mercoledì 27 agosto 2008

Cervialto "6"... "mio" 26-08-208

La 2 giorni alburnina è passata cosi in fretta che il giorno dopo la voglia di Montagna era ancora forte e il ricordo dell'Urto e del Figliolo erano cosi vivi che stare in casa è risultato davvero una tortura. Il lavoro mi ha preso tempo in questi giorni e la montagna ha aspettato, ed io in questi lunghi 10 giorni di "astinenza" mi sono "salvato" salendo di tanto in tanto a quote medie in auto ad osservare l'Accellica e i Picentini in generale.
Domenica purtroppo la tanto attesa escursione alla Tempa del Castello è saltata, il CAI ha ceduto il posto al dovere e cosi ieri, preso anche dalla frenesia di ritornare in alta quota "concludo" un'infrasettimanale eccellente al "mio" amatissimo Monte, quel monte che vi sta assillando in questa pagine. Bellizzi in questi giorni era "bollente" e le strade che tiravano verso Acerno ieri mattina erano cosi scorrevoli e piacevoli che anche il ritardo di 45 minuti dell'amico (anche se l'ho davvero odiato per un attimo : ) ) Eduardo alla fine è passato in secondo livello, sarà stata forse anche la saggezza di Vito a trattenermi.
Lago Laceno ci accoglie per l'ennesima volta (45° volta per me), la veste non è delle migliori, il tempo è si sereno ma non eccellente, qualche nuvola all'orizzonte. Montagna Grande ora è visibile ai miei occhi, è riconoscibile e il Cervialto dall'alto dei suoi 1809 metri già ci faceva assaggiare l'ebrezza dell'evento. Allora via verso la solita stradina di pianori e al Colle del Leone dove non sostiamo ma proseguiamo fino all'imbocco del 113. Il vento tra i rami, quela strada familiare e quella passeggiata cosi densa di significato. Come d'obbligo e da tradizione ci affacciamo a quella che noi chiamiamo "la torretta del bellizzese" e poi con passo deciso prendiamo fin sotto le creste e saliamo ancor più prepotentemente su quelle rocce dove alla vista della "casupola" alzo le braccia al cielo e indico il numero 6 con le mani. Ormai questo monte mi da la sensazione di conoscermi, mi trovo a mio agio e ogni volta che salgo ho sempre meno difficoltà nel salire e nell'approcciarmi a lui. Dalla stazione idrometereologica, invece di sostare come facciamo di solito, il passo è diretto verso il libro di vetta dove però prima di arrivare sul puntro trigonometrico troviamo tantissime percore e altrettanti cani. Eduardo il più esperto in materia cammina tranquillo domando gli animali da guardia, io e Vito restiamo più indietro ed aspettiamo il pastore. Al libro di vetta scambiamo qualche chiacchiera con Giuseppe di Calabritto (il pastore), ricordiamo vecchi episodi e inziamo a "banchettare" e fare brindisi con coca cola e girella alla nutella. Su quelle rocce ci riposiamo per diverso tempo ed io di tanto in tanto mi voltavo per cercare con lo sguardo il sentiero che scende verso la valle di Giamberardino per effettuare la salita dall'altro versante un giorno. Intuisco probabilmente l'innesto ma non ne sono sicuro e cosi in solitaria mi avvio verso le creste di Cervarulo e godo dello spettacolo dell'Eremita e dell'Altillo.
Le nuovle stavano per prendere il sopravvento, la termoconvettivià faceva il suo lavoro estivo e cosi decidiamo di scendere. Sotto le creste altra sosta sotto una piccola faggeta e a Filicecchio dove ascoltiamo per l'ennesima volta la "voce degli alberi" e con tutta tranquillità dopo aver riflettuto e dopo esserci rilassati ritorniamo al "campo base" soddisfatti e orgogliosi della nuova impresa.

sabato 16 agosto 2008

Due giorni tra gli Alburni: dall'Urto Falcone al Casone Aresta

La prima volta che il termine "Alburni" fu nominato da noi in maniera più decisa e convinta è stato quel fatidico giorno sul Cervialto dove per la prima volta a 1800 metri osservammo le creste nella loro imponenza. Da quel giorno si parlò di traversate, di semplici escursioni, di località, si iniziarono a studiare cartine e man mano che si parlava si sognava la vita montana. L'idea di dormire tra le "montagne del silenzio" sembrava un qualcosa di irrealizzabile non tanto per questioni logistiche ma perchè gli Alburni da tutti cantati e lodati sono anche conosciuti come montagne impervie e "terrificanti". Ma da Febbraio ad oggi è stata una lenta e lunga preparazione ai sentieri "calcarei". Il Vuccolo dell'Arena prima, il Panormo poi, il La Nuda e finalmente la spedizione inizia a considerare seriamente l'impresa. Il 13 mattina io, Federico e Lello preparati psicologicamente da una settimana decidiamo di tentare questa sorta di traversata con un programma ben preciso e definito che ci permetterà di visitare tante cime e tante località a noi ancora sconosciute. La spedizione è "armata" fino ai denti, ogni zaino pesa sui 50 kg e con noi abbiamo tutta l'attrezzatura necessaria. I viveri sono stati studiati a tavolino, abbiamo con noi scatolame vario, panini, 4 l d'acqua a testa, cornetti e zuccheri vari, pasta per il secondo giorno. Dal punto di vista tecnico invece torce frontali, scarpe da trekking, materassini per la notte, tenda divisa tra i tre membri, corda, pronto soccorso, bussola, cartina, moschettoni, maglione pesante, crema solare e tant'altro ancora. Siamo decisamente pronti e alle 6.30 partiamo da Bellizzi in direzione Ottati verso il Rifugio Panormo. Prima di arrivare ad Ottati però ci fermiamo per un attimo alla splendida fontana di Postiglione per prendere un sorso d'acqua e rilassarci prima del grande evento. Dopo la sosta alla fontana ultima fermata ad un bar nel paese di Ottati per un ultimo caffè "cittadino" e poi dritti verso quegli 11 km di strada che conducono ai Pianori del Rifugio Panormo. La strada sembrava scorrere più del solito e lo spettacolo era davvero supremo, il cielo azzurro e nitido e dalla località Timpa del Prato si notavano tutte le creste ed in lontananza il mare che faceva un tutt'uno con il cielo. Una giornata che dava la carica già da subito e quindi consapevoli di aver scelto un giorno "interessante" continuiamo a guidare fino al Vuccolo della Carità e da qui verso il Rifugio Panormo dove posiamo l'auto e ci carichiamo per iniziare la "passeggiata". La direzione del primo giorno è all'interno del bosco di Ottati per raggiungere il Monte Urto Falcone mai esplorato da noi fin ora. Passiamo dal Rifugio per avere alcune informazioni e dal Rifugio prendiamo la strada al fianco dei Pozzi Farina che ci conducono alle prime radure. Dalle prime radure il passo è breve verso la prima deviazione che su per la montagna prendendo il S.I. (sentiero Italia) conduce al Vuccolo dell'arena e dritto alla Fonte di Lauro Fuso. Ovviamente consci della nostra meta giriamo per il Sentiero Italia e da li in circa quindici minuti, soffrendo leggermente per il peso dello zaino giungiamo al Vuccolo dell'Arena a 1526 m di quota. Al Vuccolo ci prendiamo una piccola sosta, il tempo di bere un sorso d'acqua e di mangiare un piccolo cornettino per poi riprendere subito in direzione dei Pozzi del Secchietiello. Ovviamente la giornata era appena iniziata e noi prima di arrivare a destinazione decidiamo di prendere un'altra deviazione scendendo verso le sette votate per conoscere una parte di sentiero verso Sicignano che non avevamo ancora esplorato e poi tornando indietro su un punto scoperto che svettava tra le lame del Vuccolo e la piana sottostante. Da questa loggetta, da questo belvedere scendiamo ben presto dopo aver scattato qualche foto e riprendiamo il sentiero all'interno del bosco fino ad arrivare in una radura principio di inghiottitoio che dapprima aggirata e poi attraversata ci conduce in un punto scoperto dal quale si notano svettanti le creste dolci del Tirone e quelle impervie e prepotenti del Monte Urto Falcone, nostra prossima meta. Da questo punto scoperto lasciamo il sentiero per un po camminando per creste tra alcune felcete costellate da ciuffi di origano e poi puntando di nuovo nel bosco cerchiamo di ricondurci alla mulattiera che da cartina dovrebbe condurci ai pozzi del Secchietiello. Per un attimo continuiamo nei nostri fuori pista, saliamo sulle creste e riscendiamo nel fitto del bosco fin quando ad un certo punto incrociamo un altro sentiero (probabilmente proveniente dal rifugio Varroncelli) e dopo questa deviazione giungiamo finalmente ai Pozzi del Secchietiello. Ai Pozzi incontriamo alcuni escursionisti di Battipaglia con i quali scambiamo qualche chiacchiera e tra una parola e l'altra decidiamo di sederci sotto uno splendido faggio ed ammiriamo il paesaggio rustico ed uno spettacolare albero secco che domina la radura. La chiacchierata è molto piacevole, si discute sui vari sentieri, sulla passione per la montagne e sulle mucche che di tanto in tanto venivano a farci visita. Il posto era davvero molto fresco, considerato il peso degli zaini ed il sole molti avrebbero preferito rimanere fermi, ma il tempo passava e cosi di colpo ci alziamo e riprendiamo il cammino. L'idea iniziale era quella di salire direttamente dalla radura prima del Secchietiello in direzione del Tirone, ma poi decisi ad esplorare di più la zona proseguiamo in un altro bosco seguendo il sentiero del CAI. Camminiamo per molto tempo salendo di pochissimo, si procede quasi sempre in piano tra faggi e qualche quercia e solo ogni tanto il sentiero dava l'impressione di prendere subito quota verso l'Urto Falcone ma non era cosi. Passa un'ora ed oltrepassiamo un campo di rocce calcaree alte e spettacolari finchè ci rendiamo conto di essere andati oltre e ci fermiamo per dare uno sguardo alla cartina. Effettivamente avevamo camminato troppo e i sentieri ci avevano condotto dopo le Rupe Ferinte sotto la Spina dell'Asino. Un po di sconforto ci prende, volevamo l'Urto Falcone e sembrava impossibile conquistarlo, ma in ogni caso ora bisogna tornare indietro e cosi riprendendo la strada verso il basso torniamo nella radura del Secchietiello. Il tempo scorreva, erano già le 12.50 e noi eravamo consapevoli che il nostro ritorno era obbligato alla Fonte di Lauro Fuso cosi decidiamo in base al sole il da farsi e la decisione non tarda ad arrivare. Dal Secchietiello si taglia ad azimut sul crinale in direzione del Monte Tirone e cosi facendo passando per il bosco e per le felci giungiamo sui gradoni di roccia. Da questi gradoni proseguiamo puntando ad occhio il Tirone finchè troviamo delle tracce di sentiero, ci riconduciamo ad esso e in breve tempo giungiamo al Varco del Tirone a 1452 m e al sentiero che porta a Sicignano. Dal Varco sempre ad azimut via verso la cima e cercando in tutti i modi di evitare le rocce più alte in altri quindici minuti riusciamo nel tentativo di conquistare il Monte Tirone. Al Tirone (1556m) la sosta è d'obbligo come le foto di rito e lo spettacolo della vallata e del mare è davvero impressionante. Alle 13.30 un sole splendente e umidità inesistente permettevano di far vedere ad occhio nudo i monti più lontani e la costiera amalfitana, un angolo di paradiso espostissimo che usiamo per rilassarci e per consumare un panino e bere l'ultima acqua dei primi due litri. Gli zaini ci avevano piegato le spalle ed era ora di svuotarli leggermente, il sole picchiava forte su di noi e il tempo continuava a scorrere ma l'Urto Falcone sembrava più vicino nella sua possenza e in me e Federico regnava comunque la voglia di raggiungere l'obiettivo che ci eravamo prefissati. Purtroppo in questi casi bisogna essere lucidi e soprattuto coscienziosi al tal punto da saper rinunciare ai propri desideri, ma quella vetta era li a portata di mano e cosi chiediamo a Lello di aspettarci sul Tirone mentre noi a passo svelto tentavamo di raggiungere l'Urto. L'escursione inizia a prendere una piega decisamente più "ardita", tra uno sguardo all'orologio e uno alle creste la tensione "sale" ma bisogna farcela e dopo circa dieci minuti giungiamo sulla prima cresta a quota 1551, mancano ancora 100 metri di dislivello ed un'altra cresta che ci porta ai 1584 da dove svetta il temibile Urto Falcone. Dalla seconda vetta non riusciamo ad identificare una via per salire di quota, le rocce sono lisce ed alte, sembra non esservi nessun varco eppure da qualche parte si dovrà pur salire. Pensiamo di posare gli zaini e continuare dritto per aggirare l'ostacolo ma il sole iniziava a calare (seppur di pochissimo dato che siamo alle 14.30) e noi avevamo il pensiero a Lauro Fuso, cosi determinatissimi ci arrampichiamo in alcuni tratti dove uscivano degli appigli sicuri e con uno sforzo non indifferente saliamo un dislivello di circa 100 metri in poco tempo e finalmente siamo in vetta all'Urto Falcone (1661 m). Soddisfazione immensa e grande gioia, l'altra vetta è conquistata, gli obiettivi della giornata sono stati marcati con il "visto", ma adesso è ora di scendere in fretta e di riprendere via verso il Vuccolo dell'Arena. La discesa è ardua, cerchiamo gli stessi punti di prima ma non li troviamo e cosi discendiamo da una parete più pendente della precedente voltandoci di spalle e appoggiando il corpo sulle lame calcaree scendendo con le gambe per trovare appoggi. Dopo alcuni minuti finalmente siamo ai piedi del bastione e in men che non si dica giungiamo di nuovo al Varco del Tirone da dove tirando per il bosco arriviamo ai Pozzi e riprendiamo il sentiero. Ancora una volta i segni "tentano" di portarci in altro "loco" ed infatti per alcuni metri proseguiamo verso Varroncelli, ma subito ci rendiamo conto che non è la strada giusta e ritorniamo ad un grande Faggio preso come punto di riferimento e saliamo sulle creste di nuovo tra le felci. Dalle felci ancora ad occhio verso il Vuccolo dell'Arena, fino ad un punto oltrepassato la mattina che si estende su un crinale dove a farla da padrone è un albero di quercia. Riconosco subito il punto e ricordo alla perfezione come l'avevamo raggiunto e in questo istante puntiamo nella radura e nel bosco dove finalmente passando al fianco di un inghiottitoio ritroviamo il sentiero CAI e in circa venti minuti giungiamo al Vuccolo dell'Arena dove ri-sostiamo. Ancora un sorso d'acqua e un morso ai cornetti per poi proseguire in direzione opposta al sentiero che conduce alla cima del Panormo verso la deviazione del sentiero Italia. Dal bivio questa volta prendiamo nella prima radura che apre al sentiero di Lauro Fuso e cominciamo a camminare molto stanchi in questi pianori tra faggi altissimi e alcune doline. Si aprono diverse radure e diversi pianori finchè in un tratto si entra nel fitto del bosco per evitare una mulattiera e nel bosco oltrepassato un guado fangoso e pieno di insetti giungiamo ad un cartello che ci indica Lauro Fuso a venti minuti. La stanchezza si faceva sentire sempre di più ma ormai il punto principale era quasi raggiunto ed infatti (nonostante i 20 minuti del cartello) in cinque minuti siamo alla vallata e alla Fontana di Lauro Fuso a 1372 m. In un primo istante da lontano notiamo solo la vasca ma non sentiamo e non vediamo acqua che scorre, ci prende un po il "panico" ma man mano che ci avvicinavamo sentivamo il rumore e arrivati a destinazione vediamo anche un sottilissimo ma utilissimo filo d'acqua. Il primo giorno giunge quasi al termine e noi dobbiamo porre il nostro campo base in questa radura. Riempiamo con molta lentezza (per via dell'acqua lenta) le nostre bottiglie e ovviamente ci sciacquiamo e laviamo la faccia e le mani. Federico inizia a preparare il terreno per porre la tenda, Lello prepara il cerchio di pietre e i rametti per accendere il fuoco ed io giro per la radura a cercare ceppi secchi e ideali per trascorrere in tranquillità la nottata davanti al nostro "falò". Fortunatamente il terreno per la tenda è ideale e Federico impiega pochissimo a montarla, la legna secca è presente a quantità industriali e con lo stratagemma (idea Federico) della barella di legno riusciamo a trasportare tantissimi rami in pochissimo tempo al "cerchio di pietre". Lello rapidamente accende il fuoco e per la prima ora si impegna ad alimentarlo mentre noi continuiamo a portare materiale da combustione nei pressi della "base".
La notte stava per scendere a Lauro Fuso, alcune mucche si avvicinano alla vasca prosciugandola e noi accendiamo le torce frontali e ci sdraiamo intorno alla "legna" a guardare il cielo stellato mentre la luna illuminava parte dalla radura e Federico ci "dilettava" con frasi di Nietzsche sulle virtù e gli ideali dell'uomo. Quando la Luna si allontana dalla vallata, il cielo diventa più scuro e le stelle si moltiplicano, Lello si reca in tenda e noi due continuiamo ad alimentare il fuoco e a parlare finchè presi dal sonno e soprattutto presi dal pensiero del giorno dopo decidiamo di andare a dormire ma prima però costruiamo un altro cerchio di pietre attorno al primo, molto più ampio e robusto in modo da poter bruciare tutta la legna e restare sicuro per la notte. Il primo giorno quindi volge al termine con 7 ore e 15 minuti di camminata effettiva 815 metri di dislivello in salita e 795 m in discesa ad una velocità media ascensionale di 6 minuti al metro sia in ascesa che discesa.
La notte in tenda non è certamente delle migliori, si sta freschi ma strettissimi, i sacchi a pelo sono ingombranti e il terreno ovviamente non è un materasso, d'altronde è la prima volta che dormiamo cosi ed è normale che avessimo qualche problemino nell'adattarci. Ogni tanto sentivamo qualche rumore di rami che si rompevano e il verso di civette e gufi che solo di notte fanno ascoltare il loro canto, ma noi eravamo tranquilli e per diverso tempo ci ha fatto compagnia anche il rumore dei campanacci della mucche che probabilmente si erano fermate nei pressi del Lauro Fuso. Quando prendevamo un po di sonno subito ci risvegliavamo ed io cercavo di scorgere dalla tenda sempre un raggio di sole pronto ad immortalare l'alba degli Alburni che ancora manca alla mia collezione. Il pensiero della giornata trascorsa, la voglia di continuare il giorno dopo e la passione immensa per la natura mi portano a svegliarmi alle 5.10 con forse due ore di sonno e dopo aver messo le scarpe ed indossato il pantaloncino corto mi reco al fuoco ormai spento per riaccenderlo e ridare calore alla vallata. L'aria è fresca, non c'è affatto umidità, la fontana è sempre "dormiente" e il sole iniziava ad illuminare leggermente le cime calcaree, ma la scena più suggestiva per me rimane quella del fuoco che si alza verso il cielo azzurro come a cercare di risvegliarlo e di dare il buongiorno alla spedizione. Alle 7.15 siamo tutti in piedi, è l'ora della colazione che ognuno di noi fa a modo suo. Federico prepara il latte di Soia, Lello mangia qualche fetta di torta e prepara il caffè, io (a prima mattina come si suol dire) preparo un saltimbocca alla brace con una scatoletta di tonno ed in un attimo siamo tutti svegli e pimpanti, almeno all'apparenza. Alle 8.30 iniziamo a smontare il campo base, la tenda è ormai un ricordo, gli zaini sono quasi pieni e l'acqua è di nuovo tornata ai 4 litri iniziali, il sole ormai era prepotente sulla montagna e le mucche di nuovo alla vasca, mentre le api iniziavano a svolazzare sui fiori spinosi della radura. La compagnia è nuovamente pronta per proseguire l'avventura, questa volta invece di seguire la cosiddetta "alta via della Creste" il sentiero ci propone l' "alta via degli altipiani" ed infatti verso il prossimo obiettivo ossia il Casone Aresta il dislivello resterà pressoché costane portandoci solamente 200 metri più in basso con un percorso lunghissimo. Da Lauro Fuso in direzione Pedata della Lepre nel bosco di faggi polveroso e secco, oltrepassiamo diversi inghiottitoi carsici ed alcuni sono anche recintati per evitare danni al bestiame. Uno di questi gravi è davvero impressionante, profondissimo, lanciamo una pietra e non sentiamo nemmeno toccare il fondo ma la ascoltiamo rotolare per circa otto secondi. Il sentiero è davvero facile con alcuni sali e scendi che a volte si aprono in piccoli pianori finchè la strada non ritorna sulla mulattiera-carria principale che dopo circa un'ora e quaranta minuti ci conduce in una splendida pianura al ridosso di alcuni bastioni roccioso probabilmente al disotto del bosco labirinto degli Scanni di Petina. Un pozzo in muratura ed una vasca prima di un bivio e dopo un bosco pulito e caratteristico ci indica che siamo giunti alla Pedata della Lepre e qui in questo posto magico ci riposiamo al fresco degli alberi per circa cinque minuti prima di proseguire in direzione del Casone Aresta. L'aria è ancora limpida, lo scenario suggestivo e le forza mano mano ritornavano ad essere quelle iniziale ovviamente con un po di brillantezza in meno. Dalla Pedata della Lepre la strada è ancora in pianura, si lascia di nuovo la carraia e si entra in un altro bosco dove oltrepassando due rocce a destra e sinsitra della strada come una sorta di porta di una cinta muraria giungiamo ad un bivio. Da questo punto sentiamo un campanile e affacciandoci notiamo l'abitato di Petina, siamo sotto gli Scanni ed esattamente alla deviaizone che parte sulla sinistra del sentiero principale che conduce a Petina , esattamente al Km 12 della strada per Sicignano nei pressi del fontanile. Ma a noi quella deviazione non interessa ed infatti con un po di attenzione notiamo un'altra strada che proseguiamo (al ritorno la segnaleremo anche con un pennarello rosso). Questa strada in poco tempo porta ad un piccolo belvedere raggiungibile tirando verso le creste ad occhio e da questo angolo notiamo il Figliolo in lontananza e capiamo che non abbiamo scelto la via diretta per gli altipiani ma non fa niente dato che questa cima rientrava nel nostro programma. Scendiamo dal belvedere e continuiamo nel bosco, la strada inizia a scendere finchè troviamo due cartelli indicanti la scritta AVCA ossia Alta via del Cervati e degli Alburni una traversata stupenda. Dai cartelli le deviazioni sono due e per il primo momento prendiamo quella a sinistra capendo subito che ci avrebbe condotto dietro le bastionate del monte Figliolo di Petina. Ed infatti dopo solo due minuti si giunge ad un recinto di filo spinato superabile con una scaletta e ad un cartello che oltre ad indicare il nome della vetta segna la presenza di pareti "alpinistiche attrezzate". Siamo ovviamente senza imbragature e attrezzatura da scalatori ma vogliamo ugualmente raggiungere la vetta e cosi aggiurando gli ostacoli rocciosi giungiamo ad un valico molto appeso. Posiamo gli zaini giù e proseguiamo arrampicandoci nel vero senso della parola tra le rocce finchè dopo alcuni sforzi siamo allo scoperto e da questo punto notiamo la vetta segnata da una statuetta della Madonna. Raggiungere la vetta esatta ora è più difficoltoso, la parete è esposta a destra e sinistra e sotto di noi c'è praticamente i vuoto; a carponi e con molta attenzione mettiamo le mani ed i piedi nei punti giusti e raggiungiamo la statuetta, ci sediamo e osserviamo il panorama eccelso ed incontrastato di una vetta che dall'alto dei suoi apparentemente pochi 1291 metri regala una visuale da paura. Il ritorno è effettuato con tantissima prudenza e finalmente dopo aver attaraversato di nuovo la gola delle rocce che sembrano instabili scalata all'andata ritorniamo alla partenza e da qui proseguiamo verso l'Aresta.Prima di ripartire però ci soffermiamo su una rupe soprannominata da noi "la rupe del senza sangue" per una vecchia storia di alcune fotografie di Lello scattate 20 anni fa.
Ritornando sul percorso si incontrano altre cime ed è forse qui che nasce la confusione con il locali che ancora oggi non sanno definire quale sia il Figliolo e quale il Figlioletto ma sinceramente per noi questo ha poco conto ed invece di perderci in disputa inutili continuiamo la nostra avventura. Ritorniamo sulla mulattiera e finalmente dai pianori spunta la cupola del Casone Aresta ma è ancora abbastanza lontana; si rientra nel bosco e si supera una vecchia teleferica per il trasporto del legno e del carbone, si rientre nei pianori scoperti tra rocce e cavalli allo stato brado e dopo aver superato collinette e doline finalmente giungiamo all'osservatorio astonomico dell' Aresta a 1160 metri di quota. La soddisfazione è massima, gli altipiani sono stati dominati ed omrai è l'ora del pranzo che consumiamo stanchi e sporchi sotto la struttura del Casone al fresco e all'ombra. La spdizione a questo punto ha come solo obiettivo il ritorno, ma il sole è cocente ed i ritorni sono sempre i più fastidiosi. Federico prepara pasta e fagioli con il suo fornellino e dopo aver pranzato e riposato sui materassini alle 14.15 si riparte nella stessa direzione. Ora la fatica si fa sentire davvero, i chilometri percorso sono tanti ed il sole non ci è d'aiuto, l'acqua sta quasi per terminare ma ne abbiamo ancora per il ritorno almeno fino a Lauro Fuso ed in ogni caso il "peggio" è passato. Attraversiamo gli altipiani con lentezza e puntando alla vista del Figliolo e del Panormo ripercorriamo le stesse strade e gli stessi boschi fino a Lauro Fuso. Alla fontana però questa volta le mucche non ne vogliono sapere di spostarsi e cosi non riusciamo a riempire le bottiglie e neanche le borracce e l'unica acqua a disposizione è la "Fonte di Lello Fuso" ossia la borraccia rossa in alluminio che ci ha allietato con il suo rumore per tutto il viaggio. Da Lauro Fuso è un passo trionfante vero il Rifugio Panormo dove nel pianoro al fianco dell'auto ci gettiamo esausti per terra e ci rechiamo dopo poco al ristorante per prendere una bibita fresca. Dopo la bibita carichiamo le auto e partiamo verso casa pieni di soddisfazione e pieni di orgoglio per la nostra impresa. La seconda giornata finisce con 5 ore e 50 minuti di cammino, 620 metri di dislivello in discesa e 710 metri in salita con una media ascensionale di 5 minuti all'ora in salita e 6 in discesa.
La traversata è finita, gli Alburni ci salutano ed anche il mare dall'alto ci dona l'ultimo sorriso con uno spettacolo superbo dell'Isola di Capri che dal mare spunta come fosse vicinissima alle nostre amate vette.

Un ringraziamento a Lello, a Federico e ad Angelo (cioè io) per l'impresa di questa fantastica due giorni che rimarrà per sempre nelle nostre menti.

lunedì 11 agosto 2008

Piano Laceno - Montagna Grande - Vallone Raiamagra - Piano Laceno

Una giornata secca e limpida si delinea all'orizzonte e come d'obbligo in questi casi, ci discostiamo dall'appuntamento originiale per arrivare al punto di partenza in anticipo e godersi la giornata. Al piano Laceno la situazione è delle più tranquille e piacevoli, il sole batte sul circuito ma non si sente, un grecale "allegro" spazza via nuvole e rende l'aria freddina e un cielo azzurrissimo ci da il benvenuto. Posiamo le macchine lontane dalla partenza alla Cappella di Santa Nesta, siamo distanti circa 2 km e mezzo dal ritrovo ma come da "quinquennale tradizione" preferiamo camminare ma non perdereci la bevuta alla fontana della Tronola con annessa mini escursione prima dell'avventura grande.
Dalla fontana ci incamminiamo a piedi sull'anello che d'apprima passa per l'Hotel Cervialto e poi continuando su rettilineo, evitando il bivio per gli impianti di risalita ci porta alla cappella. Alla cappella posiamo gli zaini, ci sediamo lungo l gradinate ai piedi di freschi abeti che ci "culleranno" in attesa della compagnia del CAI di Salerno. Durante l'attesa ascoltiamo in lontananza un muggito possente dal bosco e dopo qualche istante una mucca dietro la chiesetta fa capolino muggendo sempre più forte. Per alcuni istanti non riusciamo a decifrare la situazione , ma quei richiami diventavano sempre più forti finchè dall'altopiano Laceno non si ode una risposta di un altro muggito. Passano due, tre minuti e dall'altra parte della strada un vitellino sbuca e "urla" in attesa di una risposta e dopo poco si riunisce alla mamma per la "poppata quotidiana". Una scena davvero emozionante, e vi assicuro che dal vivo fa davvero uno strano effetto e ti da la piena coscienza di come la natura animale sia grande e simile alla nostra.
Nel frattempo arriva il resto della compagnia e dopo la conta dei membri si parte in direzione del bosco, alle spalle di Santa Nesta e si comincia in pendenza il sentiero tra i Faggi che oltrepassando un canalone ci conduce all'interno della montagna sotto le Ripe del Moggio. La vegetazione è molto fresca, è l'ideale camminare all'interno di questi boschi in estate, e la luce è ideale per rilassare occhi e spirito dato che il sole riflettendo sulle foglie verdi creava un effetto "pacificante" a armonioso. Il sentiero non è segnalato, occorre una guida per poter raggiungere la destinazione anche se oltrepassato il primo boschetto e alcune radure e giungendo in località Vallepiana, un pianoro tra i faggi, la strada si congiunge al nuovo sentiero CAI 137, quello che da Colle Molella porta direttamente al Colle del Leone. Ovviamente uscendo dai primi tratti boscosi per congiungerci a questo sentiero la direzione è obbligata verso il colle del Leone e per molto tempo tra faggi e agrifogli seguiamo le tracce di questa carraia che solo ogni tanto si perdono per alcune stradine di terra caratterizzate da tappti di foglie secche. Ma ad un certo punto il sentiero che prosegue viene lasciato a se stesso per deviare dritti in un bosco e prendere quota più rapidamente. La fitta vegetazione ci impone ogni tanto di abbassarci e di aggrapparci a qualche ramo, ma ormai lo sforzo è quasi al termine e oltrepassando "praterie" di origano di montagna finalmente usciamo allo scoperto su una piccola dorsale formata da piccole rocce e da erba secca. Siamo a Montagna Grande a quota 1508 m e da questa vetta delimitata dal fitto bosco dal quale non è possibile vedere in basso, si notano però tutte le cime maggiori e cosi spicca incontrastato ad Ovest il Monte Raiamagra con tutta la sua dorsale e verso Sud il Monte Cervialto dalla quale posizione è possibile notare anche la valle di Giamberardino. Sul Raiamagra inoltre si nota la pista da sci nordica e il vallone che delimita la nostra cima dalla quta 1667 dell vetta Raiamagra.
Sostiamo per un'oretta sotto un cerro solitario e dopo aver mangiato e scambiato qualche chiacchiera amichevole riprendiamo la discesa verso la deviazione che ci riporta sul sentiero 137. A questo punto invece di ritornare indietro continuiamo verso il monte delle piste d'apprima spuntando su un belvedere "detto" la "loggetta del Raiamagra" dal quale è possibile vedere Sassosano e il Monte Accellica e poi ritornando sul sentiero verso il Colle del Sagrestano a metà della pista da sci nordica. Al colle del Sagrestano altra piccola sosta per poi proseguire in direzione del vallone Raiamagra costeggiandolo per lungo tempo per poi lasciarlo nel finale onde evitare di uscire sotto gli impianti di risalita e "approdare" nel vallone di fronte l'hotel Grisone. Al parcheggio dell'Hotel salutiamo la compagnia ed io e l'amico Federico continuiamo a camminar per strada prima raggiungendo il parco giochi di Lacenolandia e poi sul circuito di nuovo per arrivare alle nostre auto dopo atlri 3 km. La giornata che sembrava volgere al termine non era affato finita ed infatti svestiti dai panni di escursionisti dalle auto prendiamo le bici da corsa e completiamo 30 km intorno al Lago. In realtà l'obiettivo erano almeno 60 km ma una foratura e la mancanza dell'attrezzatura di ricambio ci hanno impedito di proseguire nella nostra "impresa". In ogni caso la prendiamo con "allegra filosofia" e conludiamo la giornata alle 18.15 con un caffè, una coca-cola e un gelato.

martedì 5 agosto 2008

Cervialto... stento a crederci ma sono 5

Ebbene si carissimi lettori, stento a crederci perchè solo 11 mesi fa ci salii per la prima volta. Inoltre stento a crederci perchè fu proprio quella prima volta il 16 Settembre 2007 che pronuncia la famosa frase: "questa è l'ultima volta". La paura per la disavventura nel finale, il pensiero dell'essersi allontanati da sentieri e ritrovarsi in posti lontani dalla meta immersi nel bosco senza avere indicazioni precise mi fecero pensare che la mia storia con l'escursionismo stava per volgere al termine. Eppure, oggi non è passato neanche un anno ed è la mia quinta volta su questo Monte. Un controsenso all'apparenza, ma in realtà un approccio alla vita in montagna che è stato reso più forte dal Cervialto che è stata la prova ufficiale alle mie passeggiate in compagnia di amici che volevano affrontare i primi passi in questo fantastico "sport".
Stavolta non siamo i soliti e finalmente con me Vincenzo e Vito i "due del Raiamagra" , coloro i quali sono saliti chi per due volte e chi per una su quel Monte ma non hanno potuto assaporare la vera ebrezza della Montagna. Cosi, con il pensiero rivolto al come approcciare il sentiero e come caricare una compagnia "nuova" ci rechiamo verso il Lago Laceno, dove dopo la solita colazione rituale ci rechiamo al solito "Colle del Leone" e posiamo l'auto esattamente nel solito posto tra i due faggi nello spiazale adiacente al sentiero 114. I due nuovi "colleghi" sono ben determinati ed equipaggiati al punto giusto, anche se io per sicurezza riempio il mio 70 l per affrontare la salita con tutta la cautla del caso.
La strada inizia a salire e subito mi rendo conto che gli amici hanno davvero un ottimo passo e senza dir loro niente ogni tanto mi metto in testa a fare un po di andatura e con mio grande stupore noto la loro agilità e la loro possenza nello scandire i passi. Solo poche volte si sentono i fiati "spezzati", eppure è la loro prima volta su un sentiero lungo. Ovviamente l'entusiasmo è alto, Vito l'amante del verde è estasiato e Vincenzo scandisce il ritmo sicuro di se e pronto a conquistare la vetta. La sosta è d'obbligo al "belvedere" sul Piano l'Acernese ed oggi lo è ancora di più per via di un cielo terso e azzurro che ci ha regalato uno scorcio paradisiaco. I lamponi uscivano numerosissimi dalle piantine sottostanti e cntinaia di more verdi fagevano gustare i sapori della tarda estate. La sosta fotografica finisce e noi ci avviamo verso la salita e ad un bivio testo la compagnia dopo aver spiegato loro la sntieristica del CAI. Ovviamente non sono ancora abiutati a scorgere le bandierine bianco-rosse ma dopo un po scelgono la strada giusta ed io avallo la loro decisione. A Filicecchio, in una fresca e verdissima faggeta l'ennesima "solita" sosta, seduti su dei massi ad assaporare l'aria dolce e frizzante e a guardare il cielo turchese. Un mandriano ci saluta e si ferma a chiacchierare con noi e ci da qualche consiglio e qualche indicazione, ma appena sa che per me è la mia quinta volta esclama sorridente: "ah, allora andate tranquilli!" . Ricambiamo la cortesia indicandogli il posto dove avevamo incontrato due mucche che a quanto abbiamo capito stava cercando dalla mattina.
Si continua su per le rampe fino alla prima curva scoperta dove è doverosa la citazione e lo sguardo al Polveracchio e poi proseguiamo ancora decisi nella faggeta più alta e spettacolare del Cervialto, resa meno fitta dagli arbusti che già stanno perdendo le foglie. Alcuni tornanti ancora e finalmente giungiamo alla base delle creste finali. D'apprima noto un po di apprensione, soprattutto da parte di Vito che pensa alla discesa, ma subito mi metto in testa e do la carica trovando un bastone ideale a Vito e cedendo uno dei miei bastoncini a Vincenzo. Inizia la "scalata" alle creste. Il sole picchiava ma l'aria era perfetta, la fatica in alcuni si notava ma lo sforzo era continuo e determinato; solo ogni tanto una piccola pausa "foto". Oggi l'Accellica svettava davvero incontrastata slanciata nel cielo azzurro e tutti gli altri monti intorno non erano da meno, ma la sensazione più forte la davano gli Alburni e la cima del Cervati.
Superato il primo tratto di cresta annuncio un po di pianura e subito vengo "deriso" per aver definito cosi una piccola lingua di terra di circa 20 metri, ma lo scherzo finisce ben presto perchè davanti c'è l'ultima rampa. Pian piano da qui si scorgeva l'antenna della "casetta" in vetta e mano mano si faceva sempre più vicina e la fatica si alleviava. Sono le 11.00 e noi siamo in cima dopo solo 2 ore e 30 comprese le varie soste. La conca è per l'ennesima volta di un colore diverso, l'erba non è ancora secca, anzi, e le creste sono ancora verdi e non gialle come l'anno scorso. Il punto trigonometrico si vede già in lontananza ed ho solo il tempo di togliermi la maglia che la compagnia decide di proseguire e non fermarsi, in direzione del libro di vetta. Una scelta che condivido e passeggiando sulle creste in poco tempo giungiamo alla struttura metallica che subito scalo per godermi il panorama. Dei cani di pecora ci vedono dalla valle e cominciano ad abbaiare ma il pastore li richiama all'ordine e con tutte le pecore viene verso di noi e scambiamo qualche chiacchiera. Racconta della sua vita, del suo lavoro, delle varie montagne e del suo pascolo e noi accettiamo la compagnia e discutiamo di sentieri e località finchè dopo circa mezz'ora il lavoro chiama e noi ritorniamo sul punto trigonometrico. Firmiamo il libro di vetta e lasciamo il resoconto della giornata per poi dedicarci di nuovo al panorama.
La discesa è veloce, anche se nel primo tratto ci sono alcune difficoltà per Vito, ma le supererà eccelsamente. Discesa con poche soste, se non a Filicecchio per ri-godere della faggeta e poi "finalmente" giù al Piano Laceno dove una bibita fresca e un caffè faranno da "spartiacque" tra la prima parte della giornata e la seconda.

lunedì 4 agosto 2008

Bardiglia - Cima Polveracchio 1790 m

Giornata divertentissima e didattica quella di ieri. Finalmente dopo aver parlato tantissime volte del CAI ci siamo decisi a tesserarci e ad affrontare la prima escursione insieme. Da Bardiglia al Monte Polveracchio per un dislivello totale di circa 1000 metri, un giro di difficoltà media sulla carta che per molti (anche del nostro gruppo) è risultato "arduo". Questa volta l'appuntamento è ad Acerno alle ore 8.30 per il raduno e dopo esserci compattati ci siamo diretti alla volta di Bardiglia in auto. Passaggio per "capocasale" e la "Madonna delle Grazie" fino al Ponte Pinzarrino per poi deviare dopo alcuni metri sulla destra verso le aree Pic Nic di Bardiglia. Arrivati al raduno principale posiamo le auto e ci riuniamo alla sbarra prima della sorgente per la conta e doop le istruzioni dei direttori di escursione finalmente si parte.
Andatura sostenuta, un passo che a me sinceramente piace molto e il gruppo che cammina in una lunga fila indiana nel bel mezzo del bosco. All'inizi si prende il alla sinistra della sbarra per un sentiero tra gradoni delimitati da passamani in legno in forte pendenza e subito dopo inizia un passaggio ancora in salita molto suggestivo all'interno della vegetazione del massiccio. Oltrepassiamo alcuni tratti con rocce-dolmen sulla sinsitra mentre sulla destra spettacolari valloni scendevano verso Bardiglia. Dopo circa 30 minuti di cammino il sentiero prende una piega sulla sinistra e inzia una piccola carraia che scende per almeno un centinaio di metri fino a raggiungere una piccola radura dalla quale voltando sulla sinistra è possibile raggiungere la "Sorgente del Savuco" a quota 920 m. Ed è ovvio che la "compagnia" si rechi a visitare questa sorgente e a rinfrescarsi idee e corpo. Il getto d'acqua è davvero impressionante e dalla roccia esce con tutta la sua possenza rifersandosi nel terreno. Davvero un toccasana in queste giornate calde e umide e davvero una soddisfazione enorme considerando gli allarmi di siccità che in questi anni venivano emanati da Protezione Civile e Forestale.
Dopo una lunga sosta al Savuco, riprendiamo il cammino costeggiando un vallone e proseguendo per questo vallone saliamo man mano di quota in un sentiero impervio con rocce d'apprima e con un tappeto di foglie altissimo poi, fino a raggiungere un'altra faggeta, non più "sparsa" come quella inziale ma molto più ordinata e con un sentiero che oltre ad aumentare di pendenza si allargava regalandoci un passaggio agevole. Camminiamo quindi costeggiando la montagna e affrontando continui tornanti finchè ad un certo punto la mulattiera prosegue ma il sentiero prende un'altra piega. Nuova sosta quindi e poi dritti ancora sul sentiero 7 , però questa volta all'interno di una faggeta molto fitta che sale in pendenza. Le tracce di mulattiere e carraie qui si perdono e rimangono solo i solchi dei precedenti passaggi che protano tra un albero e l'altro a salire di quota. Arrivati a circa 1700 metri il sentiero si infittisce ancora di più per poi dopo circa altri 60 metri di dislivello aprirsi in una radura caratteristica situata a pochissimi passi dalla vetta. Ormai notiamo il cielo dietro gli alberi già da parecchio ma in questo momento è davvero vicino e quindi risalendo ancora il crinale giungiamo allo scoperto su un costone erboso dal quale a soli venti metri si erge una Croce che delimita la vetta del Polveracchio. Siamo in cima e come ogni cima lo spettacolo è mozzafiato ma il tutto è contornato dalla gioia di aver concluso una scalata in compagnia e dall'emozione di osservare una vetta ancora a me sconosciuta.
Il Polveracchio ricorda, almeno nella parte sommitale, per alcuni versi il Raiamagra, con rocce di una carraia e un costone da un lato scoperto e dall'altro delimitato da arbusti dal fusto medio. Basta fare quattro passi però per rendersi conto della differenza e per osservare come questa vetta sia caratterizzata da un crinale lunghissimo che si estende da Campagna a Senerchia e Calabritto creando una suggestiva "passeggiata panoramica". Inoltre camminando per un po in direzione dell' Eremita-Marzano la vetta si apre ad alcuni pianori e ad un pascolo molto ma molto caratteristico dal quale è possibile osservare verso N l'intero Cervialto e verso NE il Monte Boschetiello. Da questi pianori come indicato dai cartelli in cima partono altri sentieri tra cui quello per la Caserma della Forestal di Piano del Gaudo che vorremmo tanto visionare.
Purtroppo ancora una volta il tempo d'estate gioca brutti scherzi, il cielo inzia ad annuvolarsi e cosi zaino in spalla e via verso Bardiglia. Seguiamo per un primo tratto lo stesso sentiero di prima finchè ad un certo punto il direttore di escursione decide un fuoripista eccezionale che parte da una faggeta resa impervia da un terriccio morbido e scivoloso. Ma superata questa prima difficoltà rientriamo nel vivo del cammino fino ad arrivare alla località "Tana dei Lupi" dove ad accoglierci è una bosco di fagi "grigi" come quelli del Terminio al Rifugio degli uccelli, con la differenza adesso di trovarsi all'interno di un massiccio poco frequentato. La magia è ancora più grande.Dalla "Tana dei lupi" prendendo ancora alcune deviazioni ritorniamo alla sorgente del Savuco per poi deviare ancora su un altro versante della Montagna. Questa deviazione è davvero centrata ed infatti si cammina ora all'interno di un vallone creato dall'acqua durante il periodo primaverile caratterizzato da grandi rocce muschiose e da grotte e cavità che dalle pareti ci "osservavano" minacciose. Usciti da questo vallone "inviolato" ritorniamo su una carraia larga ,ma resa scivolosa a volte da alcuni ciottoli, che scendendo decisamente ci riporterà di nuovo alle sorgenti di Bardiglia su una deviazione al fianco dell'inizio del sentiero di salita.