domenica 4 gennaio 2009

La Campania Alpina: Monte Cervati innevato 31-12-2008

Il gelido Vallo di Diano con i suoi -2° già a Sala Consilina faceva capire che la giornata non sarebbe stata la solita scampagnata sulle vette dei monti Picentini. Il Cervati progettato nel caldo Giugno e scalato per la prima volta il 29 dello stesso mese con tutte le premure del caso e le attenzioni dell'esordio piano piano stava diventando terra di conquiste e di imprese. Il verde bosco dell'estate accompagnato dalla chioma rossa e arancio del meraviglioso autunno che ora lascia il posto al candido bianco della neve e del ghiaccio.
Già da Sassano la forma della Chiaia Amara evidenziava la coltre nevosa alta e compatta e i brividi salivano lungo la schiena osservando quel crinale impervio che nella mente rievoca scenari alpini e incontaminati. La salita per Monte San Giacomo si tinge di emozioni contrastanti che vanno dalla fermezza e decisione all'entusiasmo incontenibile e ogni qual volta la Chiaia spuntava a dare il benvenuto il bambino che era in noi dava segni di vita. Il Motola imbiancato leggermente solo all'estremità e i suoi abeti bianchi che tendevano la mano alla vallata sottostante, gelida, ghiacciata, tetra. Il termometro scende subito dai -2° ai -4°, raggiunge i -5° e prima della deviazione verso i Vallicelli tocca i -6° facendoci assaporare un'inversione termica d'altri tempi. Intanto la strada cominciava ad imbiancarsi, la neve inziava a presentarsi sull'asfalto e sui crinali, dapprima leggera e sottile, poi sembra più ghiacciata e compatta fino all'arrivo ai Vallicelli dove posiamo l'auto. Incredibile ed avvincente il manto nevoso che crescendo lungo la strada ci permette di arrivare al "posteggio" al limite, proprio all'imbocco del sentiero.
Da cornice al freddo un rivolo, formato dalle piogge e dallo scioglimento lento delle nevi, inesistente in autunno e la sensazione di star per entrare in u sentiero trasformato e rigenerato da questa stagione "nuova" e dinamica. Cosi, al "Vallone dell'Acqua che suona" finalmente sentiamo e vediamo l'acqua cadere giù dalle rocce e fare salti con piccole cascatelle lungo la dorsale al ridosso delle falesie, ascoltiamo interessati e affascinati la musica composta dal fiumiciattolo sulle "corde" dei fusti inclinati e rimaniamo incantati da un ramo completamente ghiacciato steso sul letto del ruscello a prendere la forma che Madre Natura gli stava "creando".
La strada saliva, senza le difficoltà estive e autunnali del fango, anzi a dir la verità molto più spedita e semplice grazie ai "gradini" formati dalla neve ghiacciata che supportavano i nostri passi evitando cadute e scivolate. La rapidità di questo primo tratto fa si che sbuchiamo in un attimo alla Fontana degli Zingari, attraversando prima un guado apertosi nel ventre della salita e poi un altro per raggiungere i pianoro. La neve iniziava a raggiungere un'altezza consistente e cosi posiamo lo zaino per terra e stacchiamo le "ciaspole" dagli imbraghi per utilizzarli sul soffice manto. I passi ora risultavano di gran lunga più leggeri e lunghi, la vista del canalone del Cervati imponeva rapidità solo a guardarla e cosi con velocità e decisione ci "tuffiamo" nelle nevi del Bosco Temponi. Faggete spoglie, alberi galavernati alle estremità, nuvole di condensa e qualche fiocchetto ogni tanto sulle noste teste, cespugli completamente sommersi dalla "Dama", piccole impronte e una lunga mulattiera bianca che tra sali e scendi conduce nel cuore della fitta vegetazione. Il Rifugio Cervati non è ancora lontano ma la neve cresce ancor di più, i passi nonostante le racchette sono più macchinosi e di tanto in tanto ci fermiamo per apprezzare meglio l'essenza dell'inverno. Notiamo dal basso tra le fronde alcuni versanti della Chiaia Amara finchè colpiti da un raggio di sole sbuchiamo allo scoperto e dinanzi a noi si presenta un "Pandoro" candido e compatto, indicatoci dal solito albero solitario colpito da un fulmine estivo. Riusciamo a fatica ad abbandonare quella postazione magnifica e mentre dietro di noi i nostri passi sembravano fuggire nel bosco appena lasciato, quasi impressionati dalla fatica che ci aspettava, proseguiamo nella direzione del rifugio con lo sguardo sempre rivolto verso l'alto a notare mal appena la transenna del sentiero dei pellegrini che faceva capolino dalla coltre nevosa. Al Rifugio le stalattiti di ghiaccio che scendevano dal tetto rendevano la struttura armoniosa con il contesto, i tavolini completamente sommersi e la pertinenza impregnata di fumo, segno evidente del passaggio di qualcuno precedentemente, molto probabimlmente uno sci-escursionista date le tracce fin davanti alla porta. In tutto quel bianco e quel ghiaccio il caldo era fortissimo, le nostre guance e il nostro volto rosso, il sudore scendeva tra i vestiti ma era una sensazione scomoda perchè la temperatura in realtà bassa era pronta a tenderci brutti scherzi. Decisione saggia e decisa di continuare per il pianoro e proseguire verso la Chiaia Amara nel fitto del bosco. Passi pesanti, passi corti, le racchette invisibili sotto la neve, le ghette impegnate fino all'ultimo centimetro e quell'interminabile pendio reso difficile dall'accumulo importante di questi giorni. La mia piccozza sprofonda per 71 cm, alcuni tratti sono davvero insidiosi e il punto finale, al confine tra il bosco e la "Chiaia" risulta impegnativissmo. Va superato un dosso nevoso, alto e morbido che per le prime volte ci respinge facendoci scivolare verso il basso. I primi tentativi falliscono, una scivolata di Federico è salvata dalla pronta manovra di sicurezza con la piccozza e dopo aver scavato un solco finalmente giungiamo nel tratto scoperto. Il vento qui tirava forte e freddo, quindi posiamo lo zaino e prendiamo giubbini e cappello. Giunta l'ora anche di usare i guanti impermeabili per appoggiarsi al suolo durante eventuale cadute. L'amara roccia sommersa dal bianco sembrava un colosso insormontabile. La transenna del sentiero coperta all'estremo e i primi passi davvero complessi. Il percorso non è dritto, il crinale va attraversato a mezza costa per giungere al Crocillo e le ciaspole tendono a staccarsi e piegarsi durante i passi laterali che "accompagnano" enormi masse di neve verso il basso. Cinquanta metri inziali di prova e stancanti, continuiamo senza ciaspole ma è praticamente impossibile e quindi ritorniamo all'attrezzatura. La piccozza nella mano sinistra, il bastoncino nella destra la nostra forza per raggiungere la meta. Le braccia faticano più delle gambe nel reggersi lungo il pendio scivoloso e tiriamo un sospiro di sollievo quando sotto i nostri passi la neve si compatta a ghiaccio e ci permette di "camminarla" con i ramponcini delle "racchette" senza sprofondare. Di sicuro molti con le nostre attrezzature, senza ramponi avrebbero mollato, ma noi eravamo decisi fino in fondo e ancora una volta dopo aver riposato per qualche istante ci "gettiamo" a capofitto verso quel "muro" che dapprima invalicabile pian piano veniva "spianato" dalla nostra grinta. In alcuni tratti vedevo scendere verso di me alcune "pietre di neve", il sole splendeva sulla Chiaia Amara, le rocce più alte spuntavano mal appena e il blizzard regalava un sentimento di paura e coraggio insieme. Ovviamente è chiaro che in quegli istanti si prova qualcosa di "Immenso" che va oltre ad ogni possibilità di scrittura, difficile da pensare, difficile da capire, difficile da credere ma cosi viva dentro chi l'ha vissuta e continua a viverla con il ricordo. La fatica che si mescola con la voglia di conquista tanto cantata sugli altri monti, il conto alla rovescia con la luce del sole, il pensiero di non tornare a casa senza aver visto la vetta ci portano a raggiungere alle ore 12.00 la fatidica quota di 1840 m al Crocillo. Lo spettacolo è da brividi alpini. Usciamo sull'orlo della conca e sembriamo due formiche in confronto alla maestosità di quel cratere glaciale. La neve in vetta e nella "ghiacciaia" non è tanta come sul sentiero, il sole in cima ha provveduto a ridurre gli accumuli, ma nelle parti esposte a Nord e nelle zone all'ombra si ergevano dune bianche alte e profonde. Da una delle tante cime si avvicina il Sindaco di Sanza con il quale scambiamo qualche parola e decidiamo sul da farsi per raggiungere la quota 1899. Lasciamo la compagnia e tentando a mezza costa camminiamo al di sotto del crinale sud, sprofondando nonostante le racchette e scivolando su tratti ghiacciati, finchè usciti allo scoperto di roccia in roccia e dando uno sguardo al golfo di Policastro , visibilissimo in questa giornata, finalmente tocchiamo il punto trigonometrico. La chiesa della Madonna della Neve si vedeva in lontananza con una leggera spolverata, le tracce della motoslitta nei pianori sembravano ,dalla nostra altezza, le scie dei nostri bastoncini (ma erano molto più grandi). Il vento spirava fortissimo, la temperatura era intorno ai -7°, necessitava un campo base coperto e riparato ma intanto il tempo era passato veloce ed era ormai scoccata la "tredicesima" ora del 31 Dicembre. Scendevano anche le nuvole e cominciava a nevicare. Saggezza e prudenza ci spingono a ripartire rapidamente sui nostri passi, giungere al crocillo e riscendere la Chiaia Amara per fare sosta al Rifugio ed esser più vicini al ritorno. Detto fatto, alle 14 poniamo campo base al Rifugio Cervati, giusto il tempo di bere un sorso d'acqua e gustare (si fa per dire siccome era gelato) un panino per ricaricarci, oltre a "grattare" il ghiaccio sotto il tallone delle racchette. Ormai la giornata volgeva quasi al termine e nel gruppetto nonostante l' "impresa" regnava il silenzio e una sorta di malinconia che ci spinse a riprecorrere il sentiero fino ai Vallicelli in men che non si dica. Raggiunta l'auto la strada era ancora gelata, il rumore dell'acqua continuava a "suonare" e con un ultimo sguardo di "tristezza" lasciammo le gelide valli per le calde pianure del Sele.

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