martedì 30 dicembre 2008

Le nevi del Cervialto...disaventure dell'antivigilia

Bagnoli Irpino ci aveva salutato qualche sera prima regalandoci uno scenario mozzafiato, un tramonto sul rosa e sul lilla che accarezzava le vette dell'Altopiano Laceno e quel delinearsi delle vette Montellesi mentre i paesi nella valle si illuminavano come tanti presepi di notte dal belvedere grande. Il vento freddo e il cielo limpido, le luci dei lampioni sulla strada gelida da contorno al Lago e quella neve alta che con il calar del sole acquistava sempre più un colore rosso fuoco. Il tranquillo passeggiare poi per la piazza, le visite agli amici, i caminetti accesi, le caldarroste e quell'inesorabile ritorno verso casa. Un addio che non è mai definitivo ed è assicurato il ritorno anche quando non te lo aspetti oppure credevi di recarti altrove.
Alla mattina dell'antivigilia di Natale la prima inversione termica (degna di questo nome) dell'anno si mostra sullo specchio del Laceno costellandolo di piccole placche di ghiaccio che faticano a tenersi unite. Sottili strati di "cristallo" che alle prime avvisaglie del sole si ritirano e ritornano al loro stato naturale, mentre sotto le siepi e alle pendici dei monti la gelata continuava a vivere e a rendere lo scenario diviso in due settori diversi. L'inverno da un lato, l'autunno dall'altro, cosi come si spezza la linea di confine tra le vette e l'altopiano, l'uno spoglio e l'altre bianche. Il passo lento del mattino riprende vigore alla solita "piazzetta" del Colle del Leone dove osservo con sorpresa delle chiazze di neve congelate nella piana dei vaccari. L'altro mondo irpino al confine con il caldo salernitano si incontra in questi luoghi e tra un cumulo di foglie cadute e un tronco riverso dal vento, di versante in versante iniziamo a salire per il Monte "amico". Dalla strada si nota tra gli alberi già la sagoma del mare e una nave che transita sembrando quasi immobile data la lontananza. Subito si perde la traccia della piana e il sentiero sale leggero e "franoso" sotto le scarpe spesse e consumate. Le parole non sono frequenti perchè l'inattesa temperatura colpisce il petto e il fiato e si preferisce fare "economia" di energie per arrivar "freschi" alla meta. La neve non ancora presente in grandi quantità è presente già da qualche metro e man mano il manto diviene sempre più compatto, scalfito solo dai nostri passi.Come in un rituale antico mi fermo in un punto ,ben presente nella mia mente, per togliermi il guanto destro, chinarmi sulle ginocchia e toccare la candida neve, granulosa e fredda. La mano subito diviene rossa e alcune goccioline scendono tra i suoi "canali", mentre un raggio di sole tra le "vecchie chiome" l'asciuga lentamente. Ritorniamo nel cammino dove già qualcuno ci avrà preceduto in questi giorni, notiamo le stalattiti sotto le radici dei faggi e anche la potenza del gelo che spacca alcune rocce. Alcuni tratti , vicini ad alcune pareti sono leggermente franati e sul bianco diventa ancora più evidente la traccia di terra. La strada alla mia destra è irriconoscibile in questa nuova "manifestazione", le fragoline di bosco non ci sono più, le more aspettano in "riposo" i tempi caldi (ancora lontani) e le erbe "dormono" sotto il "dolce" accumulo.
Siamo ormai giunti alla "torretta" dalla quale non riesco mai a far a meno di dare uno sguardo "furtivo" al Laceno e a tirare sempre un sospiro verso il "Varco del Paradiso" delle Accelliche. Il punto dove si riesce a fondere la conoscenza dei monti con l'infinito ancora da scoprire. Solitudine, gioia, consapevolezza, amarezza, dolcezza, il cuore e l'animo non hanno pace di fronte all'immensa "prole" della natura. Cosi punto il cielo con gli occhi spalancati e tremolanti per ringraziare Colui che tutto ciò l'ha pensato nella notte dei tempi.
Il passo ora diventava più pesante, il sole rifletteva sulla neve scottandoci le guance e facendoci avvertire un calore irreale, quindi ci fermiamo per riorganizzare il vestiario e dare una controllata alle scarpe e alle attrezzature. A Filicecchio sostiamo su una transenna di legno che congiunge la strada principale con la deviazione per il Piano Migliato. Siamo ,per la prima volta dopo tante escursioni, davvero stanchi. Il caldo e il sudore infastidiscono non poco e ormai l'assenza delle racchette si fa davvero pesante. Sprofondiamo fino al polpaccio, la camminata è macchinosa e le ghette riescono solo a dar sollievo alla gamba mentre i piedi cominciano (nonostante l'impermeabilizzazione) a sentirsi umidi e ghiacciati. Ma la forza d'animo è sempre viva, non si può lasciare un sentiero senza toccare la vetta almeno per un secondo e quindi gli sforzi continuano fino all'ultimo rettilineo prima delle creste. A questo punto il mio zaino diviene un macigno, appesantito anche dalle attrezzature e dal giubbino del mio amico che sente la fatica molto più di me. L'inferno del Cervialto stava per cominciare e quegli ultimi cinquanta metri verso le creste sembravano non finire mai, tra un passo lento e alcune parole per constatare le condizioni del mio "collega". Finalmente dopo aver "sofferto" abbastanza prendiamo il meritato riposo sotto alcuni alberi prima del tratto finale dove a differenza dell'inverno scorso (15 Febbraio 2008) la neve è davvero alta e tocca i 50 cm in molti punti facendo scomparire la fisionomia originale delle "coste". La pendenza aumenta, il sole è dritto sulle nostre teste, abbiamo le facce arrossate e caldissime e nell'istante in cui la mia piccozza sprofonda durante un passaggio roccioso sento un urlo di disfatta. A pochi passi dalla meta, l'amico rinuncia all'impresa, era la sua prima volta con la neve e l'attrezzatura insufficiente legata all'allenamento discontinuo avevano giocato d'anticipo sulla volontà di vedere la conca del Cervialto.
Mi fermo per constatare la situazione, provo a dargli forza ma è tutto inutile. I suoi piedi ormai sono fermi, atrofizzati dal freddo e ogni passo si tramuta in una scivolata e in una caduta. Il ritorno si complica e nell'incertezza dei tempi di ritorno occorre avvertire casa del probabile ritardo. In quell'istante il telefonino era inutilizzabile, la linea si può raggiungere solo in vetta, l'amico riprende un po di forze e cosi ai cento metri di dislivello finali ci dividiamo. Decido (viste le condizioni migliorate di Gaetano) di lasciarlo per qualche minuto. Gli faccio indossare il giubbino e gli pulisco una roccia per fargli un "sedile" mentre lo aiuto a stendere i piedi su un'altra pietra al sole per fargli riprendere "conoscenza". La situazione in quell'istante sembrava riprendersi e allora lasciate le ultime raccomandazioni salgo veloce verso la cima. Nella mia mente passavano i pensieri veloci, non riuscivo a distinguere la voglia di veder la cima con la necessità di telefonare e ritornare a casa. Le creste non erano mai risultate cosi difficili e faticose e la neve alta in alcuni tratti diventava un ostacolo da aggirare con piccole arrampicate e con colpi di piccozza ben assestati nel ghiaccio. Sono passati dieci minuti e la vetta sembra vicina ma non è ancora a portata di mano e preso dalla fatica lancio lo zaino dietro le mie spalle e proseguo più veloce di roccia in roccia finchè davanti ai miei occhi non appare lentamente l'antenna della stazione idrometeorologica. Finalmente sono in cima, la conca è davvero eccezionale, in fretta scatto tantissime foto, osservo la grandezza del Lago Laceno cresciuto in questo autunno e tento disperatamente di trovare campo con il mio cellulare. Sulla vetta il vento sferzava all'impazzata, il sole non riusciva a riscaldare e il sudore cominciava a "pietrificare" mentre il mio giubbino giaceva nella neve insieme allo zaino molti metri più in basso. Un momento "drammatico" diviso ancora una volta tra il dolore e la sofferenza causati dal vento freddo e la gioia di esser per la tredicesima volta in un anno in vetta. Uno sguardo tremante e malinconico verso l'anticima e il suo libro di vetta che rimarranno lontani per questa volta. Dopo un quarto d'ora riesco ad effettuare la telefonata e di corsa scendo dalle creste con grandi salti come un atleta di sci aplinsimo. Riprendo lo zaino e il giubbino, inzio a riscaldarmi e ritorno al punto dove avevo lasciato l'amico in difficoltà che nel frattempo aveva ripreso colore e riusciva a muovere un po le dita dei piedi. Per fortuna il sangue riprendeva a circolare e la temperatura corporea cominciava a ritornare stabile cosi che in quel momento positivo presi la situazione in mano e facendo coraggio al povero (ma disorganizzato) sventurato scendemmo rapidamente verso la valle.