Novembre con la sua veste "dicembrina" faceva capolino dal nord dell'Europa e quella "mano gelida" che si affievoliva man mano che tentava di accarezzare il bel Paese, riuscì per quel poco che basta a farci rivivere l'essere escursionisti nell'estremo del suo significato. I monti bianchi dai 1000 metri non brillavano illuminati dal sole, ma una coltre di nuvole a strati ne delimitava le cime e dalla piana il desiderio di "tuffarsi" e "immergersi" nel silenzio si trasformava ancora una volta in realtà e ancora una volta meta di quel "incontro" fu Bagnoli Irpino. La mattina era fredda, il campanile della chiesa Madre sembrava infreddolito a quei 4° e le vie del paese emanavano un sapore natalizio difficile da trovare nelle calde cittadine di costa. L'affresco del '300, solitario e "imponente" nella sua bellezza spiccava particolarmente e passo dopo passo la Piazza Di Capua si apriva dinanzi a me. Poso lo zaino sulla panchina, prendo una pausa dinanzi la fontana e subito dopo all'arrivo del resto della compagnia parto alla volta dell'altopiano Laceno. L'atmosfera non è per tutti emozionante, le nuvole basse danno un effetto autunnale e la neve all'ingresso del valico Colle Molella era appena appena visibile su per i crinali dei monti. Alcune chiazze rimanevano forse conservate dal gelido terreno ma il colore predominante era il verde dei prati. Cervarolo e Cervialto nonostante il cielo opaco erano luminosissimi e quelle vette incappucciate facevano trasparire quel "velo" d'inverno che le aveva accarezzate. La temperatura era di -1°, le pozze d'acqua sul ciglio della storda ghiacciate, gli alberi spettrali, i pianori ricoperti da sottilissima coltre bianca e il cartello al Colle del Leone completamente gelato e coperto dalla neve. I faggi spogli mostravano le loro radici con determinazione, i
Il sentiero immerso nel bosco era ovviamente reso piacevole dal sottile strato di neve iniziale e ogni tanto qualche fiocchetto ghiacciato cadeva sulle nostre teste anche se sotto i nostri piedi più che la "dama bianca" sentivamo le rocce e i rami della mulattiera. Il "ruggito" della "antica" stagione aveva portato piccoli frutti eppure riassaggiarli anche se in piccole dosi metteva gioia e soddisfazione. I tornanti si susseguivano uno dietro l'altro e ad un certo punto osservano l'Accellica sotto una bufera di neve che mano mano lambiva le creste del Raiamagra ci ritrovammo anche noi sotto la prima vera fioccata dell'anno. Soffici fiocchi, dapprima piccolissimi poi sempre più grandi e fitti, i capelli imbiancavano e con loro giubbini e maglioni. Il silenzio della nevicata parlava più di centomila rumori del bosco e in quell'istante quel tocco ovattato rese più loquace l'intera montagna. Ancora una volta nella mia vita assistevo allo spettacolo di questa "meteora" cosi agognata da noi appassionati e per l'ennesima volta l'emozione era cosi forte da farci dimenticare il "cammino" e l'obiettivo da raggiungere. Raiamagra era avvolto da una nuvola "farinosa" e le virghe cadevano dal cielo ben evidenti finché il tutto si calmò e noi continuammo più spediti verso la cima. La
Cosi, tra un'emozione e una nuova sensazione giungemmo alle creste, la fidata piccozza finalmente aveva ragione di esistere e lungo il primo crinale la prima cosa che si notava era il contrasto tra il bianco della neve fresca e il giallo delle erbe secche e congelate. Delle erbe piegate tutte nello stesso modo che facevano da apripista sulle rocce rese scivolose dalle gelate. Dall'alto del primo scollinamento prima della cresta finale ebbi un sussulto a notare le montagne circostanti completamente avvolte dalle nuvole e in quell'istante capiì che quel giorno da li a poco sarebbe diventato memorabile. Presto l'Eremita Marazano scomparve e subito il Polveracchio divenne invisibile, il var
Durò ben venti e lunghi minuti la bufera, cosicché noi decidemmo di prendere riparo nel retro di una collinetta rocciosa. Posammo gli zaini, spalammo un po di neve e con la piccozza rompemmo il ghiaccio da alcune rocce per sederci; i panini persero sapore, la cioccolata era pietrificata ma il the caldo conservato nel termos ci diede calore e colore (ringrazio Emilio e Rosa ancora!!). E fu proprio quel tocco di vita a rimetterci in moto nel momento in cui il sole sembrava voler dominare la scena e lasciare allontanare le nuvole verso le terre dei Balcani. Ritornammo al punto trigonometrico e godemmo dello scenario bianco del Sazzano e delle vallate, finchè dopo una piccolissima nuova nevicata prendemmo via per le creste in direzione del Colle del Leone. Avevamo visto di tutto, neve, ghiaccio, vento, gelo eppur qualcosa mancava: lo splendore dei raggi del sole sulla soffice neve. Sembrava quasi un'escursione non completa, ma dopo qualche centinaio di metri, al di la delle fronde "morte" uno spiraglio di luce sopravanzò. Le nubi scomparvero completamente e il sole iniziò a splendere forte nel cielo reso azzurrissimo del grecale. Nel tornante verso il Polveracchio ci rendemmo conto della grande "giornata" che stavamo vivendo e finalmente i raggi solari riflettevano sul bianco manto che a sua volta rispondeva con luccicanti segnali. Dietro di me il "tratturo" assumeva un'altra esembianza e mi sembrava di non esser stato in quei posti e man mano che proseguivamo verso il basso opinione comune era quella di "camminare su un altro monte". Fino alla fine del nostro viaggio il sole riscaldò e giunti all'auto v
E allora caro Inverno e caro Cervialto (fusioni perfette di quel che provo e che vorrei far trasparire agli altri, essenza dell'escursionista immerso nella bellezza dei Picentini, sorgenti di continue sensazioni) lungo il percorso degli anni e del ciclo della natura resterò sempre consapevole della vostra rara unicità.
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