lunedì 26 gennaio 2009

Il Walzer della nevicata

All'alba della Domenica il rumore della pioggia nelle pianure lasciava intuire che "dietro i cari monti" la neve stava cadendo placida e compatta e che di li a poco il passo compatto delle ciaspole sarebbe stata la colonna sonora per eccellenza lungo i sentieri piacevoli dei monti Picentini. Dal retro delle colline la situazione non era delineata, si pensava a nevicate a bassa quota, già assaporavo il gusto di una valle del Calore innevata ed invece da Atripalda a Bagnoli lo scenario era tristemente umido e "caldo". Il Piscacca marrone, le montagne intorno incappucciate alle estremità e l'arrivo al laceno con neve mista a pioggia, la quale diventava sempre superiore alla "dama bianca". Delusione iniziale all'osservare la distesa d'acqua sorvolata dalle nebbie, come uno spettrale e surreale "gioco autunnale", dominato dal silenzio della natura e spezzato di tanto in tanto dal volo di qualche corvo. Il Cervialto sommerso dalle nubi e il Cervarolo leggermente scoperto che tralasciava sulle sue "gobbe" un filo di neve appena visibile. Verso il Colle del Leone però sembrava entrare in un'altra dimensione, il piano l'acernese leggermente imbiancato e la strada resa scivolosa da neve granulare, finchè al parcheggio ancora una volta la pioggia spezza gli entusiasmi. L'acqua cadeva con disperazione dalle chiome spoglie degli alberi e delle gocce pesanti e "lunghe" "trafiggevano" vestiti e zaino; era giunta l'ora di indossare mantellina e cappuccio e prendere con decisione la strada della "salita", convinti e speranzosi di incontrare i fiocchi tanto desiderati. All'imbocco della carraia la neve cominciava a "piangere", stravolta dall'insolita temperatura e da quell'imprevedibile risveglio della stagione precedente che ormai dura da oltre tre mesi. I faggi seppur abituati , seppur abitanti di un mondo che li appartiene, apparivano esausti e "depressi", vittime anche loro delle stranezze e delle bizzarrie di un tempo "ingannevole". Intanto la pioggia aumentava d'intensità, la colonna proseguiva mogia evitando le pozzanghere e sporcandosi di fango, finchè ad un tratto il passaggio repentino alla prima nevicata. L'emozione del ballo della neve ancor una volta riscalda il cuore, i "cristalli" solitari ma nello stesso tempo "compagni" di avventura che cadono placidissimi e lenti sulle nostre "persone", quel "disgregarsi" sui giubbini e quel posarsi sulle piante, sulle rocce e sulla terra. La neve si conciliava con lo spirito della compagnia e più cresceva e aumentava più l'essenza dell'escursione prendeva senso e vita. Alla prima deviazione la danza del tempo diviene prepotente e le precipitazioni bianche cominciano ad attecchire ovunque, si vedono fiocchi grandi e per alcuni istanti pare di vedere una "muraglia" di puntini bianchi, quasi uniti, cadere verso il basso. In alto il cielo prendeva quella sua sembianza lattiginosa, il colore esatto dell'inverno che si impossessa della sua natura e nello stesso istante la vegetazione diveniva "grigia", trasformata dalle basse temperature e dal ghiaccio che ne modellava ogni singola foglia. Il libeccio fresco aveva "costruito" forme meravigliose e ricamato trame mozzafiato con "fili di legno" e "aghi di ghiaccio", un tessuto uniforme e vario che accompagna il ciaspolatore all'interno di gallerie alberate che si piegano al nostro passaggio.
Prima di Filicecchio il manto nevoso superava già i 40 cm e pia piano cresceva, mentre la neve cessando lasciava spazio ad un altro tipo di precipitazione, granulosa, piccola e ghiacciata; la nebbia congelava e precipitava rimbalzando sulle nostre attrezzature. La "musica" cambia e con lei i "passi" della neve, agile danzatrice sulle "piste" dell'appennino. Intanto la "faggeta grande" immobile al passaggio sembrava rispettosa di un gruppo unito ed entusiasmato dal suo "padrone" che li stava ospitando e cosi, dopo altri passi più pesanti raggiungiamo lo scoperto affacciandoci allo "scivolo" delle creste. Di nuovo la neve prende la sua forma originale, forse ancor più fitta e armoniosa. L'estremità delle "coste" era invisibile eppure ci avventuriamo lungo quel crinale pendente e faticoso, le ciaspole fanno ottima presa sui versanti ghiacciatissimi e insidiosi mentre attorno tutto si colorava di bianco e la "cara dama" a questa quota cominciava a non distinguere più i monti dalle persone, impossessandosene con il suo candore.
La vetta della prima escursione importante, la vetta dei miei record è ancora una volta conquistata. Ma il tempo inclemente e la nebbia fitta ancora una volta ci costringono a far presto ritorno, facendoci accontentare con le ultime nevicate fin verso i 1400 metri, dove purtroppo la pioggia riprendeva il possesso delle "cose" e ci conduceva soddisfatti ma malinconici al punto di partenza.
Avventura di nuovo diversa, singolare, affascinante, accattivante e piena di momenti di gioia con 16 ciaspolatori del CAI di Salerno, una compagnia divertente, affiatata e armoniosa che nel finale vogliosa ancora di montagna si è rilassata al Laceno, al caldo di un caminetto e alla tranquillità di un tavolo e di una chiacchierata.

lunedì 12 gennaio 2009

Nel bianco dipinto di bianco...

Il viaggio soleggiato fin verso Acerno era di buon auspicio per una veduta panoramica a trecentossessanta gradi dalla vetta dei Picentini, eppure dalle Croci i "buoni propositi" si dissolvevano inghiottiti dalle nuvole basse che si attanagliavano nella valle del Calore. L'autunno si era impossessato di Montella e Bagnoli, gli alberi spogli erano come dei manichini tetri sui bordi delle strade, disegnati perfettamente sul contorno grigio e "terrificanti" al punto giusto come indicazioni di un "presagio" futuro. L'Accellica regina delle nebbie pareva aver ceduto lo scettro ed infatti il ninno ben visibile in precedenza ci aveva tratti in inganno. Il paese "colorato" solo ogni tanto da qualche chiazza bianca di neve "sopravvissuta" al "massacro" delle piogge e il viaggio "mogio" verso il convento di San Francesco a Folloni dove era fissato l'appuntamento con un gruppo di amici (Ass. Lerka Minerka). La prima volta insieme e come fosse una sorta di obbligo sul "caro" Monte Cervialto. Ogni tanto qualche goccia di pioggia bagnava il vetro e la colonna sonora per eccellenza era quella del tergicristallo che agiva ad intermittenza.
Giunti in orario tutti i membri, la partenza è repentina verso l'altopiano del Laceno dove la nebbia presente a banchi non permetteva una visuale verso il basso e neanche verso i Monti lasciando tutto ad una sorta di "lancio della monetina" in attesa dell'imbocco del sentiero. Proviamo a raggiungere il Campeggio Zauli ma ci sembra quasi una follia conclamata quella di salire per il Valico di Giamberardino cosi che presi da coscienza (almeno in questo caso) puntiamo al solito sentiero lasciando le auto tra i soliti faggi. La neve era presente a chiazze, le foglie bagnate erano padrone della mulattiera e intanto il cielo sembrava aprirsi lentamente. Man mano che si saliva infatti il cielo tendeva a divenire limpido e mentre il manto nevoso aumentava le nuvole si diradavano fino all'arrivo sulla "torretta". Dal nostro avamposto preferito la situazione appariva chiara e delineata, constatando una serie di nuvole cumuliformi molto basse che aleggiavano tra il Laceno e la valle , lasciando libero il paesaggio dai 1300 metri in su. Scenario che si uniformava anche sulla vetta del Raiamagra pensando ai poveri sciatori sicuramente impacciati ai bivi e agli imbocchi di altre piste per la scarsa visibilità. La sosta è di breve durata, la neve ci attirava e non poco, e all'improvviso passiamo a camminare su un vero e proprio "dosso naturale", bianco e ghiacciato. Il manto a Filicecchio raggiungeva già abbondantemente i 40 cm e pareva crescere a vista d'occhio con la salita. Il Polveracchio , dal piccolo tornante scoperto, non sembrava cosi innevato, mentre il Boschetiello (forse perchè più spoglio) dava l'impressione di esser sommerso nonostante la sua scarsa altitudine. Nel versante esposto a Sud Ovest del Cervialto in questo momento la neve tocca i 50 cm ed è una situazione molto strana e affascinante, abituati in questa zona a camminare sulle rocce anche in pieno Inverno.
Ma il desiderio della vetta accresce e nello stesso tempo anche la fatica, i passi sono davvero pesanti, si cerca di risparmiare energie tagliando tra i boschi e "accorciando" il sentiero anche se arrivati a quota 1600 scopriamo nuovi ostacoli e nuove emozioni. Il bosco cominciava a restringersi e la serie di arbusti e faggi giovani non erano più "retti" sui loro fusti ma piegati al suolo. Ostruivano la mulattiera come una serie di rovi, immersi nella neve, alcuni addirittura abbattuti dal peso. Cerchiamo di aggirare rami e tronchi, a volte siamo costretti a salirci sopra e a saltarli finchè superato il tratto critico raggiungiamo la "faggeta grande", li dove la neve era presente ancora sulle altissime chiome e regalava uno scenario suggestivo, quasi come la mattina dell'Epifania al Lago. Prendiamo per l'ennesima volta una scorciatoia data dall'esperienza della quattordicesima salita su questo versante e con passi ancor più duri e corti raggiungiamo la staccionata delle creste. Le rocce sono scomparse, le "ringhiere" appena visibili, 70 cm sotto i nostri piedi e un tappeto candido fin sulla vetta che scendeva con un fiume di "panna" dallo scollinamento superiore. Il cielo ancora azzurro e limpido, la giornata perfetta! L'entusiasmo è fortissimo, subito apriamo un varco sul versante Ovest del Cervialto cercando di mantenere una traiettoria uniforme e uguale per tutti i membri, il vento iniziava a spirare più "freddo" e la neve aumentava , tanto che ad un tratto la mia piccozza scompare sotto il manto ed è recuperabile solo grazie all'attacco sul polso. Intanto voltandosi capivamo che qualcosa stava per cambiare. Le nuvole cominciavano ad alzarsi dal Migliato, l'Eremita Marzano si dissolveva rapidamente e noi rimaniamo avvolti dalle nubi. Siamo ancora a tre quarti dalla vetta e la situazione si complica. Il vento diviene fortissimo, la nebbia fitta all'inverosimile ma l'obiettivo è la vetta e la ritirata è impossibile. Allora proseguiamo in fila indiana a qualche metro di distanza per darci segnali vocali e restare uniti, mentre io e l'amico "Zio Bacco" decidiamo di accostarci al versante alberato per evitare i "baratri" del costone est. A quota 1700 i membri della spedizione scomparivano dal campo visivo di ognuno di noi, cominciamo a salire più uniti ma il vento ci spinge uno contro l'altro e il rischio è quello di fare un "volo" comune. Determinazione e coraggio ci portano a scalare più decisi e più rapidi verso il primo "scollinamento" dove iniziamo a trovare alberi congelatissimi ricoperti da oltre 40 cm di ghiaccio. La neve intanto sotto i piedi cominciava a superare il metro e le nostre ghette proteggevano le gambe solo fino al ginocchio, mentre ogni tanto si scendeva anche più sotto. La salita più entusiasmante e più (fatemi passare il termine) "alpinistica" effettuata sin ora, uno scenario Himalayano con folate fortissime, ghiaccio, neve e nebbie da terrore. Molti forse avrebbero gettato la spugna eppure grazie all'esperienza e la conoscenza della montagna in questione raggiungiamo la capannina della vetta. Un'arrivo improvviso, dove la cima sbuca dalla nebbia nonostante tutti erano convinti di trovarsi ancora più sotto, magari ad un centinaio di metri dalla meta. Gioia e tripudio, un urlo di liberazione mi esce spontaneo e per un attimo tolgo il cappello ed alzo la piccozza al cielo come segno di "vittoria". La stazione meteo è uno spettacolo indescrivibile con centimetri di ghiaccio scolpiti dal vento, frastagliati e disegnati alla perfezione con oltre un metro e mezzo di neve sui bordi delle antenne e delle pareti della "capannina". La conca è invisibile e nel frattempo comincia una bufera di piccoli pezzettini di ghiaccio mentre la nebbia comincia ad attecchire sugli abiti e sui guanti congelandosi e facendoci ricoprire di bianco. Un'emozione indescrivibile mi coglie nel vedermi "trasformare" pian piano come gli alberi e le strutture presenti al gelo in quei giorni.
Prendiamo un po di fiato, ci copriamo ancora meglio e puntiamo di nuovo verso il basso dopo aver sostato solo cinque sei minuti in quel punto "fantastico". La montagna non ci ha respinti ma ci ha fatto capire che era l'ora di tornare a casa e lungo la discesa , arrivati fin giù alle creste il tempo tornava a graziarci facendoci di nuovo osservare il blu elettrico del cielo e le nebbie nelle valli che in serata ci avrebbero accompagnato fino ad Acerno nel viaggio di ritorno.

martedì 6 gennaio 2009

Laceno da -12°

Erano anni che ormai i tentativi si susseguivano, alla ricerca di quel momento cruciale, li dove il gelo arriva al culmine, il calore si disperde nell'azzurro cielo e le nebbie cullano la valle facendola piombare nelle "grigie" tenebre dell'inverno. Le "tenebre" buone, le "tenebre" che incutono timore e riverenza ma nello stesso tempo la gioia di vivere la vita della natura in uno dei suoi momenti più particolari e affascinanti che possano esistere. Le croci di Acerno già bianche e galavernate, preludio di quel che avevo già "pianificato", mi conducevano rapidamente lungo le strade delle valli Irpine che portano nel "cuore" pulsante della "passione". La mattina iniziava a prendere il sopravvento e già si notava tra i castagneti candidi il "bussare" del sole. Dal basso pian piano riesco a notare le vette del Laceno che con sforzo e fatica continuavano a proteggere l'altopiano dai "princìpi del caldo" mantenendolo freddo e compatto per il nostro arrivo. Dalle curve spicca Nusco sul suo eremo, Montella al risveglio, la valle in piena inversione termica e d'un tratto Bagnoli con i suoi camini che "fumavano" uniformemente verso l'alto "graziati" dal vento. Sono le 8.00 e al paese ci sono circa -3°, alla Torre aspettiamo l'amico Michele e poi senza perder tempo circumvallando il centro storico raggiungiamo il campo sportivo e cominciamo la salita per il Lago. Lungo la carreggiata il freddo diminuiva come era logico, la valle si allontanava e il cuscinetto creato in questi giorni non arrivava fino in quota ma ristagnava nelle conche e nelle piane. Dal Belvedere grande Bagnoli sembra un piccolo presepe e il tappeto creato dai tetti dello "stesso colore" vengono interrotti solo dal campanile di San Domenico e dall'imponenza della Chiesa Madre.
Intanto superato l'ultimo tornante e scongiurati i pericoli del ghiaccio arriviamo nei pressi della fontana, la temperatura è ancora di -3° ma al passaggio sotto gli splendidi alberi galavernati del Colle Molella si passa immediatamente al gelo toccando i -7°. L'altopiano nella notte aveva "incamerato" tutto il freddo possibile facendo perdere nell'aria il suo calore e trasformando ogni cosa presente su di esso. Il sole faceva capolino verso la piana ma dal valico le nebbie che si levavano facevano scomparire il panorama sottostante. Fermiamo l'auto per osservare meglio le "prodezze" della natura e ci sembra di esser su una cima tra le nuvole, affacciati ad una finestra immensa creata da due alberi e dalle loro chiome. Per un attimo vedendo quegli alberi mi è sembrato di veder tutto fiorito. La neve si "arricciava" e si "arrotolava" su ogni singolo singolo ramo creando dei "petali" ovattati e dei "fiori" di cotone e alle nostre spalle l'azzurro elettrico del cielo ci invitava a raggiungere la valle per ricevere le nuove sorprese. Cosi giù da quell'avamposto ci "immergiamo" nel "nuovo mondo", lasciando le "terre alte e soleggiate" per "nuotare" nella laguna di nebbia. La ghiacciaia Laceno prende il sopravvento, dai -7° piombiamo a -12° in un secondo, la visibilità è bassa, il viale alberato avvolto dalla foschia, tutto taceva. Alcune inferriate ed un cancello erano letteralmente pietrificati, la gelata sui ferri e sui rami qui al piano assumeva altre sembianze e tutto appariva come coperto da schiuma. L'asfalto rigido e scorrevole si percepiva nell'auto e il lago sulla nostra destra come "disperso" sembrava essersi trasferito altrove. Sbuchiamo sotto le pendici del Cervarolo e del Cervialto dove il giorno era arrivato e lasciamo il tunnel "oscuro". Il Raiamagra regnava placido nella sua forma dormiente, completamente rivestito da un manto ornato di neve bianca e ghiaccio azzurrino, la Montagna Grande più esposta al sole invece cominciava a scrollarsi alcuni colori e appariva candida tesa verso le nebbie che ancora "abitavano" sull'intero altopiano e soprattuto sulla superficie "inesistente" del Lago. Alla Cappella di Santa Nesta sostiamo per raggiungere dei salici congelati, i loro rami sembravano fuochi d'artificio a cascata esplosi nel firmamento limpido e sereno, silenziosi, affascinanti e animati soltanto da una inspiegabile emozione percepibile a vista.
Verso le 9.00 le foschie si diradano, l'acqua del lago compare , brilla e luccica come comparsa da un gioco di prestigio di un "mago eterno". Immensa distesa di cristallo resa ancor più evidente dal candore della pianura che contornava ogni ansa e ogni riva dal ponte alla statua del crocefisso posta all'inizio del Laceno. In riva le piante scrollavano dalle chiome gli aghi del gelo e una "nevicata" a ciel sereno toccava le nostre teste e si posava placida sulle "coste" del lago, tanto che all'improvviso dal suo "specchio" si ergevano come soldatini di piombo tantissime "figure bianche" che "marciavano" verso la sicura fine contro il "nemico" sole che pian piano li sconfiggeva sciogliendoli definitivamente. L'ostello abbandonato trasformato in un soggetto intonato al contesto rappresentava uno spunto visivo particolare e il Cervialto osservato frontalmente ci "guardava" perplesso come "arroventato" dal riflesso della luce sulla neve e sul lago ghiacciato.
Il freddo per tutta la mattinata seppur intenso non aveva attecchito sulle nostre ossa e ci aveva permesso di camminare tranquillamente in quel comprensorio "rinnovato", quasi a capire le nostre sensazioni e a rendersi partecipe della nostra avventura, consapevole ancora una volta della nostra presenza e del nostro "amore" nei confronti di quel posto che l'ospitava. Gli ultimi sguardi intrisi di ricordi giovani e "antichi" si allontanavano dall'altopiano dirigendosi verso Bagnoli Irpino, lasciando al tempo e alle stagioni quello scenario commovente e intrigante che regna per un attimo per poi scomparire nell'attesa di un ritorno impossibile da prevedere.

domenica 4 gennaio 2009

La Campania Alpina: Monte Cervati innevato 31-12-2008

Il gelido Vallo di Diano con i suoi -2° già a Sala Consilina faceva capire che la giornata non sarebbe stata la solita scampagnata sulle vette dei monti Picentini. Il Cervati progettato nel caldo Giugno e scalato per la prima volta il 29 dello stesso mese con tutte le premure del caso e le attenzioni dell'esordio piano piano stava diventando terra di conquiste e di imprese. Il verde bosco dell'estate accompagnato dalla chioma rossa e arancio del meraviglioso autunno che ora lascia il posto al candido bianco della neve e del ghiaccio.
Già da Sassano la forma della Chiaia Amara evidenziava la coltre nevosa alta e compatta e i brividi salivano lungo la schiena osservando quel crinale impervio che nella mente rievoca scenari alpini e incontaminati. La salita per Monte San Giacomo si tinge di emozioni contrastanti che vanno dalla fermezza e decisione all'entusiasmo incontenibile e ogni qual volta la Chiaia spuntava a dare il benvenuto il bambino che era in noi dava segni di vita. Il Motola imbiancato leggermente solo all'estremità e i suoi abeti bianchi che tendevano la mano alla vallata sottostante, gelida, ghiacciata, tetra. Il termometro scende subito dai -2° ai -4°, raggiunge i -5° e prima della deviazione verso i Vallicelli tocca i -6° facendoci assaporare un'inversione termica d'altri tempi. Intanto la strada cominciava ad imbiancarsi, la neve inziava a presentarsi sull'asfalto e sui crinali, dapprima leggera e sottile, poi sembra più ghiacciata e compatta fino all'arrivo ai Vallicelli dove posiamo l'auto. Incredibile ed avvincente il manto nevoso che crescendo lungo la strada ci permette di arrivare al "posteggio" al limite, proprio all'imbocco del sentiero.
Da cornice al freddo un rivolo, formato dalle piogge e dallo scioglimento lento delle nevi, inesistente in autunno e la sensazione di star per entrare in u sentiero trasformato e rigenerato da questa stagione "nuova" e dinamica. Cosi, al "Vallone dell'Acqua che suona" finalmente sentiamo e vediamo l'acqua cadere giù dalle rocce e fare salti con piccole cascatelle lungo la dorsale al ridosso delle falesie, ascoltiamo interessati e affascinati la musica composta dal fiumiciattolo sulle "corde" dei fusti inclinati e rimaniamo incantati da un ramo completamente ghiacciato steso sul letto del ruscello a prendere la forma che Madre Natura gli stava "creando".
La strada saliva, senza le difficoltà estive e autunnali del fango, anzi a dir la verità molto più spedita e semplice grazie ai "gradini" formati dalla neve ghiacciata che supportavano i nostri passi evitando cadute e scivolate. La rapidità di questo primo tratto fa si che sbuchiamo in un attimo alla Fontana degli Zingari, attraversando prima un guado apertosi nel ventre della salita e poi un altro per raggiungere i pianoro. La neve iniziava a raggiungere un'altezza consistente e cosi posiamo lo zaino per terra e stacchiamo le "ciaspole" dagli imbraghi per utilizzarli sul soffice manto. I passi ora risultavano di gran lunga più leggeri e lunghi, la vista del canalone del Cervati imponeva rapidità solo a guardarla e cosi con velocità e decisione ci "tuffiamo" nelle nevi del Bosco Temponi. Faggete spoglie, alberi galavernati alle estremità, nuvole di condensa e qualche fiocchetto ogni tanto sulle noste teste, cespugli completamente sommersi dalla "Dama", piccole impronte e una lunga mulattiera bianca che tra sali e scendi conduce nel cuore della fitta vegetazione. Il Rifugio Cervati non è ancora lontano ma la neve cresce ancor di più, i passi nonostante le racchette sono più macchinosi e di tanto in tanto ci fermiamo per apprezzare meglio l'essenza dell'inverno. Notiamo dal basso tra le fronde alcuni versanti della Chiaia Amara finchè colpiti da un raggio di sole sbuchiamo allo scoperto e dinanzi a noi si presenta un "Pandoro" candido e compatto, indicatoci dal solito albero solitario colpito da un fulmine estivo. Riusciamo a fatica ad abbandonare quella postazione magnifica e mentre dietro di noi i nostri passi sembravano fuggire nel bosco appena lasciato, quasi impressionati dalla fatica che ci aspettava, proseguiamo nella direzione del rifugio con lo sguardo sempre rivolto verso l'alto a notare mal appena la transenna del sentiero dei pellegrini che faceva capolino dalla coltre nevosa. Al Rifugio le stalattiti di ghiaccio che scendevano dal tetto rendevano la struttura armoniosa con il contesto, i tavolini completamente sommersi e la pertinenza impregnata di fumo, segno evidente del passaggio di qualcuno precedentemente, molto probabimlmente uno sci-escursionista date le tracce fin davanti alla porta. In tutto quel bianco e quel ghiaccio il caldo era fortissimo, le nostre guance e il nostro volto rosso, il sudore scendeva tra i vestiti ma era una sensazione scomoda perchè la temperatura in realtà bassa era pronta a tenderci brutti scherzi. Decisione saggia e decisa di continuare per il pianoro e proseguire verso la Chiaia Amara nel fitto del bosco. Passi pesanti, passi corti, le racchette invisibili sotto la neve, le ghette impegnate fino all'ultimo centimetro e quell'interminabile pendio reso difficile dall'accumulo importante di questi giorni. La mia piccozza sprofonda per 71 cm, alcuni tratti sono davvero insidiosi e il punto finale, al confine tra il bosco e la "Chiaia" risulta impegnativissmo. Va superato un dosso nevoso, alto e morbido che per le prime volte ci respinge facendoci scivolare verso il basso. I primi tentativi falliscono, una scivolata di Federico è salvata dalla pronta manovra di sicurezza con la piccozza e dopo aver scavato un solco finalmente giungiamo nel tratto scoperto. Il vento qui tirava forte e freddo, quindi posiamo lo zaino e prendiamo giubbini e cappello. Giunta l'ora anche di usare i guanti impermeabili per appoggiarsi al suolo durante eventuale cadute. L'amara roccia sommersa dal bianco sembrava un colosso insormontabile. La transenna del sentiero coperta all'estremo e i primi passi davvero complessi. Il percorso non è dritto, il crinale va attraversato a mezza costa per giungere al Crocillo e le ciaspole tendono a staccarsi e piegarsi durante i passi laterali che "accompagnano" enormi masse di neve verso il basso. Cinquanta metri inziali di prova e stancanti, continuiamo senza ciaspole ma è praticamente impossibile e quindi ritorniamo all'attrezzatura. La piccozza nella mano sinistra, il bastoncino nella destra la nostra forza per raggiungere la meta. Le braccia faticano più delle gambe nel reggersi lungo il pendio scivoloso e tiriamo un sospiro di sollievo quando sotto i nostri passi la neve si compatta a ghiaccio e ci permette di "camminarla" con i ramponcini delle "racchette" senza sprofondare. Di sicuro molti con le nostre attrezzature, senza ramponi avrebbero mollato, ma noi eravamo decisi fino in fondo e ancora una volta dopo aver riposato per qualche istante ci "gettiamo" a capofitto verso quel "muro" che dapprima invalicabile pian piano veniva "spianato" dalla nostra grinta. In alcuni tratti vedevo scendere verso di me alcune "pietre di neve", il sole splendeva sulla Chiaia Amara, le rocce più alte spuntavano mal appena e il blizzard regalava un sentimento di paura e coraggio insieme. Ovviamente è chiaro che in quegli istanti si prova qualcosa di "Immenso" che va oltre ad ogni possibilità di scrittura, difficile da pensare, difficile da capire, difficile da credere ma cosi viva dentro chi l'ha vissuta e continua a viverla con il ricordo. La fatica che si mescola con la voglia di conquista tanto cantata sugli altri monti, il conto alla rovescia con la luce del sole, il pensiero di non tornare a casa senza aver visto la vetta ci portano a raggiungere alle ore 12.00 la fatidica quota di 1840 m al Crocillo. Lo spettacolo è da brividi alpini. Usciamo sull'orlo della conca e sembriamo due formiche in confronto alla maestosità di quel cratere glaciale. La neve in vetta e nella "ghiacciaia" non è tanta come sul sentiero, il sole in cima ha provveduto a ridurre gli accumuli, ma nelle parti esposte a Nord e nelle zone all'ombra si ergevano dune bianche alte e profonde. Da una delle tante cime si avvicina il Sindaco di Sanza con il quale scambiamo qualche parola e decidiamo sul da farsi per raggiungere la quota 1899. Lasciamo la compagnia e tentando a mezza costa camminiamo al di sotto del crinale sud, sprofondando nonostante le racchette e scivolando su tratti ghiacciati, finchè usciti allo scoperto di roccia in roccia e dando uno sguardo al golfo di Policastro , visibilissimo in questa giornata, finalmente tocchiamo il punto trigonometrico. La chiesa della Madonna della Neve si vedeva in lontananza con una leggera spolverata, le tracce della motoslitta nei pianori sembravano ,dalla nostra altezza, le scie dei nostri bastoncini (ma erano molto più grandi). Il vento spirava fortissimo, la temperatura era intorno ai -7°, necessitava un campo base coperto e riparato ma intanto il tempo era passato veloce ed era ormai scoccata la "tredicesima" ora del 31 Dicembre. Scendevano anche le nuvole e cominciava a nevicare. Saggezza e prudenza ci spingono a ripartire rapidamente sui nostri passi, giungere al crocillo e riscendere la Chiaia Amara per fare sosta al Rifugio ed esser più vicini al ritorno. Detto fatto, alle 14 poniamo campo base al Rifugio Cervati, giusto il tempo di bere un sorso d'acqua e gustare (si fa per dire siccome era gelato) un panino per ricaricarci, oltre a "grattare" il ghiaccio sotto il tallone delle racchette. Ormai la giornata volgeva quasi al termine e nel gruppetto nonostante l' "impresa" regnava il silenzio e una sorta di malinconia che ci spinse a riprecorrere il sentiero fino ai Vallicelli in men che non si dica. Raggiunta l'auto la strada era ancora gelata, il rumore dell'acqua continuava a "suonare" e con un ultimo sguardo di "tristezza" lasciammo le gelide valli per le calde pianure del Sele.