
L'alba di un nuovo giorno iniziava a levarsi sul salernitano, la vita pian piano riprendeva e ormai come un "qualcosa" di schematico mi ritrovavo nell'auto con Walter, con l'aggiunta di un nuovo "collega" di escursioni, Francesco. Sta volta consapevole delle curve e della distanza faccio scorta di "
xamamina" e fortunatamente l'effetto è di quelli sperati.
La statale 18
scorreva chilometro dopo chilometro e da
Capaccio scalo che col mare quasi confina ci ritroviamo su per terre, tra le splendide colline della Val Calore. Dagli otto tornanti il pensiero
ricade in quei giorni estivi passati sulla mia bici da corsa a battagliarsi per giunger primi allo
scollinamento e non posso non ricordarmi del Monte
Vesole e del "Passo delle due
nevere" che consacrò quell'intesa di follia ciclistica tra me e un mio carissimo amico di "avventure".
Lungo la strada per
Roccadaspide lo sguardo è fisso sui Monti Alburni, le creste occidentali e quelle settentrionali da questa visuale si fondono e spianano verso la valle, rendendo cosi evidente l'alta via degli altipiani che dal Lauro Fuso giunge al Casone
Aresta.
Controne bassissimo inghiottito dalle Timpa Pianella e Petrosa, mentre
Castelcivita dava l'
impressione di voler dominare il massiccio e di restare in guardia contro le torri del La Nuda e le vette
sapere del Monte Urto Falcone.
Intanto lo sguardo si chiude nel piccolo paese di Castel San Lorenzo, siamo nel bel mezzo del Cilento, la "terra dei tristi", quel territorio cosi interno della nostra provincia ma cosi indipendente e diverso come cultura e tradizioni, cosi affascinante e intrigante. Un sibilo di malinconia mi prende pensando alla vita lontana dalla mie abitudini e mentre attraversiamo
Felitto ci rendiamo
perfettamente conto di come il tempo abbia creato in questi luoghi un abisso tra il "calendario e le ore" e la "vita". Nello stesso tempo però dai riflessi del finestrino, da uno sguardo a quei boschi e dalla vista dei Monti riassaporo l'essenza primordiale dell'uomo e son sicuro che chi ha come obiettivo quello di godere della natura non può che "ritrovarsi" in cosi tanta "purezza".
Intanto i chilometri percorsi sono tantissimi, raggiungiamo
Laurino ed entriamo nel suo centro storico, passando al fianco di antiche abitazioni e antiche chiese,
finchè dopo un'altra decina di minuti entriamo nella Piazza di
Piaggine e ci fermiamo ad aspettare il resto de
lla compagnia.
Domenica di paese, tra un tavolino di anziani che giocano a carte e un mercato rionale, i vicoli e la piazza in
ciottolato, la chiesa che sovrasta il centro e il Cervati , colosso buono e benefico, che dai suoi 1899 metri "impera" le
popolazioni circostanti (spero mi sia permesso il latinismo).
Da
Piaggine, appena il gruppo è compatto, si prende direzione tra lande desolate e lontane dalla civiltà delle località montane delle "
chiaine" (
Piaggine) e solo dopo stretti tornanti e salite pendenti, attraversando un'amena vallata tra mucche e cani, giungiamo in località
Orsaia dove
inizia la nostra avventura. Un simbolo rosso e giallo su un muretto segna la partenza e da quel "cemento" saliamo su un piccolo pendio fangoso in un "
vialetto" di Ontani che nel giro di pochissimi metri ci conduce all'aperto, sotto un sole cocente ottobrino che stona con il contesto stagionale. Ai nostri occhi si aprono due scenari distinti, da un lato il cielo azzurro verso il
Chianiello, dall'altro la Serra del
Radicone con la sua struttura rocciosa stratificata che alle sue spalle minacciava nebbie e pioggia. Ovviamente tutto ciò non scoraggia la compagnia e sul crinale del "
Lagarone" tra piante di lavanda e pietre proseguiamo in direzione di una sterrata che ci conduce all'interno del fantastico bosco della "Serra del
Cretazzo". L'autunno in questo tratto inizia a mostrare la sua carta d'identità, anche se all'inizio ha tentennato, e da questo punto fin sullo
scollinamento i faggi ci regalano "l'
ardor d'autunno" che avevo descritto in una mia
poesia l'anno scorso. La luce del sole inizia già a calare inghiottita da un velo sottile, tenue che in poco tempo rende bianco il cielo. Le foglie sotto i nostri piedi di un rosso spento, bagnatissime e dalle chiome goccioline d'umidità ci ricordano che sopra di noi ci sono "esseri viventi" che ci scrutano e ci ascoltano. Ma la salita non è molto dura e neanche troppo lunga, essa culmina in una radura dalla quale a 1330 metri si apre la Valle di
Mercori. Questo angolo aperto che ricorda molto il Lauro Fuso si distingue per colori e vegetazione e quella stradina immersa in quella piccola valle non stona affatto con il conte

sto e prosegue dopo alcune fronde giallo oro e una pozza di fango in un bosco mitico. In questi attimi il silenzio è l'argomento più rumoroso che possa apprendere, i funghi spuntano in ogni dove, i rami degli alberi bassi sembrano accarezzare le teste degli escursionisti e i faggi alti ostentano sicurezza e un po di diffidenza nei confronti di quell'essere (l'uomo) che cosi poche volte "calpesta" il loro territorio.
Dal bosco in un tratto pianeggiante si divide la strada tra una carraia forestale e una deviazione su mulattiera ricoperta da foglie, la quale con pochissime difficoltà ci conduce alla "Bocca delle Tre Fontane" a 1495 m. Un posto che rievoca l'immagine di una sorgente e che invece rappresenta un piccolo anfratto di terra al ridosso di un salto della montagna dove un rivolo scorre e concede acqua al suolo e agli animali.
Da questo punto in poi la salita si fa più dura e in alcuni punti si cammina tra faggi giovani e vegetazione fitta che man mano si apre fino ad uno
scollinamento che conduce in una prima radura e poi in un'altra ancora più grande,
finchè all'improvviso e senza preavviso dal retro di un albero lo scenario si apre e dinanzi a noi "sbuca" una dolina carsica di dimensioni eccezionali. Siamo alla "Dolina dei
Gigantini" a 1598 metri d'altitudine, un "cratere" carsico che non ha seguito il processo di conformazione di un inghiottitoio e che nei suoi 200 metri di lunghezza e oltre 50 di larghezza dona all'escursionista "inerme" ed "impotente" un suggestivo scorcio di "unicità". Personalmente rimango stupito dall'altezza dei faggi e dalla loro disposizione in alcuni punti e le chiome "rame" lasciano senza parole, mentre un altro albero solitario si piega nel vero senso della parola per poi riprendere slancio verso l'alto. I primi ad entrare dall'alto sembrano dei puntini in confronto, l'erba all'interno gialla e secca non è molto alta ma rende lo stesso morbido il passaggio. La Cima di
Mercori è ormai vicina ma non la notiamo, immersa nella nebbia com'è in questo istante. Alcuni di noi si fermano all'imbocco della dolina, mentre i più "arditi"
perseguono su un crinale di foglie bagnate molto aspro, si cammina a passi alti e si giunge rapidamente sotto alcune rocce degne del miglior paesaggio "
alburnino". Superate queste rocce sul lato destro e lasciandole sulla sinistra si entra in un boschetto basso, su gradoni di pietra. Seguiamo i gradoni facendo attenzione alla loro scivolosità e man mano che avanziamo la vegetazione lascia il posto,
finchè si aprono delle piccole creste (simili a quelle del
Cervialto ma molto più piccole) che ci portano sulla Cima di
Mercori a quota 1788. La nebbia è la padrona, il panorama sul Golfo non c'è, e sono dispiaciuto pensando alla mattina dove dal
Lagarone il
Vesole e il Soprano svettavano in lontananza. Ad un tratto però il
Faiatella si scopre e come un gigante lunare si "spoglia" dal velo anche "Sua Altezza" il
Cervat
i. Impressionante, maestoso, massiccio, terrificante e cosi affascinante. Le sue creste, le doline, quelle cime pietrose mi riportano a quel Giugno dove i miei occhi videro per la prima volta quel monte, ma mentre ricordo la nebbia mi avvolge e mi "sveglia" dal "pensiero".
Il tempo non ci darà più tregua, sono ormai le 15 ed è ora di scendere, recuperiamo il resto della compagnia e tra
Mercori,
Cretazzo e
Lagarone ritorniamo a
Piaggine dove inizierà quel ritorno dolce e silenzioso verso casa, tra Villa Littorio e la valle del Calore che al tramonto chiudeva il conto con un altro giorno di "vita".