Federico c'era la paura di portare allo sbaraglio una compagnia non pronta o non abbastanza attrezzata per una montagna a noi sconosciuta. La paura di sbagliare, di affaticare e rendere difficile la vita di nostri compagni ci ha spinto a partire all'alba di questo Giovedi 31 Luglio 2008 in compagnia dell'unico membro extra Lello, escursionista allenato a sentieri alburnini da tanti anni. L'idea è quella di vedere il sentiero, analizzarlo, studiarlo e vedere le difficoltà per poi portarvi il gruppo con tutta sicurezza e cosi alle ore 6.00 si parte verso Postiglione.
Postiglione alle 6,30 del mattino, sensazione strana, una piazzetta deserta e qualche passante con cui scambiamo qualche chiacchiera, le pareti calcaree a picco sul paese e quel sapore di montano che solo gli alburni sanno donare. Alle ore 7.00 da Piazza Europa proseguiamo in direzione della chiesa adiacente e dopo aver superato una strada asfalatata in pesante pendenza raggiungiamo il primo segnale CAI e il cartello "Grotta di S.Elia". Il primo tratto ci ha fatto superare già un dislivello di circa ottanta metri in pochissimo tempo, lo sguardo verso la grotta inoltre lasciava già assaporare quello che "La Nuda" ci avrebbe riservato. Pendenza e gradoni ci conducono in relativamente poco tempo agli 890 m della Grotta dove sostiamo per un po e godiamo del panorama sulla valle del Sele e sulla Piana del Sele. Il Polveracchio svetta con i suoi pianori incontrastato verso i Picentini e solo il Cervialto potrebbe fargli paura, ma quella vetta che si alza al disopra di esso sembra impotente difronte al massiccio di Campagna.
La sosta dura circa dieci minuti, si inzia subito a bere molto, il sentiero precedente ci ha già messi alla prova, ma il tutto doveva ancora arrivare.
Continuiamo dalla grotta e ritorniamo al sentiero il quale inzia ad impennarsi nel bosco su piccolo sentierino quasi battuto in terra, si susseguno strappi pesanti fino alla prima parte esposte e lo spettacolo dei bastioni ci lascia per un attimo incantati. Ma non si può rimanere fermi, l'altimetro segna ancora 990 metri e la salita è lunga, quindi si rientra nel fitto del bosco per riprendere a salire in decisa pendenza. Continua un percorso che va mano mano perdendosi tra l'erba del bosco, le foglie occupano anche i piccoli spazi di terra dove forse vi era una traccia di mulattiera larga solo per i piedi, in alcuni punti si cammina al lato di un canalone in un fazzoletto di terreno e mentre un piccolo tratto in discesa ci fa respirare, voltandoci notiamo il bosco selvaggio e il sentiero come un muro. I bastoncini ci sono di un aiuto incredibile, picconiamo a tratti per non cadere e per alzarci su alcune rocce, in alcuni tratti e davvero difficile mantenere l'equilibro e la terra polverosa non aiuta affatto l'aderenza. Per diverso tempo si salirà in queste condizioni ed inoltre la concentrazione non va mai persa perchè anche i simboli del CAI in alcuni tratti diventano "impervi" come il sentiero. Finalmente sembra però che la situazione ritorni alla normalità e si esce di nuovo sotto le bastionate dove il Colle Medoro ci sorride e noi con lui gioiamo, ma dato che siamo a soli 1100 metri capiamo che per attraversarlo e uscire sul valico a 1400 dovremmo sudare ancora e affrontare chi sa quale fatica. La risposta non tarda ad arrivare, dapprima un sentiero in erba che cade a cascata sul costone che impedisce di visualizzare bene i segnali, poi imboccata la via giusta la pendenza risale ancor di più di prima finchè dopo circa un'ora cominciamo a camminare nella parte più bassa del Medoro a contatto stretto con le lame calcaree. Sensazione idilliaca, tocchiamo con mano il calcare che vediamo e "veneriamo" sempre dal basso e passiamo sotto cavità carsiche e rocce sporgnti alte meno di due metri. A volte si ha l'impressione che tutto crolli e cada addosso. Un tratto suggestivo ed emozionante, ma i sentimenti lasciano di nuovo spazio alla fatica ed infatti arriva ora il tratto più duro in assoluto che in quasi due anni di escursionismo abbiamo affrontato. D'apprima paragonato alla "Chiaia Amara" del Cervati, subito ci rendiamo conto che quella non era che una passeggiata e costeggiando il bosco sottostante i bastoni camminiamo su uno scoscesissimo costone ciottoloso che frana spesso al nostro passaggio. Cadono rocce, sassi e tronchi ma "La Nuda" va conquistata e noi non ci fermiamo. Ovviamente qualche attimo ti tensione è d'obbligo e superata la traversata dei ciottoli ci guardiamo in alto e notiamo il valico, ma tra noi e il valico vi è un canalone roccioso con alcuni faggi che nel finale vanno quasi a chiudersi. Ora la situazione è dura e noi ci armiamo di coraggio e pazienza, posiamo i bastoncini nello zaino e cominciamo ad afferrarci agli alberi e alle rocce per mantenerci dato che ora si cammina quasi in verticale e in alcuni tratti ci sono difficoltà quasi da arrampicata. Tra la presa di un albero e quella di una roccia, faticando non poco e sudando tantissimo giungiamo al tratto più ripido e più fitto, dove con un po di determinazione in più e facendo forza sulle braccia tra due rocce, passiamo al di sotto degli utlimi rami e raggiungiamo il Valico. Al Valico ovviamente ci fermiamo e ci compattiamo. Saliamo su una roccia a punta scalandola e da li osserviamo il panorama verso i Pozzi di Santa Maria, una zona di pianori davvero interessanti, da dove partono sentiero per la Grotta di Malacera. Inoltre scendendo di nuovo al valico si notano nel loro splendore selvaggio e puro tutte le creste da Controne a Postiglione. Si vedono le Timpe, si vedono i Gemelli di Roccia e si vede il mitico Colle Medoro e ovviamnte il nostro sguardo non può che volgersi a quelle creste spettacolari che salgono come un'onda che parte dalla terra e si infrange nel mare del cielo azzurro rilasciando al suo ritorno la sabbia rocciosa e le alghe boschive. Il tutto qui ha un sapore altamente poetico ed è ovvio il ricordo di Virgilo che lasciò le sue memorie anche su questi Monti Alburni. Davvero è difficile staccarsi da questo scorcio paesaggistico, ma la salita non è affatto terminata e quindi occorre tornare in marcia. Ma stavolta il sentiero è lasciato a se stesso sulla cresta "nuda" saliamo ad occhio e a sentimento e cerchiamo in tutti i modi di arrivare subito alla nostra meta sapendo che il peggio è passato. Il tratto roccioso al sole è sicuramente più impervio dell'ultimo tratto finale del Panormo e sale con maggiore decisione e proprio mentre con forza si giunge la dove il cielo fa da confine alla vetta ci rendiamo conto di essere solo su un'anticima e cosi ripuntando ad occhio il nostro "sogno" prendiamo il "volo" Un "volo" diretto nel blu toccando terra, un qualcosa che si può provare solo in montagna, una sensazione che a volte qui sugli Alburni accresce forse per quel desiderio insito di vivere lontani da tutto e da tutti che qui si realizza in concreto.
Il libro di vetta spunta da una roccia, manca poco davvero eppure abbiamo un altro tratto difficile tra le rocce, ma superato questo finalmente ci siamo. Con determinazione, caparbietà e coraggio abbiamo raggiunto senza l'ausilio di guide e con la sola voglia di conoscere, dopo aver studiato le IGM a tavolino (e ovviamente agevolati dal CAI) la vetta del Monte La Nuda. Godiamoci il panorama e il meritato riposo che poi riposo non è ma sarà più un "riposto" dato che la sosta ovviamente come previsto si è tramutata in un continuo saltellare tra rocce e rocce per capire i segreti del Monte.
La vetta è molto solitaria, non è contornata da altre cime ed è molto piccola, subito si aprono precipizi verso i valloni sottostanti e solo tramite il bosco adiacnte è possibile raggiungere non in poco tempo la "Spina dell'Asino" che però lasceremo inviolata aspettando la traversata.
Foto di rito, sguardi nel vuoto, firme al libro di vetta, panino, bevuta e tanto relax per poi ritornare prima che il sole inizi a picchiare per la strada del ritorno. Una strada che oltre ad essere ovviamente triste come lo sono tutti i ritorni presenta ancora difficoltà dato che i tratti precedenti di salita ora saranno affrontati in discesa e la sitazione non è delle più facili. Ma la grinta che avevamo ci ha fatto superare anche queste ultime difficoltà, girati di spalle e scendendo esattamnte come eravamo saliti invertndo soltanto i movimenti prendiamo via per il bosco. Stiamo molto attenti e per altre volte procuriamo piccole frane nelle pareti ciottolose ma finalmente arriviamo in tratti meno impegnativi del ritorno e la compagnia inzia a riposare mentalmente. Una montagna selvaggia, arcigna, aspra, dura, tremenda, affascinante non poteva che salutarci diversamnte che con la visione di uno splendido Lupo che tra il fogliame scappa e fa cadre tante rocce e un topolino di montagna marrone che ci salta davanti e si tuffa nelle felci degli ultimi castagneti.

martedì 29 luglio 2008

L'escursione dei due "dirimpettai"

L'escursionismo è molto più che una semplice discipliina sportiva, l'escursionismo ti prende, ti coinvolge al di la del risultato finale di qualsiasi "inziativa", l'escursionismo ti prende all'improvviso e ti scoinvolge la giornata quando meno te lo aspetti. L'escursionista, l'appassionato vero e vivo della Montagna a volte non resiste al suo richiamo e risesce a cambiar una giornata che all'apparenza non avrebbe avuto grandi scossoni. Cosi è stato per me e il collega Federico, appena tornato da Siena, con il quale avevamo programmato una passeggiata in bici. Eravamo già pronti e pimpanti per intraprndere i nostri chilometri quando alle 6 del mattino mentre mi apprestavo a scendere, osservando il mio nuovo zaino da 70 l, il cielo e le montagne chiamo l' "amico" e gli propongo al volo una "Cima Terminio". La notizia è stata presa subito con entusiasmo e cosi in men che non si dica cambio abbigliamento, metto due bottiglie d'acqua nello zaino e qualche pezzo di torta (che fortunatamente avevo da S.Anna Domenica) e preparo due panini. Alle 6.30 l'arrivo a Pontcagnano e alle 7.30 già sul sentiero a Campolaspierto. La mattinata è fresca, ci sono 13°, il cielo verso il mare è limpido e azzurro ma sui monti inziava ad apparire una certa foschia strana. Decidiamo di incamminarci subito verso i pianori di Campolaspierto e con un passo decisamente diverso dalle solite escursioni in pochi attimi ci ritroviamo sulla carraia, tiriamo dritto per la deviazione al Rifugio degli Uccelli e marciando come due soldati e godendoci il bosco giungiamo in pochissimo tempo alla sorgente intermittente dell' Acqua del Cerchio. Riposiamo giusto due minuti per bere e mangiare una fettina di torta, dato che io non avevo fatto colazione, e messi a posto gli zaini riprendiamo il cammino sul sentiero 1b del CAI entrando nel fitto della vegetazione. Qui il sentiero, come ampiamente detto nei precedenti post, si inerpica e purtroppo in alcuni tratti bisogna cambiare itinerario perchè qualcuno ha avuto la "brillante idea" di passarci con un piccolo escavatore (per fortuna la natura sta reimpossessandosi del maltolto). Su questo tratto si respira tutta l'essenza del bosco, passi attraverso ai Faggi padroni del Terminio ed sprofondi nei tappeti di foglie e nelle "dune" di terra che si alzano a polvere al passaggio. Ma questo è anche un tratto breve ed infatti subito si nota il cielo tra le piante verso il Valico e in un batter d'occhio (per chi è allenato si intende! ) ci si trova a Collelungo. Collelungo, i 1620 m che segnano gli ultimi 200 di dislivello e che rappresentano anche un'altra sosta obbligata per godersi la montagna. Ma, come al solito con Federico, la voglia di raggiungere vetta è troppa e cosi ci alziamo subito dalle rocce e con passo svelto ripercorriamo il crinale verso la deviazione dell ' 1b, prendiamo per il bosco in una canaletta di terra e raggiungiamo il bosco dei faggi chini che nel giro di quindici minuti con un comodo sentiero ci permette di assaporare l'ebrezza della Cima Terminio. Sono le 9 e noi siamo già in vetta, e la sensazione di mattina si respira subito, si entra in un altro mondo e solo chi ama la montagna può comprendere quella commozione che si prova a sapere che in quell'attimo diventi quasi come un "essere del bosco", un tutt'uno con esso.
Sulla cima prendiamo un po di tempo per osservare i canaloni e le rupi esposte e come ogni volta gli abeti su quelle pareti danno un colpo d'occhio eccezionale. Il pianoro è inviolato e sembra ancora dormiente e noi stavolta decidiamo di lasciarlo dormire e di osservarlo da lontano per non turbarlo. Si pensa all'inverno, alle eventuali vie da intraprendere per evitare dirupi e parti esposte coperte dal manto bianco e cosi disegnamo anche una traiettoria prendendo come punto di riferimento un gruppo di arubsti e un gruppo di rocce che si appoggiano sul fatidico crinale. Pensiamo subito che non sarà un'impresa facilissima, ma basterà sapersi almeno regolare con il "tempo" e gestirsi in modo da salire in vetta quando la neve avrà lasciato solo un piccolo ricordo e non si sarà impossessata di tutto il volume.
In ogni caso, dopo questi ragionamenti, ci voltiamo verso Bagnoli Irpino e notiamo come vi fosse un muraglione di nubi. Non convinti sugli sviluppi del meteo e consicenti che i temporali pomeridiani sono sempre in agguato alle 9.30 (sembra ridicolo pensare già al pomeriggio a quest'ora!) riprendiamo il sentiero fino al valico di Collelungo che raggiungiamo in appena sedici minuti. Da Collelungo però non puntiamo all'acqua del Cerchio e come l'atlra volta voltiamo sulla sinistra per raggiungere il pianoro a 1400 del Rifugio degli Uccelli, dove vi è posta la Faggeta più affascinante di tutti i Picentini esplorati fin ora. Come al solito una discesa veloce e pendente ed infatti sono appena le 10 quando ci sediamo ai mitici tavolini di fronte alla "pertinenza" del Rifugio e scattiamo qualche foto eccezionale. I colori di questo posto ogni volta ci regalano delle emozioni inaspettate, e sarà l'erba o il sole che tra quei faggi grigi reagala giochi di luci particolari, ma ogni volta ci si può aspettare una sorpresa.
Dal Rifugio manca poco a Campolaspierto e l'idea che ci era balenata in testa in discesa prende corpo...arrivati all'auto direzione Fisciano-Calvanico e via per il Pizzo San Michele!
Alle 11.30 precise scendiamo con l'auto verso la SS 574 del Terminio e all 12.25 raggiungiamo Fisciano. Da Fisciano iniziano una serie di problemi dato che al Pizzo ero andato una sola volta e non ricordavo la strada, e cosi, prima sbagliamo in direzione di Calvanico e poi in direzione del Varco del Cerzone, ma finalmente chiedendo qualche informazione prendiamo la strada giusta per Carpegna. Da Carpegna posiamo l'auto e ci rechiamo in direzione del Casone De Fazio e ovviamente dal Casone via verso la salita che ci condurranno al Pizzo. Saliamo molto rapidamente, il tempo diventava pessimo e noi volevamo a tutti i costi raggiungere la seconda vetta. Le nuovole inziano a diventare sempre di più e iniziamo a scorgere nebbia sui Monti Mai, ma nonostante tutto in poco tempo siamo al Pizzo. Da qui purtroppo il panorama è completamente oscurato, la nebbia ci avvolge e abbiamo il tempo solo di mangiare un altro panino, ma siamo orgogliosi e contenti. In lontananza prima della copertura totale avevamo scorto il Monte Terminio e naturalmente ci siamo soffermati per un attimo a pensare all'intera giornata. Iniziano i tuoni, qualche fulmine, la visita al rifugio è stata già fatta e cosi molto velocemnte ci tuffiamo verso il basso. Mezz'ora per raggiungere l'auto e appena entrati grandine e pioggia... asciutti per un pelo.

lunedì 21 luglio 2008

20-07-08 Colle del Leone - Cervialto: l'autunno in estate

Cervialto ancora una volta meta delle nostre avventure appenniniche! A molti potrebbe sembrare strano il continuo salire su monti già visti, eppure vi assicuro che nulla è più entusiasmante di rivedere e riassaporare ciò che mai davanti ai vostri occhi si mostrerà uguale. Ogni mese e perfino ogni settimana un sentiero cambia, e a maggior ragione cambia un monte alto 1809 m che risente particolarmente dei fenomeni atmosferici e delle stagioni.
Questa volta con noi oltre al fedelissimo Walter ci sono altri due amici, Peppe e Dalibor (alla sua ultima escursione campana dell'anno). Come al solito la base per la nostra partenza è l'altopiano Laceno, e ancora una volta il Colle del Leone è il punto principale per l'ascensione al Monte più alto dei Picentini. Ancora una volta quindi il sentiero 113 del CAI anche se, dopo la disavventura del Settembre 2007, c'è l'intenzione di riprovare a percorrere quella strada interna e scalare la "parete" del Cervialto da un versante più aspro e molto più "divertente".
Giornata serena e tranquilla al Piano e al Colle, una foto di gruppo per cominciare il cammino e su per la mulattiera che purtroppo in un anno ho trovato giorno per giorno peggiorata, forse a causa dei fuoristrada e delle escursioni in Quad. Il sentiero è molto ciottoloso, dissestato e per chi non possiede le scarpe da trekking è davvero un "calvario". Ma la voglia di raggiungere cima non ci permette di soffermarci su questi "dettagli" e cosi tra una chiacchiera e l'altra e il solito fuori pista sul belvedere del Piano l'acernese, raggiungiamo il Valico di Filicecchio dove poniamo per un attimo il nostro campobase. In questo periodo la natura è davvero generosa; origano, timo, fragoline di bosco e alberi verdi che si slanciano verso l'alto e si illuminano al sole ci regalano uno scorcio "idilliaco" da conservare gelosamente nelle nostre menti. Per una decina di minuti sediamo su alcune rocce lisce e con lo sguardo adocchiamo alcuni funghi che purtroppo o per fortuna non sappiamo riconoscere e prima di ripartire ci soffermiamo anche ad ascoltare il bosco per "capire" le sue intenzioni. Intanto il cielo si copre e da un'unica nuvoletta nel cielo azzurro ora regna il grigio e l'omogeneità. Inizio a sentire un po di turbolenza nella spedizione, tra chi è convinto della pioggia e chi invece ormai è deciso a raggiungere la meta anche a costo di bagnarsi, anche se convinto che il tutto filerà liscio senza intoppi.
Filicecchio si allontana, la strada è ancora abbastanza lunga, siamo a circa metà salita dai 1500 ora l'obiettivo è la fine del sentiero e l'inizio della cresta per poter tirare di nuovo il fiato e intraprendere la scalata finale. Attraversiamo il bosco di faggi più interessante del comprensorio, rimaniamo affascinati ancora una volta da quei fusti altissimi e dai cespugli fittissimi che a destra e sinistra del sentiero delimitano la "linea dei faggi" e cosi dopo altre due curve giungiamo all'imbocco delle creste. Riposiamo giusto cinque minuti, osserviamo il cielo ancora più cupo e via per la prima cresta. Sulle rocce la vegetazione stranamente è fittissima, di solito già in Giugno assisitiamo a uno scenario secco e brullo, ma forse le piogge di questo 2008 hanno reso la natura forte e vigorosa e cosi siamo costretti (con un certo impaccio) a solcare queste erbe infestate da simpatici grilli, da cavallette e da ragni molto grandi. Ogni tanto qualche vespa e qulche bombo e purtroppo anche sciami di mosche cavalline che ovviamente cercavano di posarsi addosso.
Superata la prima cresta, ci apprestiamo ad un tratto di pianura prima della cima e superata la pianura non ci resta che tirare dritti per la montagna e seguire non più i simboli del CAI ma il cielo. Il lato esposto verso il Piano Migliato è ancora una volta il più affascinante, da sapore alpino, con macchie di alberi aggrappati alla parete che sembra cadano da un momento all'altro, eppure sono li da anni. Il Monte Eremita Marazano immerso dalle nuvole, gli Alburni invisibili e girandoci notiamo mal appena il Raiamgra, mentre Lattari, Terminio e Accellica sono avvolti nel "nero". Verso la piana si scorge in una piccola schiarita il Monte Castello e Bellizzi.
La salita sta per volgere al termine e pian piano spunta il tetto della casupola-ripetitore radiofonico sulla vetta. Siamo arrivati, posiamo gli zaini e osserviamo (la 4° volta per me, la 3° per Walter e la 1° per Peppe e Dalibor) la conca "vulcanica" del Cervialto rivestita di un colore ancora assente nella mia "collezione fotografica". Sulla vetta consumiamo il nostro inseparabile panino, assaggiamo l'acqua presa alla sorgente della Tronola e dopo le foto di rito ci avviamo all'anticima su per le cresta meridionali per raggiugnere il libro di vetta. Le soprese stavano per cominciare; d'un tratto il cielo si copre sempre più, sale la nebbia dalle vallate, si alza un vento freddo e tutto intorno scompare avvolto dalle nuvole basse: è lo spettacolo naturale più entusiasmante a cui abbia mai assistito su questo monte. La nebbia che saliva e si invorticava regalava agli occhi uno spettacolo raro, forse unico dato che molti non sarebbero neanche salito con questo tempo, eppure chi non tenta queste avventure non scopre mai cosa si cela in quelle cime che a volte dalla pianura vediamo immerse nelle nuvole. A volte pensiamo che sta piovendo in motagna, che li ci sarà temporale eppure Domenica abbiamo vissuto in diretta ciò che l'appennino diventa durante queste manifestazioni di sfogo del calore.
La visuale si è abbassata di tantissimo, era difficile perfino vedersi uno con l'altro ma continuamo lo stesso la nostra passeggiata osservando le rocce e in men che non si dica siamo al punto trigonometrico. Con la stessa emozione di sempre apro il cofanetto per prendere il libro di vetta e poggiandomi su un sasso inizio a descrivere la nostra giornata e dopo 3 pagine lascio la mia firma e quella dei nostri amici. Riposto tutto nel cofanetto odiamo un tuono ed è quello il segnale che ci fa capire che forse la montagna non ci desidera e che quindi dobbiamo lasciarla e cominciare il percorso verso il Piano Laceno.
Cosi di nuovo per le creste e verso Filicecchio dove con nostra sorpresa voltandoci alla vetta notiamo che il cielo ormai era pulito e sgombro da qualsiasi nube, un segno inequivocabile che a comandare è la natura e l'uomo non può far altro ceh rispettarla, viverla e rassegnarsi ai tempi che essa detta.

lunedì 14 luglio 2008

Campolaspierto-Terminio-Rifugio degli Uccelli-Verteglia-Candraloni

I Picentini sono ancora una volta meta delle nostre escursioni e delle nostre giornate fotografiche. Quella di Domenica è stata più di un'escursione, una vera e propria "traversata" del Monte Terminio, dei suoi sentieri e dei suoi pianori alla ricerca di "sguardi" nuovi e di particolarità da scoprire. La giornata parte all'alba e alle 5.50 siamo già in auto verso Serino dal quale poi raggiungeremo con facilità il Piano d'Ischia e la località Campolaspierto. Da Campolaspierto parte la nostra avventura e sono sono le 7.30, c'è tempo per divertirsi e conoscere meglio questa montagna osservata tante volte da altri monti ma scalata solo l'estate scorsa e ormai abbastanza lontana dai nostri ricordi "confusi" dalle altre esperienze montane. Da Campolaspierto la strada è segnalata molto bene sia dal CAI che dalla Comunità Montana e attraversando un grande pianoro e tre faggi modellati dai venti entriamo subito nel bosco per affrontare una strada carraia sconnessa che si inerpica fino all'Acqua del Cerchio, una sorgente intermittente dove non è difficile osservare gli animali dissetarsi. La giornata non era delle migliori, il cielo era coperto e sembrava dovesse venire a piovere da un momento all'altro ma ovviamente abbiamo proseguito nella continua speranza che il sole pian piano si affacciasse e facesse capolino dal retro della vetta. All'acqua del cerchio si nota affascinante e "solitaria" la croce su uno degli speroni del Terminio e opposto alla croce invece il sentiero iniza a prendere una piega letteralmente più "escursionistica" attraversando un bosco di faggi in pendenza tra rocce, terra e polvere. La scalata non è difficoltosa ma si fa attenzione ad appoggiare bene i piedi sulle rocce dato che alcune erano state spostate (dall'uomo sicuramente) e oltrepassata la faggeta ci troviamo al Valico di Collelungo dove il vento spadroneggiava e noi ci fermiamo per consumare un panino e bere un sorso d'acqua. Da Collelungo di nuovo per i boschi e questa volta il sentiero inzia a diventare molto stretto e gli alberi si piegano su di esso creando una sorta di galleria naturale vegetale attraversabile stando chini e facendo attenzione alla testa. Il bosco nei pressi della cima è un luogo "mistico" e "spettrale" con centinaia di faggi "chini", "genuflessi" in eguale maniera, probabilmente piegati sotto il peso delle abbondanti nevicate invernali degli anni passati. Sembravano tanti uomini in preghiera, in penitenza, in attesa di un miracolo per rivivere e questo miracolo per loro si avvera in estate.
Finalmente raggiungiamo la vetta e nonostante le nuvole fossero tante la visibilità era perfetta, il mare era dietro l'angolo e spiccavano molto vistosi i Monti Mai, Pizzo San Michele, il Lieggio, il Partenio e in lontananza il Vesuvio. Gli abeti dalle pareti rocciose erano di un verde scuro primaverile, la natura era ancora vivissima e non secca come era prevedibile pensare, ma il tutto regnava ancora incontrastato come se il sole avesse solamente accarezzato quella vetta delegando il suo calore alle sole pianure. Ovviamente la temperatura è piacevolissima, un vento abbastanza forte ci accompagna e a quello spettacolo non possiamo far altro che sederci su alcune rocce e aspettare un po che la natura ci parlasse e ci consigliasse il da fare. Riposatici quindi per un po riprendiamo il cammino per tutto il versante e ci avviciniamo alla Croce dall'altra parte del costone per arrampicarci e "spiccare il volo" sul panorama sottostante. Riesco a scorgere Bagnoli Irpino e le montagne del Laceno ed è sempre emozionante vederle cosi vicino e pensare tutti giorni trascorsi nei loro boschi.
Ma la giornata almeno all'apparenza non sembra promettere nulla di buono e cosi zaino in spalle partiamo per raggiungere di nuovo il sentiero, ripassiamo per i "Faggi chini" e dopo circa 30 minuti siamo di nuovo a Collelungo. Al Valico le nuvole inziavano a diradarsi, il sole prendeva spazio e cosi invece di scendere per l'Acqua del Cerchio ci dirigiamo in direzione opposta per raggiungere il Rifugio degli Uccelli. Un sentiero molto ripido da percorrere in discesa, molto franoso e a dir il vero un po maltrattato dai lavori per la messa in sicurezza dello stesso. Ma non ci facciamo molto caso e continuiamo il nostro percorso decisi più che mai ad esplorare posti nuovi e cosi finalmente dopo un'altra mezz'ora ci troviamo in una piccola pianura immersa nei faggi. Un posto da favole, faggi grigi dalle forme slanciate e dalle chiome luminose, radici dalle forme più strane e simbiosi naturali da sogno. La mia attenzione si posa subito su due faggi uniti alla radice in una sola pianta e nella loro congiuntura una sorta di conca con l'acqua piovana...un vero paradiso. Siamo arrivati finalmetne al Rifugio degli Uccelli dove posiamo di nuovo le attrezzature e godiamo dello spettacolo di questa faggeta unica e dal valico di Collelungo dal basso. Passeremo molto tempo li, tra foto e chicchiere e solo dopo esserci rilassati abbastanza riprendiamo via per un altro sentiero che ci condurrà dopo circa 35 minuti di nuovo a Campolaspierto. Il sole ora è forte e fa caldo e cosi ci rechiamo dietro ai ristoranti per la visita,al fresco dei boschi , al Faggio Monumentale. Una pianta eccezionale, 25 metri di altezza e 6,2 di diametro, uno dei pochi alberi monumentali d'Italia, un patrimonio vegetale da tutelare e da valorizzare. Si rimane affascinati ad osservare quel faggio composto da dieci o dodici altri faggi nati insieme e fusi durante gli anni, durante i secoli... ogni ramo sembra un altro albero, davvero una visita necessaria per chi si ferma a Campolaspierto.
Dal Faggio ci spostiamo stavolta in auto verso il Piano d'Ischia e dal Piano d'Ischia al Piano di Verteglia dove prendendo una deviaizone e passando per il laghetto fermiamo l'auto nei pressi del Ristorante "La Bussola" e proseguiamo a piedi per un altro sentiero. Non si camminerà per molto tempo, un sentiero di circa un chilometro e mezzo costeggiando un fiumiciattolo e arrivando allo spettacolare inghiottitoio-grotta di Candraloni, dove l'acqua entra al suo interno e sbuca solo verso Montella al Varo dell'Orso della Scorzella.
Da Candraloni poi altra passeggiata al rifugio omonimo e altra sosta per gustare la natura che ci circondava prima delle definitva ritirata alle 17.00. Una giornata piena ed entusiasmante.

lunedì 7 luglio 2008

Il ritorno alla Tannera... e il fallimento del Magnone

Quando una giornata non inzia con il piede giusto un escursionista dovrebbe capire che non è il suo giorno e decidere per una semplice giornata fotografica e quando anch'essa non è "concepibile" materialmente, dovrebbe ritirarsi e preparare la prossima meta. Ieri l'obiettivo della spedizione era il Monte Magnone o Piscacca di Laceno e successiva scalata al Montagnone di Nusco passando per i pianori carsici della vallescura di sopra e fotografare l'altopiano Laceno da una visuale nuova e sopratutto dare uno sguardo dal belvedere verso la verde Irpinia. La partenza è come sempre di buon ora ma le aspettative si spegnevano già durante il tragitto quando il sottoscritto si è sentito male in auto e ci siamo dovuti fermare a Bagnoli Irpino per farmi rinvenire. Partiti e inziata la salita per il Laceno le sensazioni sembravano migliorare il Magnone era li ad uno sguardo e la voglia di scalarlo tanta. Arrivati cosi al Valico del Colle Molella giriamo per la strada asfaltata sulla sinistra per cercare l'imbocco del sentiero (numero 1 del Comune di Bagnoli e numero 12 del CAI). Aiutandoci con le carte IGM troviamo la mulattiera che ci condurrà a destinazione, ma io mi sento di nuovo male e cosi andiamo a prendere qualcosa al bar per rimettermi in sesto. Dopo un cornetto alla crema la situazione si riprende, partiamo allora di nuovo verso la mulattiera, posiamo l'auto e iniziamo il sentiero immerso in campi dediti alla pastorizia. L'inizio è già poco promettente, segnalazioni inesistenti sia della carta dei sentieri sia del CAI e cosi andiamo a cartina e proseguiamo. Primo inconveniente è il letterale assalto delle mosche cavalline e bufaline che non ci lasciano respirare un secondo, poi una mandria di centinaia di mucche solleva polvere e terra e ci impedisce il passaggio per una mezz'ora finchè non decido di tagliare per la montagna e raggiungere la mulattiera. Il sole picchiava duro, il sudore scendeva dalla fronte e le mosche tornavano ad attaccare, ma proprio mentre le mosche si dileguavano da una collinetta saltano e corrono verso di noi due cani abbianado e mostrando i denti. La cosa saggia è quella di fermarsi e vedere la reazione, i cani si arrestano, proviamo a fare un passo ma ci vengono contro e cosi dopo qualche secondo di tensione a passi lenti ci voltiamo e torniamo indietro alla partenza, nonostante i cani alle spalle ci continuavano a seguire per alcuni metri.
La giornata è pressochè persa, sono le 9.30 e nessun sentiero di vetta per il caldo è al momento percorribile cosi presi dalla voglia di non gettare tutto al vento prendiamo via per il Colle del Leone per affrontare la Fiumara di Tannera al fresco dei verdi Faggi. Al Colle del Leone però troviamo una montagna "cittadina" con decine di auto parcheggiate tra spiazali e strada di rcercatori di funghi. Giriamo nei dintorni e parcheggiamo l'auto nei pressi dell'imbocco del sentiero del Cervialto. Al Colle del Leone prendiamo per la sbarra più bassa a sinistra e per i primi tornanti imbocchiamo il sentiero segnalato 114 del CAI che dalle cartine è dato 14 B. Lo seguiamo per la faggeta fino all'apertura di una radura, il Prato del Leone e passata la collinetta di felci prendiamo per una deviazione su mulattiera che dopo alcuni minuti ci condurrà ad un bivio. A questo bivio si trova un cartello della Comunità Montana indicante "Piano del Cupone " su una freccia verso sinistra e due simboli del CAI che indicano il sentiero 14b e l'incrocio per il 19 ossia "Piano Tizzano- Fiumara di Tannera". Prima di proseguire per il 14 B verso la fontana di Don Giovanni però, prendiamo un po il 19 passando per il Cupone e immettendoci in un bosco (chi non sa la strada non la trova perchè non è segnalata) che ci porterà davanti all'inghiottitoio di Strazzatrippa (Grotta di Strazzatrippa) a 1100 m dal livello del mare. Una sosta davanti al grave, uno sguardo alla cartina e l'inutile tentativo di trovare segnalazioni per il Tizzano assolutamente inesistenti. Torniamo indietro per il Cupone e sentiamo alcuni campanacci, pensiamo subito ad altre mucche ma da dietro la boscaglia spuntano 5 cavalli , grandi, alti, stupendi che impauriti fuggono sbattendo gli zoccoli su quel terreno carsico e facendo rimbobare il rumore per la vallata. Superati i cavalli e ripresa la strada per il sentiero 14 B dopo diverso tempo raggiungiamo la fontana intermittente di Don Giovanni dove salendo la collinetta di fronte giungiamo al valico che ci condurrà verso la Fiumara di Tannera. Al valico incontriamo due escursionisti e dopo alcune chiacchiere scendiamo per il sentiero che si restringe e scende a forte pendenza nel bosco. Durante la discesa su una roccia è ben visibile la deviazione per il 14 A che conduce alla Fiumara (il14 B prosegue alla sorgente). Il sentiero è al dir poco trattato male, legna abbattuta, alberi buttati giù e parti di sentiero interrotte, ma con un po di peripezie giungiamo finalmente alla Fiumara. Purtroppo rimaniamo scontenti, un escavatore dall'altro lato del fiume, un ammasso di detriti , il letto del torrente scavato, tronchi ovunque e sentiero del CAI difficilmente interpetrabile per questi cambi. Nonostante tutto però scattiamo qualche foto, metto le mani nell'acqua fredda e pulita della Tannera e osserviamo lo spettacolo naturale delle cascatelle che in ogni caso l'acqua ci regala. Camminando per qualche metro e superando alcuni tratti impegnati giungiamo anche alla sorgente del Cantariello. Uno spettacolo di una sorgente che si tuffa in una vasca naturale erosa dall'acqua nel tempo e che casca tra due pareti rocciose spettacolari sulle quali l'acqua rifletteva la luce del sole. Peccato ancora che anche li l'uomo si veda e la pulizia del tratto è praticamente insesitente per un turismo che vorrebbe decollare da questi sentieri. Speriamo tanto che finalmente qualcuno dall'Altopiano prenda la situazione in mano e decida di valorizzare le potenzialità enormi che potrebbero essere sfruttate e non chiudersi a riccio per evitare contatti con l'esterno perchè il tutto farebbe solo sprofondare nell'indifferenza totale una località che avrebbe potuto prendere il volo.
Ma tralasciato l'inciso polemico, ritorniamo alla Tannera che da tanto tempo sognata e tentata una volta senza riuscita con l'amico Federico questa volta ci lascia delusi non tanto per il posto ma per la sua cura. Consumiamo in pace alloar un panino su una roccia, ci ricompattiamo e prendiamo per l'impervia salita fino al ritorno al Colle del Leone e riposiamo per oltre 4 ore al Piano Laceno nell'attesa di alcuni cari amici.