lunedì 12 gennaio 2009

Nel bianco dipinto di bianco...

Il viaggio soleggiato fin verso Acerno era di buon auspicio per una veduta panoramica a trecentossessanta gradi dalla vetta dei Picentini, eppure dalle Croci i "buoni propositi" si dissolvevano inghiottiti dalle nuvole basse che si attanagliavano nella valle del Calore. L'autunno si era impossessato di Montella e Bagnoli, gli alberi spogli erano come dei manichini tetri sui bordi delle strade, disegnati perfettamente sul contorno grigio e "terrificanti" al punto giusto come indicazioni di un "presagio" futuro. L'Accellica regina delle nebbie pareva aver ceduto lo scettro ed infatti il ninno ben visibile in precedenza ci aveva tratti in inganno. Il paese "colorato" solo ogni tanto da qualche chiazza bianca di neve "sopravvissuta" al "massacro" delle piogge e il viaggio "mogio" verso il convento di San Francesco a Folloni dove era fissato l'appuntamento con un gruppo di amici (Ass. Lerka Minerka). La prima volta insieme e come fosse una sorta di obbligo sul "caro" Monte Cervialto. Ogni tanto qualche goccia di pioggia bagnava il vetro e la colonna sonora per eccellenza era quella del tergicristallo che agiva ad intermittenza.
Giunti in orario tutti i membri, la partenza è repentina verso l'altopiano del Laceno dove la nebbia presente a banchi non permetteva una visuale verso il basso e neanche verso i Monti lasciando tutto ad una sorta di "lancio della monetina" in attesa dell'imbocco del sentiero. Proviamo a raggiungere il Campeggio Zauli ma ci sembra quasi una follia conclamata quella di salire per il Valico di Giamberardino cosi che presi da coscienza (almeno in questo caso) puntiamo al solito sentiero lasciando le auto tra i soliti faggi. La neve era presente a chiazze, le foglie bagnate erano padrone della mulattiera e intanto il cielo sembrava aprirsi lentamente. Man mano che si saliva infatti il cielo tendeva a divenire limpido e mentre il manto nevoso aumentava le nuvole si diradavano fino all'arrivo sulla "torretta". Dal nostro avamposto preferito la situazione appariva chiara e delineata, constatando una serie di nuvole cumuliformi molto basse che aleggiavano tra il Laceno e la valle , lasciando libero il paesaggio dai 1300 metri in su. Scenario che si uniformava anche sulla vetta del Raiamagra pensando ai poveri sciatori sicuramente impacciati ai bivi e agli imbocchi di altre piste per la scarsa visibilità. La sosta è di breve durata, la neve ci attirava e non poco, e all'improvviso passiamo a camminare su un vero e proprio "dosso naturale", bianco e ghiacciato. Il manto a Filicecchio raggiungeva già abbondantemente i 40 cm e pareva crescere a vista d'occhio con la salita. Il Polveracchio , dal piccolo tornante scoperto, non sembrava cosi innevato, mentre il Boschetiello (forse perchè più spoglio) dava l'impressione di esser sommerso nonostante la sua scarsa altitudine. Nel versante esposto a Sud Ovest del Cervialto in questo momento la neve tocca i 50 cm ed è una situazione molto strana e affascinante, abituati in questa zona a camminare sulle rocce anche in pieno Inverno.
Ma il desiderio della vetta accresce e nello stesso tempo anche la fatica, i passi sono davvero pesanti, si cerca di risparmiare energie tagliando tra i boschi e "accorciando" il sentiero anche se arrivati a quota 1600 scopriamo nuovi ostacoli e nuove emozioni. Il bosco cominciava a restringersi e la serie di arbusti e faggi giovani non erano più "retti" sui loro fusti ma piegati al suolo. Ostruivano la mulattiera come una serie di rovi, immersi nella neve, alcuni addirittura abbattuti dal peso. Cerchiamo di aggirare rami e tronchi, a volte siamo costretti a salirci sopra e a saltarli finchè superato il tratto critico raggiungiamo la "faggeta grande", li dove la neve era presente ancora sulle altissime chiome e regalava uno scenario suggestivo, quasi come la mattina dell'Epifania al Lago. Prendiamo per l'ennesima volta una scorciatoia data dall'esperienza della quattordicesima salita su questo versante e con passi ancor più duri e corti raggiungiamo la staccionata delle creste. Le rocce sono scomparse, le "ringhiere" appena visibili, 70 cm sotto i nostri piedi e un tappeto candido fin sulla vetta che scendeva con un fiume di "panna" dallo scollinamento superiore. Il cielo ancora azzurro e limpido, la giornata perfetta! L'entusiasmo è fortissimo, subito apriamo un varco sul versante Ovest del Cervialto cercando di mantenere una traiettoria uniforme e uguale per tutti i membri, il vento iniziava a spirare più "freddo" e la neve aumentava , tanto che ad un tratto la mia piccozza scompare sotto il manto ed è recuperabile solo grazie all'attacco sul polso. Intanto voltandosi capivamo che qualcosa stava per cambiare. Le nuvole cominciavano ad alzarsi dal Migliato, l'Eremita Marzano si dissolveva rapidamente e noi rimaniamo avvolti dalle nubi. Siamo ancora a tre quarti dalla vetta e la situazione si complica. Il vento diviene fortissimo, la nebbia fitta all'inverosimile ma l'obiettivo è la vetta e la ritirata è impossibile. Allora proseguiamo in fila indiana a qualche metro di distanza per darci segnali vocali e restare uniti, mentre io e l'amico "Zio Bacco" decidiamo di accostarci al versante alberato per evitare i "baratri" del costone est. A quota 1700 i membri della spedizione scomparivano dal campo visivo di ognuno di noi, cominciamo a salire più uniti ma il vento ci spinge uno contro l'altro e il rischio è quello di fare un "volo" comune. Determinazione e coraggio ci portano a scalare più decisi e più rapidi verso il primo "scollinamento" dove iniziamo a trovare alberi congelatissimi ricoperti da oltre 40 cm di ghiaccio. La neve intanto sotto i piedi cominciava a superare il metro e le nostre ghette proteggevano le gambe solo fino al ginocchio, mentre ogni tanto si scendeva anche più sotto. La salita più entusiasmante e più (fatemi passare il termine) "alpinistica" effettuata sin ora, uno scenario Himalayano con folate fortissime, ghiaccio, neve e nebbie da terrore. Molti forse avrebbero gettato la spugna eppure grazie all'esperienza e la conoscenza della montagna in questione raggiungiamo la capannina della vetta. Un'arrivo improvviso, dove la cima sbuca dalla nebbia nonostante tutti erano convinti di trovarsi ancora più sotto, magari ad un centinaio di metri dalla meta. Gioia e tripudio, un urlo di liberazione mi esce spontaneo e per un attimo tolgo il cappello ed alzo la piccozza al cielo come segno di "vittoria". La stazione meteo è uno spettacolo indescrivibile con centimetri di ghiaccio scolpiti dal vento, frastagliati e disegnati alla perfezione con oltre un metro e mezzo di neve sui bordi delle antenne e delle pareti della "capannina". La conca è invisibile e nel frattempo comincia una bufera di piccoli pezzettini di ghiaccio mentre la nebbia comincia ad attecchire sugli abiti e sui guanti congelandosi e facendoci ricoprire di bianco. Un'emozione indescrivibile mi coglie nel vedermi "trasformare" pian piano come gli alberi e le strutture presenti al gelo in quei giorni.
Prendiamo un po di fiato, ci copriamo ancora meglio e puntiamo di nuovo verso il basso dopo aver sostato solo cinque sei minuti in quel punto "fantastico". La montagna non ci ha respinti ma ci ha fatto capire che era l'ora di tornare a casa e lungo la discesa , arrivati fin giù alle creste il tempo tornava a graziarci facendoci di nuovo osservare il blu elettrico del cielo e le nebbie nelle valli che in serata ci avrebbero accompagnato fino ad Acerno nel viaggio di ritorno.

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