martedì 10 marzo 2009

Le "acque" del Monte Terminio

Un insolito Terminio si prospettava al mattino di una Domenica incerta e ancora difficile da comprendere. Il sintomo di "malessere" di un cielo che non fa percepire se guarirà o peggiorerà l'unica sicurezza della giornata. Le schiarite sicuramente maggiori delle coperture, l'allegria del gruppo sempre forte e coinvolgente e i primi cumuli di neve che come ogni giorno di escursione appaiono lentamente a piccole macchioline che si ingrandiscono e si uniformano man mano che si sale. La vetta ornata di guglie e valloni si faceva apprezzare da un tornante dei primi castagneti, il Vallone Matrunolo sfavillava contornato dai soliti abeti nani e da paurose e vertiginose pareti innevate, il giorno ideale per raggiungere il punto più alto e abbracciare con un sol gesto l'intera Campania. Eppur questa volta i piani cambiano, si modificano, evolvono e al Varco del Faggio riponiamo le nostre speranzose idee di neve "bassa" e seguaci di un esperto direttore di escursione ci addentriamo nelle prime faggete "abbagliate" da un sole che in quell'istante riscaldava la giornata. La neve compatta e ghiacciata scricchiolava "degnamente" permettendoci di passeggiare agilmente e con rapidità sulle ciaspole consumate dai numerosi chilometri invernali. Gli sciatori invece riuscivano a disegnare la strada precedendo noi ciaspolatori, nel tentativo di non ritrovarsi in fossi e cunette che avrebbero solo impedito la marcia. Una marcia resa "umida" e faticosa dal riflesso della neve che faceva rimbalzare i forti raggi su di noi, scottandoci e costringendoci a spogliarci fino alla prima maglia del pesante strato. A soccorso di un "plotone" disposto in lunga fila indiana, un piacevole e rilassante viale di abeti. Abeti ancora ricoperti di neve che con la loro folta e fresca chioma refrigeravano guance , braccia e gambe, fin quasi a ripercepire il freddo che a Serino penetrava nelle ossa. Viene quasi voglia di ricorrere al giubbino ma in un istante ci ritroviamo di nuovo lungo collinette di piccoli arbusti che si susseguono rapidamente, e cosi tra passi in discesa e in salita ritorniamo a sudare e a faticare.
Il manto nevoso non sempre uniforme, frutto di un sentiero che dai 1000 metri di quota si dirige nelle viscere del massiccio e si abbassa fino a toccare quasi traccie di alta collina, scenari ben lontani dalle nebbie del Cervialto o dalle ripe del Cervati, ma sempre degni di esser vissuti con uno spirito "devoto" alla "Signora Montagna". Sarò sincero, all'inizio di questo percorso, avevo il cuore triste, un qualcosa mi diceva di dover salire, di provare a raggiungere le quote a me più consone. Sulla mia spalla un diavoletto mi incitava a lasciare il gruppo e a proseguire da solo verso Verteglia e il Rifugio degli Uccelli, mentre un angioletto consigliere mi tranquillizzava facendomi notare la mia irruenta impulsività. Uno scontro mentale e psicologico che si risolve nella scelta di compagnia, e fu una scelta che ancor oggi ripenso con orgoglio. Tra le altre questioni "morali" infatti, avevo dimenticato del buon proposito di visitare ogni luogo a me sconosciuto e quasi con testardaggine e campanilismo escursionistico stavo per discostarmi dai miei intenti. Ma son bastati pochissimi passi a farmi ritornare in sintonia con la natura, ed infatti uno scorcio verso Sassosano e il Felascosa, misto alla visione di un enorme pianoro bianco mi ridanno vigore e sopratutto spirito di iniziativa. Prendo allora la testa del gruppo e ripercorro velocemente con la mente il percorso sulla cartina che avevo studiato in precedenza, mi accingo a scrutare ogni dettaglio ed ogni particolare finchè richiamato dal suono soave dell'acqua resto "imbambolato" nel ritrovarmi in un luogo a me noto ma che in quel momento mi pareva altro.
Sotto di me scorreva un ruscello che di li a poco si sarebbe mescolato alle acque del Calore e sarebbe confluito fin giù alla Scorzella e spostando lo sguardo verso il crinale , adocchiando un passaggio sicuro discendo fino alle coste del torrente ad osservare la bocca inquietante della Grotta di Candraloni. In estate lo sfondo rossastro e verde rende l'atmosfera ancora più tetra mentre quest'inverno fresco e nevoso fa riprovare sensazioni di pace ed armonia. La cascata che si infrange sulle rocce e che viene inghiottita da Candraloni non incute timore ma un senso di impotenza e di rassegnazione tranquilla che ti fa comprendere l'immensità e il corso vitale della natura. Enormi "filamenti" di ghiaccio facevano da dentatura alla volta franata del grave e l'umidità come al solito offuscava leggermente la bocca della sempre "assetata" caverna.
In un attimo tutto il gruppo mi è vicino, tra cadute, scivoloni e addirittura uno sci che staccatosi dai piedi di un "distratto" sciatore , corre rapidamente verso l'inghiottitoio e solo la fermezza di qualcuno lo salva dalle sue grinfie. Un piccolo attimo concitato che ci fa rimettere in marcia, fin sulla caserma Candraloni dove pulendo i tavolini e i seggiolini dalla neve ci riposiamo e ci rifocilliamo. Anche in questa ultima fatica di Febbraio la mitica girella alla nutella nei momenti di pausa rappresentava una fonte di energia inesauribile. Una fetta a destra, una fetta a sinistra, un complimento qua , un complimento la e il contenitore di dolci finisce in un istante. Lo stesso istante in cui ci rialziamo e superando un ponticello ci ricongiungiamo verso il ristorante la Bussola riscendendo lungo la strada asfaltata che porta al Piano delle Acque Nere. Naturalmente un "asflato bianco", non battuto e non pulito per la sua "inutilità" al turismo di massa.
Facile e scorrevole allora risulta il prosieguo che ci porta dritto ai pianori tra fiumi di "acque nere" , ponti in legno mimetizzati con la natura e sorgenti spontanee figlie di un inverno "autunnoso". Persino le rocce più statiche sembravano capaci di "sprizzare" acqua dai loro "pori" e noi, oltrepassando un muraglione di accumulo eolico freschissimo, osservavamo con la meraviglia di esseri innocenti quelle sceneggiature articolate ma nello stesso semplici organizzate dal maestro calcareo.
Il sentiero che aggirava il piano imbiancato sembrava non finire, la strada percora era davvero tanta e forse solo il piacere della montagna faceva si che noi non ce ne accorgessimo, ma mancava ancora qualche metro alla meta stabilita. Ancora ruscelli, ancora onde di neve che si reggevano su argini di terra, qualche guado in ciaspole e qualche piede nel fango per arrivare nei pressi di una fontana in pietra alla quale prendiamo la "sosta ufficiale".
Tutti seduti ai bordi del fontanile, alcuni con i pidei sulla vasca a far dondolare uno strato rettangolare ghiacciato sulla sua superfice, mentre altri presi dalla curiosità (tra questi anchio) si recano verso una parete rocciosa, sotto la quale, maestosa e sorprendete spuntava la sorgente dell' "acqua della pietra". Un getto a forma di due mani intrecciate e legate al solo indice che si tuffa nel canale ai suoi piedi e che fuoriesce piatta sotto la fessura di una roccia squadrata che ne delimita la sommità. Il trionfo dell'acqua e della vita che si impossessano di qualsiasi cosa corra sul loro tragitto e sono capaci di convivere in simbiosi come linfa della montagna, dei boschi e degli animali della "foresta picentina".
Sembrerebbe certo ormai un riposo duraturo e meritato in quell'angolino rilassante ma l'acqua non fnisce di stupirci e si ripresenta sottoforma di una fitta nevicata che ci costringe a riprendere armi e bagagli e ripartire verso il Varco del Faggio. Finalmente un'improvvisata che movimenta la finta monotonia dei passi su trreni uniformi, o forse, finalmente ad un fenomeno che tanto aspettavo e che molti nel gruppo volevano evitare per non bagnarsi e non rimanere infreddoliti. Sento improperi e rimproveri che vanno nella mia direzione quando ormai in delirio assoluto mi reco da solo per il pianoro, con lo sguardo verso l'alto, la bocca aperta a raccoglier qualche fiocco e le braccia larghe in simbolo di "benvenuto". La mia gioia alle stelle ad ogni batuffolo caduto dalle nuvole e più amentava l'intensità della nevicata più avevo voglia di urlare al bosco la mia gratitudine. Gli zaini si coprivano rapidamente di bianco, i guanti scomparivano mimetizzati con il contesto candido e quando il tutto ormai aveva una parvenza "immacolata" ecco che vedo il Varco del Faggio che si presenta come la fine di un "gioco" appena cominciato.
La montagna continuava a sfornare nubi da neve che scaricavano sulle auto e sulla starda rendendola uguale al sentiero e fino alla fontana i fiocchi erano visibili e insistenti, finchè verso Serino il sole riprende il comando e pone fine all'ennesima avventura di quest'inverno indimenticabile.

Escursione del 22 Febbraio 2009

1 commento:

Anonimo ha detto...

Davvero complimenti per il reportage! Foto stupende!