
Alla mattina dell'antivigilia di Natale la prima inversione termica (degna di questo nome) dell'anno si mostra sullo specchio del Laceno costellandolo di piccole placche di ghiaccio che faticano a tenersi unite. Sottili strati di "cristallo" che alle prime avvisaglie del sole si ritirano e ritornano al loro stato naturale, mentre sotto le siepi e alle pendici dei monti la gelata continuava a vivere e a rendere lo scenario diviso in due settori diversi. L'inverno da un lato, l'autunno dall'altro, cosi come si spezza la linea di confine tra le vette e l'altopiano, l'uno spoglio e l'altre bianche. Il passo lento del mattino riprende vigore alla solita "piazzetta" del Colle del Leone dove osservo con sorpresa delle chiazze di neve congelate nella piana dei vaccari. L'altro mondo irpino al confine con il caldo salernitano si incontra in questi luoghi e tra un cumulo di foglie cadute e un tronco riverso dal vento, di versante in versante iniziamo a salire per il Monte "amico". Dalla strada si nota tra gli alberi già la sagoma del mare e una nave che transita sembrando quasi immobile data la lontananza. Subito si perde la traccia della piana e il sentiero sale leggero e "franoso" sotto le scarpe spesse e consumate. Le parole non sono frequenti perchè l'inattesa temperatura colpisce il petto e il fiato e si preferisce fare "economia" di energie per arrivar "freschi" alla meta. La neve non ancora presente in grandi quantità è presente già da qualche metro e man mano il manto diviene sempre più compatto, scalfito solo dai nostri passi.Come in un rituale antico mi fermo in un punto ,ben presente nella mia mente, per togliermi il guanto destro, chinarmi sulle ginocchia e toccare la candida neve, granulosa e fredda. La mano subito diviene rossa e alcune goccioline scendono tra i suoi "canali", mentre un raggio di sole tra le "vecchie chiome" l'asciuga lentamente. Ritorniamo nel cammino dove già qualcuno ci avrà preceduto in questi giorni, notiamo le stalattiti sotto le radici dei faggi e anche la potenza del gelo che spacca alcune rocce. Alcuni tratti , vicini ad alcune pareti sono leggermente franati e sul bianco diventa anc

Siamo ormai giunti alla "torretta" dalla quale non riesco mai a far a meno di dare uno sguardo "furtivo" al Laceno e a tirare sempre un sospiro verso il "Varco del Paradiso" delle Accelliche. Il punto dove si riesce a fondere la conoscenza dei monti con l'infinito ancora da scoprire. Solitudine, gioia, consapevolezza, amarezza, dolcezza, il cuore e l'animo non hanno pace di fronte all'immensa "prole" della natura. Cosi punto il cielo con gli occhi spalancati e tremolanti per ringraziare Colui che tutto ciò l'ha pensato nella notte dei tempi.
Il passo ora diventava più pesante, il sole rifletteva sulla neve scottandoci le guance e facendoci avvertire un calore irreale, quindi ci fermiamo per riorganizzare il vestiario e dare una controllata alle scarpe e alle attrezzature. A Filicecchio sostiamo su una transenna di legno che congiunge la strada principale con la deviazione per il Piano Migliato. Siamo ,per la prima volta dopo tante escursioni, davvero stanchi. Il caldo e il sudore infastidiscono non poco e ormai l'assenza delle racchette si fa davvero pesante. Sprofondiamo fino al polpaccio, la camminata è macchinosa e le ghette riescono solo a dar sollievo alla gamba mentre i piedi cominciano (nonostante l'impermeabilizzazione) a sentirsi umidi e ghiacciati. Ma la forza d'animo è sempre viva, non si può lasciare un sentiero senza toccare la vetta almeno per un secondo e quindi gli sforzi continuano fino all'ultimo rettilineo prima delle creste. A questo punto il mio zaino diviene un macigno, appesantito anche dalle attrezzature e dal giubbino del mio amico che sente la fatica molto più di me. L'inferno del Cervialto stava per cominciare e quegli ultimi cinquanta metri verso le creste sembravano non finire mai, tra un passo lento e alcune parole per constatare le condizioni del mio "collega". Finalmente dopo aver "sofferto" abbastanza prendiamo il meritato riposo sotto alcuni alberi prima del tratto finale dove a differenza dell'inverno scorso (15 Febbraio 2008) la neve è davvero alta e tocca i 50 cm in molti punti facendo scomparire la fisionomia originale delle "coste". La pendenza aumenta, il sole è dritto sulle nostre teste, abbiamo le facce arrossate e caldissime e nell'istante in cui la mia piccozza sprofonda durante un passaggio roccioso sento un urlo di disfatta. A pochi passi dalla meta, l'amico rinuncia all'impresa, era la sua prima volta con la neve e l'attrezzatura insufficiente legata all'allenamento discontinuo avevano giocato d'anticipo sulla volontà di vedere la conca del Cervialto.
Mi fermo per constatare la sit


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